Arte sostenibile

Come possiamo rendere lo sci più sostenibile?

By : Aldo |Gennaio 28, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Come possiamo rendere lo sci più sostenibile?

Gennaio quasi al termine e la neve dovrebbe essere arrivata ovunque o per meglio dire, dove dovrebbe essere presente. Ma con gli anni, si riscontrano maggiori problemi in questo settore, soprattutto per chi, fino a qualche anno fa, ha vissuto grazie a questa stagione.

L’Italia sempre meno innevata

Ancora non possiamo avere un quadro completo riguardante il periodo nevoso del 2024, ma basta analizzare i dati del 2023 per capire la tendenza del futuro. L’allarme arriva dalla Fondazione CIMA, che sulla base dei suoi monitoraggi, afferma che la situazione peggiora annualmente sulle Alpi, a discapito anche dei bacini idrici.

Per indagare sulla situazione che stiamo vivendo, bisogna prima spiegare il concetto di “accumulation day” previsto per il 4 marzo. Si tratta del giorno di massimo accumulo di neve, dopo il quale è più difficile avere fiocchi intensi e prolungati. Quindi da quel momento in poi i serbatoi d’acqua sulle montagne, si riempiranno difficilmente nelle successive settimane. Tuttavia, questa condizione non rispecchia più il corso naturale del processo, soprattutto perché viene smorzato dai lunghi periodi di siccità (non solo estiva). Solitamente si registrano tra i 10 e 13 miliardi di m3 d’acqua nei primi giorni di marzo, nel 2023 erano solo 6 miliardi. 

Un secondo fattore che preoccupa gli studiosi è la velocità con la quale la neve fonde; ultimamente in modo più repentino rispetto al passato. Tale celerità è determinata dalle temperature calde che si registrano dopo un’abbondante nevicata. Così la neve si scioglie prima di quanto sarebbe necessario per il fabbisogno irriguo, raddoppiando il fabbisogno d’acqua per l’irrigazione.

Ultimo e non per importanza bisogna tenere da conto il fattore ghiacciai. Infatti, non solo la neve li alimenta d’inverno, ma li protegge in estate dalla fusione; peccato però che il trend stia cambiando. Nel 2022 infatti la fusione glaciale è avvenuta varie settimane prima del solito; dunque, è probabile che questo fenomeno si ripresenti anno dopo anno.

    

Il settore sciistico

Ovviamente tutti i processi appena descritti sono pericolosi per tutti e non solo per gli ecosistemi montani e fluviali. Nonostante ciò, c’è chi vive letteralmente grazie al periodo nevoso e alle attività ad esso correlate, che sta soffrendo in primis i cambiamenti climatici. Forse però, sono proprio loro, che possono fare la differenza, intraprendendo un cambiamento dei loro business rendendoli più sostenibili.

Secondo i dati del 2023, in Italia ci sono 5.700 km di piste, le quali hanno registrato il picco di frequenza a metà gennaio. Quindi è opportuno trovare delle soluzioni per organizzare delle settimane bianche meno impattanti sotto ogni singolo aspetto. Senza dubbio, tutto questo è possibile solo con un cambio di mentalità, un approccio diverso all’economia di questo settore. Comunque, alla base di tutto è necessaria la volontà collettiva, di vivere in armonia e proteggere la natura.

   

Periodicità e neve artificiale

Per invertire la rotta e migliorare le prestazioni di ogni attività legata al mondo dello sci, si possono considerare nuove soluzioni per settimane bianche, più verdi. Senza dubbio la prima sarebbe quella di approfittare della neve quando c’è, quindi organizzare viaggi, e gite fuori porta ad hoc. Al contrario del pensiero comune, ossia quello di pretendere che la neve sia presente anche quando non ci sono le condizioni giuste. Tale discorso è importante da diffondere soprattutto per limitare l’impiego della neve artificiale, una pratica che aiuta le realtà locali ma non il pianeta. Più precisamente, per ottenere il quantitativo necessario di neve artificiale, servono acqua ed energia in quantità elevate e ciò determina maggiori costi per tutti.

   

Più precisamente, l’acqua usata per la neve viene sottratta al settore agricolo o idroelettrico. Mentre l’energia usata aumenta i costi per i gestori, quindi per gli skipass e l’ambiente a meno che quell’energia non provenga da fonti rinnovabili. Anche perché, se l’energia usata, derivasse da combustibili fossili, sarebbe un circolo in cui: per rimediare a lacune per colpa del caldo, usiamo energia che incrementa le emissioni.  Oppure sarebbero auspicabili nuove tecnologie che consentono la produzione di neve artificiale sostenibile.

      

Per queste ragioni si potrebbe pensare di approfittare della neve quando è presente pianificando le proprie giornate seguendo il meteo e non le feste comandate. Di certo è più complicato per noi organizzarci, ma almeno avremmo la sicurezza di trovare la neve e passare delle belle giornate. In questo modo si sfrutta la risorsa per quanto tale, limitando pratiche artificiali incompatibili con i processi della natura. Al tempo stesso tour operator, albergatori ed enti locali potrebbero investire su altre forme di intrattenimento ed altre attività. Per esempio, si potrebbero pubblicizzare maggiormente camminate, ciaspolate, discese con lo slittino, sci alpinismo, sci di fondo e molto altro.

   

La sostenibilità dei turisti

Allo stesso tempo anche i turisti possono fare la differenza: anche in questo caso nessuno è escluso dal cambiamento. Per prima cosa si può ridurre la quantità di vestiti che si comprano ogni anno per le stesse attività. Infatti, basterebbe comprare degli indumenti di buona qualità una volta, anche a prezzi poco più elevati della norma, ma che possano durare anni. Per quanto riguarda sci, scarponi, bastoni, casco si potrebbe parlare di noleggio, in modo da ridurre gli articoli in viaggio, risparmiare e ridurre il nostro impatto sul pianeta.

   

Un secondo aspetto fondamentale è quello della mobilità. Sarebbe adatto spostarsi a piedi, favorendo passeggiate in mezzo alle montagne, che fanno sempre bene anche alla nostra salute. In alternativa si possono scegliere gli skibus, quindi mezzi di trasporto comuni, tipici delle località sciistiche.

Dunque, sebbene lo sci sia uno sport impattante, con gli accorgimenti elencati e le innovazioni del secolo troveremo sicuramente il modo di renderlo sostenibile. O almeno ci proveremo.

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Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

By : Aldo |Gennaio 17, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

Si sente spesso parlare di compensazione della CO2, di riforestazioni e progetti di sviluppo oltre oceano. Sembra che questi siano gli unici modi con cui uno stato possa compensare le sue emissioni, ma un’articolo dell’Accordo di Parigi cambia tutto.

Articolo 6 Accordo di Parigi

L’articolo 6 è un punto fondamentale dell’Accordo di Parigi poiché consente le collaborazioni tra Stati per raggiungere i propri obiettivi climatici. Il punto ammette due tipi di riduzioni delle emissioni conseguite all’estero (Internationally transferred mitigation outcomes, ITMOS) divise in 2 sottoclassi:

  • quelle che risultano da un meccanismo regolato dall’Accordo di Parigi (art. 6.4);
  • quelle che risultano da accordi bilaterali e multilaterali (art. 6.2).

Con tali premesse c’è la possibilità di creare una rete di cooperazione internazionale sul mercato del carbonio per ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, anche questi meccanismi devono seguire delle regole specifiche, affinché i progetti di compensazione non siano vani. Più precisamente, esiste una procedura obbligatoria che entrambi gli stati devono seguire per evitare il doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni. Quindi

  • un paese trasferisce unità di emissioni a un altro paese
  • il venditore sottrae tali unità di emissioni dal proprio obiettivo di emissioni
  • l’acquirente deve aggiungerle al proprio obiettivo.

Grazie a questo articolo, esiste un gran numero di operazioni possibili per la riduzione del carbonio, con lo scopo di agire contro i cambiamenti climatici.

    

Svizzera e Thailandia

La notizia che circola da qualche giorno riguarda proprio l’applicazione di tale articolo. In Thailandia sono arrivati gli e-bus o bus elettrici dalla Svizzera per compensare le emissioni di CO2. Un’operazione nuova, prima del suo genere che apre le porte a nuovi piani internazionali, sviluppati semrpe sulla base delle direttive dell’Accordo di Parigi.

    

Il programma di Energy Absolute Public Company Limited è sostenuto dalla Foundation for Climate Protection and Carbon Offset Klik (Klik Foundation). Ma anche da South Pole, società svizzera specializzata in queste specifiche operazioni. L’accordo bilaterale serve per ridurre le emissioni e l’inquinamento atmosferico di Bangkok attraverso l’introduzione di veicoli elettrici nel trasporto pubblico gestito da operatori privati. A tal proposito, il quotidiano “La Repubblica” ha intervistato Aurora D’Aprile, consulente di Carbonsink, parte di South Pole dal 2022. Nella conversazione si spiegano i motivi per cui questo, è considerato un piano unico nel suo genere.

    

Il primo progetto

La partnership tra Svizzera e Thailandia è considerata una novità poiché prevede lo scambio di crediti di carbonio tra Stati e non solo tra privati. La sorpresa deriva dal fatto che tale pratica è consentita dall’Articolo 6 ma nessuno ancora aveva applicato tale norma. Un fatto, questo, incomprensibile, poiché l’articolo mirava proprio alle collaborazioni tra governi. Inoltre, era chiaro che con la cooperazione si sarebbero ridotte maggiormente le emissioni, rispetto ad una pratica solitaria e privata.

   

Un secondo motivo per cui il progetto è ritenuto primo nel suo genere è il fatto che sia il primo in cui l’iter, legato al mercato del carbonio, sia stato completato. Più precisamente, il credito va sviluppato secondo dei criteri condivisi, dopodiché il Paese in cui il credito viene maturato deve autorizzarne l’esportazione, e questo è avvenuto.  Di certo la collaborazione tra stati rende il piano più influente e sicuro, visto che gli Stati possono dare maggiori garanzie sull’effettiva consistenza dei crediti. Soprattutto per quanto riguarda il doppio conteggio. Infatti, con l’applicazione dell’Articolo 6, rende teoricamente impossibile che la stessa riforestazione (o piano) venga usato per la compensazione di clienti diversi.

    

Un terzo motivo per definire il programma tra Svizzera e Thailandia è il suo oggetto: il rifornimento di bus elettrici nella metropoli di Bangkok. Effettivamente quando si parla di compensazione si punta sempre alle riforestazioni o ad impianti per energie rinnovabili. Quindi il piano in esame dimostra un nuovo settore in cui si può operare ossia il settore della mobilità elettrica.

    

Conclusioni

Tuttavia, non sono mancate critiche anche in questa situazione, soprattutto contro la partnership stessa. Le lamentele si basano sull’idea che he prima o poi Bangkok avrebbe dovuto comunque cambiare la sua flotta di bus obsoleti. Pertanto, non si assiste ad un’”addizionalità”, non è un’operazione che si fa in più per il clima.

   

Ma è pur vero che dietro tali progetti ci sono talmente tante dinamiche e questioni da seguire che criticarne lo scopo, non risulta produttivo. Soprattutto perchè si tratta di stati diversi sotto ogni punto di vista; quindi, aver trovato un accordo è già una vittoria.

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Nanoparticelle di plastica nell’acqua di bottiglia: i risultati inaspettati.

By : Aldo |Gennaio 16, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Nanoparticelle di plastica nell’acqua di bottiglia: i risultati inaspettati.

Che la plastica sia arrivata ovunque non è più un segreto, né tantomeno il fatto che è arrivata anche all’interno del nostro corpo. Questo fatto però apre un discorso molto delicato che si divide in due, tra preoccupazioni e business.

     

In Italia

L’Italia è denominata come il Bel Paese proprio per le migliaia di qualità che detiene. Peccato che spesso e volentieri queste caratteristiche vengano poi sopraffatte da aspetti negativi più ingombranti. Un esempio lampante e ad hoc è quello che riguarda l’acqua potabile.

     

L’Italia gode di acqua potabile da rubinetto che proviene per l’84,8% da fonti sotterranee naturalmente protette e di qualità, che necessita di pochi altri trattamenti. Sebbene abbiamo questo vantaggio siamo sul podio mondiale dei consumatori di acqua in bottiglia: un’ambiguità inspiegabile. Infatti, secondo un dossier di Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, l’Italia ha peggiorato negli anni questa tendenza. Siamo il terzo Paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia, con un aumento delle vendite in 10 anni (2009-2019) di +100%. In concreto sono state vendute più di 10 miliardi di bottiglie all’anno. Probabilmente questo è uno di quegli improbabili e assurdi controsensi dello Stivale, su cui dovremmo lavorare.

    

In modo analogo funziona il resto del mondo, come riportato dal “Guardian” il quale afferma che ogni minuto a livello globale viene acquistato un milione di bottiglie di plastica. È ovvio quindi che non ce ne sbarazzeremo ne velocemente, né facilmente: nel frattempo la plastica continua ad aumentare a dismisura. In soli 70 anni, siamo passati dai 2 milioni di tonnellate, alle oltre 400.

   

Nanoparticelle nell’acqua di bottiglia

Sulla base delle notizie sopracitate non è un caso né tantomeno un mistero che l’acqua in bottiglia sia piena di nanoparticelle di plastica. Da anni si studia la diffusione della plastica, le tipologie, i danni che causa agli ecosistemi e da poco se ne studiano anche gli effetti sull’uomo. Se prima si parlava della plastica ingerita attraverso l’alimentazione, si è passati a ritrovarla nel sangue e per ultimo anche nella placenta di donne incinta. Così medici e studiosi si sono allarmati perché il focus è passato dai danni che la plastica provoca agli altri ecosistemi, ai danni che determina sulla nostra salute.

    

Tuttavia, prima di analizzare la sfera sanitaria è opportuno descrivere e capire i risultati delle varie analisi e i pensieri dei ricercatori sul fatto. Iniziamo da uno studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), organo ufficiale della National Academy of Sciences. L’indagine mirava alla ricerca di frammenti di grandezza anche inferiore a 100 nanometri nei prodotti di 3 celebri marche, e i risultati hanno stupito tutti. Ben 240 mila frammenti di plastica in un solo litro d’acqua, si tratta di un numero 100 volte più grande rispetto ai precedenti studi e non solo. È una quantità che supera di gran lunga i livelli trovati nell’acqua di rubinetto.

     

Dopodiché l’attenzione è stata spostata sui tipi di particelle, ossia quali tipi di plastica possiamo trovare nell’acqua in bottiglia. Anche qui i risultati hanno sorpreso gli studiosi, che hanno usato strumenti di massima innovazione. Per questa fase di studio, infatti, sono stati utilizzati e puntati due laser in grado di osservare e “leggere” la risposta delle diverse molecole. Grazie a tale tecnologia hanno scoperto che esistono dalle 110 mila alle 370 mila particelle di plastica di 7 tipologie diverse quali:

  • Il PET (polietilene tereftalato) usato maggiormente per imbottigliare il 70% delle bottiglie per bevande e liquidi alimentari (a livello globale);
  • la poliammide, una classe particolare di nylon che potrebbero derivare dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima dell’imbottigliamento;
  • polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato, usati nei processi industriali.

Sebbene i ricercatori non siano riusciti a identificare il 90% delle nanoparticelle, altri hanno approfondito le ricerche sulle origini di alcune. Per esempio, Antonio Limone, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno sottolinea che l’acqua imbottigliata, possa essere contaminata in varie fasi della catena produttiva e distributiva. È semplice anche capirne il motivo, poiché durante lo stoccaggio, luce e temperatura favoriscono la migrazione dei contaminanti nell’acqua. Mentre Carola Murano, ecotossicologa del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione Zoologica Anton Dohrn spiega le difficoltà riscontrate in questo tipo di analisi. Infatti, dichiara che:

    

…l’assenza di metodi standardizzati e talvolta poco sostenibili per la caratterizzazione e la manipolazione di oggetti di plastica di dimensione sub-micrometrica e nanometrica non ci consente a pieno di trarre conclusioni scientificamente chiare, soprattutto se in ballo ci sono molteplici variabili.”

Pertanto, sarebbe appropriato affrontare il problema con

 

…un approccio che includa le migliori pratiche di gestione dei rifiuti e lo sviluppo di materiali alternativi e sicuri per l’ambiente e una maggiore consapevolezza tra i consumatori”.

Un problema sanitario

Tali evidenze hanno scatenato delle discussioni attorno alla questione sanitaria. Ovvero, tutte queste nanoparticelle, le ingeriamo per mezzo dell’acqua imbottigliata che beviamo. Di conseguenza il particolato entra in circolo nel nostro corpo e dalle ultime analisi arriva ovunque. Dunque, quello che tutti si chiedono ora è: quali effetti dannosi possono determinare per la nostra salute?

    

Nonostante nel 2019, l’OMS avesse “frenato” il legame tra nano plastiche e salute umana, i ricercatori dell’ultimo studio hanno tante preoccupazioni. Difatti le particelle sono arrivate addirittura negli embrioni (studio dell’Università delle Hawaii a Manoa e del Kapi’olani Medical Center for Women & Children). Oltre alle nano plastiche, ci sono elementi come alchifenoli, ftalati che anche a basse concentrazioni, possano causare effetti tossici agendo in modo additivo.

     

Dall’altra parte c’è chi come Jill Culora, portavoce dell’International Bottled Water Association ricorda le lacune nel settore descritto. Secondo la sua opinione mancano dei metodi standard e un vero e proprio consenso scientifico sui possibili effetti sulla saluta umana. Eppure, crede che le modalità con cui vengono diffuse le notizie sulla questione, spaventino inutilmente i consumatori. Ovviamente sottolineare la pericolosità di prodotti comuni come l’acqua in bottiglia è un tema molto delicato, una faccenda da trattare con le pinze. Ma non per questo bisogna voltare pagina o andare oltre, poiché, se la plastica è arrivata nella placenta di donne in stato interessante, si deve assolutamente approfondire la ricerca.

     

Senz’altro una soluzione al problema sarebbe quello di bere più acqua del rubinetto che costa meno ed è sicura. Altrimenti, se si preferisse l’acqua frizzante o si necessita acqua a basso residuo fisso allora si potrebbe optare per sistemi di filtraggio o di gassificazione. Certo è che questi strumenti hanno un costo più elevato della bottiglia di plastica, ma non hanno un impatto elevato come le seconde.

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Dalla Svizzera arriva Water Saver: il doccino che fa risparmiare 182 milioni di litri d’acqua.

By : Aldo |Gennaio 13, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home, menoacqua |Commenti disabilitati su Dalla Svizzera arriva Water Saver: il doccino che fa risparmiare 182 milioni di litri d’acqua.

Sappiamo tutti quanto l’acqua sia una risorsa fondamentale per la vita di tutti e non solo perché è necessaria alla nostra salute. Tuttavia, è una delle risorse più consumate e sprecate nel mondo e pertanto bisogna invertire questa tendenza prima che sia troppo tardi.

      

Acqua, consumi e sprechi

Che l’acqua sia la linfa vitale di ogni singolo essere vivente non è un segreto. L’oro blu che il pianeta ci regala da millenni è una risorsa preziosa e come tale deve essere trattata: peccato che non tutto vada come dovrebbe. Infatti, l’acqua, principalmente quella potabile, che ricordiamo essere meno dell’1 % di quella presente sulla Terra, viene consumata e sprecata in maniera smodata.  È ovvio che sia inclusa in una quantità infinita di attività quotidiane e necessarie della nostra vita, questo non lo esclude nessuno. Ma riflettendo sull’uso che ne facciamo, ci renderemmo conto di quanto siamo lontani dal preservarla, o almeno dal consumarla in modo responsabile. Basti pensare che una famiglia media usa circa 200 m3 di acqua potabile l’anno. Questo vuol dire che un italiano usa circa 200 l di acqua al giorno solo per:

  • Lavarsi i denti
  • Farsi la doccia
  • Lo sciacquone del WC
  • Lavare i panni
  • Lavare i piatti
  • Lavare auto
  • Cucinare
  • Annaffiare

È comunque curioso soffermarsi nell’ambito dell’igiene personale per ricapitolare il nostro impatto sull’ambiente. Secondo le statistiche, infatti, la doccia è una delle attività che contribuiscono maggiormente al consumo e spreco di acqua. Nello specifico, dal miscelatore escono 15-16 l d’acqua al minuto: quindi per una doccia di 5 minuti si usano 75-80 litri di acqua. Se poi si impiega anche un quarto d’ora di tempo si raggiungono anche i 225-240 litri d’acqua. Legate a questo ambito ci sono poi delle professioni esterne che usano grandi quantità d’acqua al giorno, una tra queste il parrucchiere.

       

Water Saver nei saloni

Secondo vari dati, sembra che un parrucchiere nella media possa consumare dai 50 a 200 litri d’acqua al giorno. In questo caso un professionista eguaglia con la sua attività il consumo d’acqua di un italiano. Calcolando che in Italia sono presenti 100 mila attività, possiamo solo immaginare alle quantità di acqua usate in un giorno, solo per il lavaggio dei capelli.

    

I saloni di bellezza sono centri che la gente frequenta per un cambiamento, per un’innovazione del proprio volto o del corpo. Non a caso è proprio da qui che arriva la nuova tecnologia della startup svizzera Gjosa. Questa realtà ha trovato il modo con cui anche un parrucchiere possa ridurre il suo impatto ambientale o più precisamente la sua impronta idrica. L’idea dell’impresa è diventa realtà, grazie al gruppo francese L’Oréal, che ha finanziato il progetto con i fondi BOLD (Business Opportunities for L’Oréal Development). Dalla suddetta collaborazione è nato Water Saver il doccino smart, un oggetto di uso comune, progettato con tecnologie avanzate per risparmiare litri e litri d’acqua. Un vero e proprio game changer, nominato tra le “100 migliori invenzioni dell’anno” della rivista TIME, nel 2021.

        

Tecnologia, usi e risparmio

Water saver è un soffione doccia coperto da 13 brevetti basato sulla tecnologia di frammentazione dell’acqua. Si tratta di un getto a basso flusso che usa 2,4 litri di acqua al minuto invece di 7. Il sistema accelera la velocità delle gocce, che vengono poi riutilizzate in un secondo momento, dividendole in 10 parti più piccole. Tale tecnologia consente di risparmiare 182 milioni di litri d’acqua (equivalenti a 72 piscine olimpioniche), pari ad una riduzione del 69%.

    

Più precisamente, il getto si attacca ai lavandini e dispone di tre slot per shampoo, balsamo e trattamento, che vengono distribuiti direttamente nel flusso d’acqua. Un approccio brevettato Cloud Cleansing che favorisce una migliore distribuzione e assorbimento del prodotto, nonché una migliore efficienza. Successivamente, con l’azionamento del getto si creano goccioline microionizzate che si scontrano tra loro in un flusso pressurizzato. Così facendo si riduce la quantità d’acqua per singolo lavaggio rivoluzionandolo e e migliorando l’esperienza e l’efficacia del trattamento.

        

Il risultato 

Nonostante ciò, esistono altrettante attività legate ad ambiti di produzione alimentare o tessile che usano quantità infinite d’acqua. Per questo è fondamentale la ricerca, proprio per dare luce ad altri brevetti simili che possano ridurre l’uso dell’oro blu anche in altri settori.

    

Ad ogni modo, Water Saver ha riscontrato un grandissimo successo nel primo anno di uscita. Non a caso nel 2023 è stato distribuito a più di 10mila saloni di parrucchiere professionali in tutta Europa e nel Medio Oriente. E sebbene sia un prodotto pensato per i saloni, può essere usato anche in casa. Ancora una volta l’innovazione è oggetto di salvaguardia delle risorse del mondo, in questo caso, la più importante, ovvero l’acqua.  

     

Questo prototipo è la dimostrazione di come un oggetto di uso comune, possa determinare un grande cambiamento, ma non solo. Prova il motivo per cui la sensibilizzazione su qualsiasi tematica sia fondamentale per migliorare il mondo. Con informazioni precisi e strumenti adeguati, si può cambiare la propria quotidianità, in modo da ottimizzare e ridurre il proprio impatto sul Pianeta Terra.

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Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

By : Aldo |Gennaio 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

Il Decreto del MASE n. 434 del 21 dicembre 2023 è stato approvato. L’Italia pubblica il suo PNACC tra perplessità e preoccupazioni per le emergenze future.

    

Il nuovo Decreto del MASE

Finalmente è arrivato. Dopo l’ultimo documento, risalente a 7 anni fa, è stato approvato il nuovo PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici). L’obiettivo del testo è quello di fornire un quadro nazionale per:

  • contrastare i rischi;
  • migliorare le capacità di adattamento;
  • trarre vantaggio dalle opportunità legate alle nuove condizioni climatiche.
    Si tratta di un piano di attuazione della strategia creata nel 2015, per


contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”.

Il PNACC è fondamentale soprattutto per uno stato come quello italiano, per via delle sue caratteristiche geomorfologiche, climatiche e ambientali. L’Italia è un’area estremamente vulnerabile ed un rilevante hot-spot di biodiversità; pertanto, tale traguardo è fondamentale per affrontare le difficoltà del futuro.

   

La struttura del testo

Il documento necessario per adattarsi ai cambiamenti climatici individua 361 misure di carattere nazionale o regionale, azioni di informazione, sviluppo di processi organizzativi e partecipativi. Tali misure sono divise in 3 fasce:

  • soft: non richiedono interventi strutturali e materiali diretti;
  • green: quando necessitano di soluzioni naturali;
  • grey: se hanno bisogno di azioni materiali dirette su impianti, tecnologie o infrastrutture.

Ma proprio tale suddivisione ha già sollevato polemiche e dubbi, poiché ben oltre 250 azioni su 361, sono classificate come soft. Pensando a tutti gli eventi estremi di quest’anno, alle grandi lacune del nostro paese, sicuramente non era quello che ci si aspettava. Gli interventi strutturali sono dunque solo 87, di cui solo 46 sono green. Per esempio, un fenomeno che oggi tiene in mano oltre il 93% dei comuni italiani, rientra nell’ambito del dissesto idrogeologico. Proprio questo problema riserva solo 29 interventi tutti catalogati come classe “soft”.
     
Forse si sperava in un piano molto più rigido, concreto che analizzasse ogni singola tematica e trovasse la soluzione adatta a ciascuna. L’insieme di queste misure dovrebbe esse in grado di incidere sui seguenti settori:

  • acquacoltura, pesca, zone costiere
  • agricoltura e foreste
  • ecosistemi acquatici e terrestri;
  • desertificazione, dissesto idrogeologico, risorse idriche;
  • energia;
  • insediamenti urbani, patrimonio culturale, turismo, trasporti, industrie.
  • salute;

In particolare, sono state evidenziate delle linee più forti per quanto riguarda le risorse idriche, forse uno dei temi più dibattuti e preoccupanti degli ultimi anni. In questo senso si punta ad incrementare la connettività delle infrastrutture idriche e la loro manutenzione, l’irrigazione e la bonifica. Dunque, una maggior cura della rete fluviale liberandola da barriere e la capacità di accumulo.  Mentre per l’agricoltura si consigliano maggiori investimenti cosicché i nostri terreni possano resistere ed adattarsi ai nuovi climi.
    
Di seguito si parla quindi di protezioni per il gelo e le grandinate (sempre più frequenti e potenti), l’efficientamento delle risorse per coltivare. E in più si citano idee per aumentare il benessere animale. Per fare un esempio, solo nel 2023, la mancanza di un piano simile ha provocato nel Paese oltre 6 miliardi di euro di danni all’agricoltura italiana.

    

La situazione in Italia

Il testo riporta tuttavia le criticità riscontrate negli ultimi anni con previsioni, studi e ipotesi per l’avvenire. Tra gli argomenti più complessi, sono stati affrontati:

  • La siccità: anomalie legate fino a -40% di piogge;
  • Innalzamento dei mari: si prevede un aumento di 19 cm entro il 2065;
  • Temperature dei mari: le analisi ipotizzano un aumento del 1,9° C nel Tirreno tra il 2036-2065, addirittura 2,3° C nell’Adriatico;
  • I ghiacciai: hanno perso il 30-40% del loro volume;
  • Copertura nevosa (fondovalle e versanti meridionali): si limiterà a 5 settimane fino ai 2000 m, a 2,3 settimane fino ai 2500 m.

Tali questioni sono concatenate l’una con l’altra e determinano maggiori e più frequenti fenomeni estremi. Questi sono a loro volta legati all’aumento delle emissioni di CO2, che non sembrano diminuire. In questo senso si presentano 3 scenari, di esito diverso, dal peggiore al migliore. Nel caso peggiore, le concentrazioni a fine secolo saranno quasi quadruplicate rispetto i livelli preindustriali; si pensa ad un range tra gli 840-1120 ppm. Precisamente questo potrebbe essere il quadro peggiore con un conseguente aumento della temperatura globale (nel 2100) di 4-5° C. il caso migliore è quello di una ipotetica e forte mitigazione delle emissioni che verrebbero dimezzate entro il 2050. Infine, l’esempio intermedio prevede la riduzione delle concentrazioni sotto il livello attuale (400 ppm) entro il 2070.

    

In conclusione

Ancora una volta, un piano necessario, fondamentale per il nostro Paese è arrivato deludendo le aspettative di molti. O forse tutti sapevano come sarebbe andata. Per di più, il testo presenta un secondo e particolare problema, ossia i finanziamenti. Infatti, oltre alle misure che danno poca affidabili, c’è una seconda questione ovvero i costi. In pratica, secondo gli autori ci sarebbero molte risorse per attuare le azioni prima citate, tuttavia solo una parte è direttamente disponibile in Italia. Ossia, i fondi europei sanno erogati solo a seguito di evidenti sforzi e la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti.

Non ci resta dunque che pensare che il futuro in questo senso sia prevedibile e già scritto, oppure sperare in una svolta vera e propria.  Sicuramente lo scopriremo solo col passare del tempo.

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La sostenibilità aiuta anche le strutture sanitarie. Il caso Global Biomedical Service.

By : Aldo |Gennaio 03, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su La sostenibilità aiuta anche le strutture sanitarie. Il caso Global Biomedical Service.

Aggiustare e riutilizzare dei prodotti dovrebbero essere le attività alla base della nostra società, che al contrario è consumista. Si prende e si butta tutto, si consuma più del dovuto anche in settori in cui non ci sono abbastanza finanziamenti per sostenere un tenore simile. Tra quelli più in difficoltà c’è il settore sanitario che ha delle soluzioni sostenibili.

    

GBS per la sostenibilità

Parlando di sanità pubblica e privata in Italia, non si può non citare la startup nata nel 2018 Global Biomedical Service. Una realtà che offre servizi specifici per centri diagnostici privati e strutture sanitarie come l’installazione e il trasporto di apparecchiature radiologiche e simili. Sebbene sia un leader nel suo campo, sta acquisendo molta notorietà anche per i servizi circolari che propone ad aziende pubbliche e private. GBS ritira e valuta l’usato, si occupa di smaltimento, della manutenzione delle Gabbie di Farady e della fornitura di ricambi per i principali sistemi radiologici.

  

Il gruppo è nato dall’idea di Giovanni Lombardo (CEO e founder) e da Emiliana De Prisco. Una volta stabiliti a Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, iniziarono le loro attività con soli 10 membri, oggi sono in 50. Inoltre, GBS è indicata dal Politecnico di Torino tra le 22 migliori startup a significativo impatto sociale e ambientale del 2023 in Italia.

  

L’obiettivo del gruppo è quello di non buttare nulla, di riparare ciò che ha ancora possibilità di vita e di recuperare elementi da sistemi ormai obsoleti. Per esempio, se ci sono macchinari guasti e quindi irreparabili, loro si occupano di recuperare i componenti elettronici fondamentali. Mentre se si tratta di un sistema che può essere riparato o quelli già funzionanti e ritirati in permuta pensano a come “ricondizionarli e ‘aggiornarli”. Questo dal punto di vista software che hardware)

L’obiettivo finale è quello di inserirli nuovamente nel mercato: mediamente arrivano in nuovi centri diagnostici e con pochi fondi.  

   

I beneficiari

Come descritto in precedenza, i beneficiari di tali servizi sono i nuovi centri diagnostici con poche finanze ma soprattutto le cliniche veterinarie. Perché proprio queste strutture, ce lo spiega l’ultimo censimento di Anmvi, l’Associazione nazionale medici veterinari italiani. Lo studio sottolinea che in Italia sono aperte ben 8 mila cliniche, di cui 8 su 10 sono solamente piccoli laboratori. Realtà come questa hanno difficoltà ad acquistare macchinari per Tac e risonanze ed è quindi a loro che si rivolge la GBS. La startup si dedica anche alle cliniche di Paesi e aree poco coperte da servizi importanti come quelli dell’alta diagnostica.

    

I progetti di GBS

La startup recupera e rigenera le apparecchiature di diagnostica per immagini: si occupa di risonanze magnetiche, TAC, sistemi radiologici ed ecografi. Per esempio, di recente hanno recuperato una TAC multistrato 64 slice. Il sistema dismesso da un ospedale pubblico campano era destinato alla sua fine; invece, oggi funziona alla perfezione in un centro diagnostico privato nel Lazio.

   

Ancora la GBS è una delle poche aziende in Italia specializzate nella riparazione di sonde ecografiche e bobine per risonanza magnetica. Di solito queste vengono sostituite al primo difetto o malfunzionamento, mentre la riparazione evita la produzione di rifiuti speciali. Ovviamente permette all’azienda interessata un notevole risparmio economico.

    

Un ulteriore progetto è correlato alla produzione di Ghost Cage, una Gabbia di Faraday trasparente per risonanze magnetiche ad alto campo. Il meccanismo è realizzato con polimeri a basso impatto ambientale e l’attenuazione delle radiofrequenze e dell’effetto claustrofobico. Si rinnova dunque il brevetto di una tecnologia ecosostenibile, importante anche in questo settore, spesso dimenticato.

  

L’aiuto sostenibile alla sanità

Includere delle abitudini virtuose, delle collaborazioni all’ampia scala e inserire fondi per nuove tecnologie sono alcuni dei passi da fare nell’ambito sanitario. La situazione soprattutto in Italia non è delle migliori e pertanto servirebbero nuovi metodi per garantire adeguata assistenza medica ai pazienti con sistemi non obsoleti. Questo obiettivo non è impossibile da raggiungere come spesso crediamo, perché alla base di uno stato civile e avanzato si trova anche un’espressione sostenibile della vita.

    

Viviamo in un pianeta consumista che non si ferma davanti a nulla, neanche davanti alla fatiscenza di certe strutture sanitarie. Troppo spesso i macchinari con qualche difetto vengono buttati e rimpiazzati velocemente con altri molto costosi: a volte invece si resta senza.

    

Ancora una volta la sostenibilità potrebbe garantire un supporto necessario alle nostre istituzioni e alla vita di tutti, soprattutto ai servici pubblici. Riparando macchinari e recuperando i loro componenti determinerebbe un cambio di macchinari più veloce, meno costoso ed efficace, senza perdere la sicurezza del sistema “nuovo”.

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Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

By : Aldo |Gennaio 02, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, bastaplastica, Home |Commenti disabilitati su Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

Sebbene oggi esistano migliaia di corsi di laurea diversi, c’è un tema di cui si tratta in ogni singola facoltà. La sostenibilità è effettivamente un argomento che riguarda chiunque e pertanto se ne discute anche in settori non scientifici.

    

La sostenibilità di Jelter

La sostenibilità è un tema che riguarda sempre più le nostre vite. Si tratta di un’attenzione, un cambiamento, un nuovo approccio alla vita necessario per il bene di tutti, al punto che nessun settore può escluderlo. Si può definire come un connubio di materie di studio e di pratiche per uno scopo comune.

    

Un esempio diretto di tale unione è il progetto della startup Jelter, formata da 3 giovani studentesse dello IED (Istituto Europeo di Design) di Milano. Rebecca Raho, Emanuela Tarasco e Caterina Favella sono le 3 ventenni che hanno creato una startup dalla loro tesi di laurea in Product Design. Il piano delle giovani studentesse è peculiare perché nasce dall’unione del loro corso di studio e la loro attenzione e passione per l’ambiente. Questo ci fa capire come le nuove generazioni abbiano già sviluppato e fatto loro un pensiero critico sulla sostenibilità e sul rispetto del Pianeta Terra.

     

La boa medusa

La startup Jelter nasce nell’ottobre del 2022, proprio in concomitanza con la laurea delle tre fondatrici. Da quel momento le giovani hanno partecipato a convegni ed altri eventi portando il loro progetto in giro per l’Italia e non solo.  Il programma è focalizzato sulla produzione di una boa a forma di medusa pensata per frenare la proliferazione delle microplastiche nei mari. Si tratta di un sistema di filtraggio autosufficiente grazie all’installazione di pannelli solari, che all’interno ospita una pompa che consente il circolo dell’acqua. Così, passando nella boa, l’acqua viene filtrata e ne esce “pulita”.  Il primo prototipo è stato realizzato in 6 mesi, dopo i quali è stato testato nel mare di Fiumicino.

    

La peculiarità di tale prodotto è l’attenzione rivolta all’ambiente ma anche al design. Difatti, le ragazze si sono impegnate nella ricerca di un elemento adatto alla struttura che non inquinasse l’ambiente anche a livello paesaggistico. Quindi hanno pensato a forme, colori e strutture che avessero il minor impatto visivo, biologico, chimico sul mare. Non a caso hanno anche deciso di ancorare la boa al fondale per evitarne la dispersione.

    

Prototypes for Humanity 2023

Le tre studentesse hanno optato per un programma non solo incentrato sul prodotto ma anche sulla sensibilizzazione. La loro motivazione e l’interessa al cambiamento, hanno spinto Jelter a partecipare a programmi di grande calibro, come quelli legati alla COP28. Così si sono messe alla prova aderendo alla call Prototypes for Humanity 2023 rivolta ai neolaureati di tutte università per progetti innovativi ad impatto sociale. I vantaggi e le possibilità di tale iniziativa hanno spronato le ragazze a prendervi parte, puntando alla mobilitazione delle persone sul tema delle microplastiche nei mari. Sicuramente non è un’occasione di tutti i giorni poter partecipare ad una COP a vent’anni; dunque, a prescindere dal risultato possono ritenersi soddisfatte del loro operato.

    

L’educazione ambientale per il futuro

Certamente Jelter non è la prima startup pensata per proteggere il mare, per combattere la plastica o costituita da giovani menti. Tuttavia, il racconto della sua creazione, sottolinea quanto al giorno d’oggi sia importante l’educazione ambientale soprattutto se impartita già in tenera età.

    

Rebecca Raho, infatti, racconta di come sia riuscita ad unire il suo corso di studi con la passione e il rispetto per l’ambiente trasmesso dai suoi genitori. Afferma che i genitori le hanno tramandato la passione per l’arte e il design ma anche quella per il mare. È cresciuta in un ambiente in cui tali ambiti potevano essere uniti ed è questo quello che ha fatto lei una volta laureata. Poi ancora ricorda di quanto sia importante apportare dei cambiamenti anche minimi nelle proprie vite, eliminando abitudini sbagliate. Sono passi necessari per il bene del Pianeta soprattutto perché siamo tutti consapevoli di essere in pericolo, è una conoscenza all’ordine del giorno. E afferma

Il grande problema deriva dal fatto che, essendoci nati, continuiamo a darlo per scontato senza davvero renderci conto delle condizioni critiche in cui si trova.”

In conclusione

Jelter è il chiaro esempio di impegno a favore dell’ambiente delle nuove generazioni. Dimostra senza complessi ragionamenti, quanto la sostenibilità e la salvaguardia della Terra siano temi principali nella vita dei giovani. E ancora di più sottolinea quanto sia importante il lavoro di genitori ed insegnanti nell’educare i bambini e i ragazzi al rispetto di tutti e tutto.

   

Non è scontato che le tre studentesse si siano unite per proteggere i mari, poiché laureate in design potevano tentare qualsiasi altro tipo di progetto. Invece l’idea di poter fare la propria parte per salvare il mondo è sempre più sentita dai giovani e questo può essere solo un bene. D’altro canto, il futuro è in mano a loro, quindi se i più grandi (purtoppo) non si impegnano in questo senso, dovranno farlo gli adulti del futuro.

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Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

By : Aldo |Gennaio 01, 2024 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

Le feste natalizie sono terminate e come di consueto ci si appresta (chi più chi meno) a togliere gli addobbi in casa. Giardini e terrazzi non saranno più illuminati dalle mille lucine colorate e quel posto nel soggiorno occupato dall’albero di Natale sarà riempito da altro. Ma l’albero dove finisce dopo quel mese di lavoro?

     

Albero artificiale

Oggi abbiamo un’ampia scelta per i nostri addobbi natalizi; alberi veri, artificiali, di vari colori, con le luci incorporate, alti due metri o in miniatura. Sebbene qualsiasi modello doni un’atmosfera calorosa ed accogliente in ogni ambiente esso si trovi, sarebbe opportuno scegliere con attenzione anche in questo caso.  E bene si, anche l’acquisto del tanto amato albero può essere sostenibile a seconda del tipo, quindi se vero o artificiale e del suo smaltimento.

    

L’albero artificiale è sicuramente una scelta sicura, abbordabile, facile da gestire nella fase di allestimento, smontaggio e per tutta la durata delle feste. Ce ne sono di bianchi, blu, rossi, rosa e alcuni hanno i rami con dei piccoli led incorporati per illuminarlo senza ulteriori cavi. Come detto in precedenza le variabili sono molteplici ma tutte sono prodotte allo stesso modo.

    

Si tratta di elementi composti da plastica (pp e pvc, non riciclabile né biodegradabile) ed acciaio, risultando più leggeri di altri. Circa il 70% degli acquirenti li sceglie per la loro gestione: non devono essere annaffiati né mantenuti in condizioni particolari e non sporcano i pavimenti. Nonostante ciò, non possono essere riciclati in alcun modo e impiegano centinaia di anni per decomporsi: dove troviamo l’aspetto sostenibile?

    

Questi prodotti sono pensati per essere riusati nel tempo, almeno per 10 addirittura 20 anni per ridurre al minimo il loro impatto. Tuttavia, secondo i sondaggi, un albero artificiale viene riusato per meno del tempo minimo previsto, quindi per 5, 7 anni. Questo comportamento determina un elevato inquinamento non necessario ed evitabile.

 

Abeti veri

Se invece si sceglie l’abete vero, si favorisce la sostenibilità, soprattutto se acquistato da attività locali. L’unica decisione importante da prendere prima di pagare è la scelta tra un albero reciso oppure vivo, poiché potrebbe avere differenti seconde vite. Infatti, una volta terminate le feste, si passa alla fase dello smaltimento, per la quale si deve riporre molta attenzione per non rischiare di inquinare maggiormente. Questo è rilevante poiché nonostante si tratti di un albero naturale non significa che si possa gettare ovunque o a caso.

  

Per esempio, un albero reciso può essere impiegato per la produzione di compost o di ghirlande, accessori per la casa o sottobicchieri. Mentre l’albero non reciso può essere ripiantato. Spesso in America vengono usati per creare barriere contro l’erosione del suolo stabilizzando così coste di fiumi e laghi. Oppure ancora come rifugi e mangiatoie per i pesci sul fondo degli stagni. 

   

Considerare queste alternative è un buon metodo per rendere sostenibile lo smaltimento dei nostri addobbi. Tali accorgimenti sono importanti soprattutto perché l’albero se lasciato in discarica potrebbe inquinare più di quanto pensiamo. Jessica Davis, direttrice dell’Ufficio per la sostenibilità dell’Indiana University-Purdue spiega il motivo:

 

I materiali organici hanno bisogno di ossigeno per decomporsi, un gas scarsamente presente nei luoghi deputati allo smaltimento. Ciò implica che, quando la pianta finalmente si decomporrà, rilascerà metano, uno dei più potenti gas serra, che produce un effetto circa 25-30 volte maggiore rispetto a quello dell’anidride carbonica. Di certo è meglio evitare l’utilizzo del legno di abeti e i pini per accendere il fuoco, poiché contengono creosoto. Si tratta di un catrame altamente infiammabile, che produce fuliggine e può provocare incendi nei camini.”

 

L’impegno di Ikea

In questo ambito c’è chi è riuscito a fare la differenza e la fa da anni. Ikea, infatti, dal 2016 collabora con AzzeroCO2, società di Legambiente e Kyoto Club nell’ambito della Campagna Nazionale Mosaico Verde per riqualificare il territorio italiano. In particolare, ha intrapreso un percorso di circolarità e sostenibilità basato sulla rigenerazione di boschi e foreste.

    

Inizialmente, per ogni albero acquistato e restituito nei negozi Ikea, venivano destinati €2 alla campagna “Compostiamoci Bene”. L’iniziativa era centrata sulla riforestazione e sul recupero di aree in stato di abbandono o esposte al rischio idrogeologico. Nel 2018 con l’iniziativa Mosaico Verde, il gigante delle svedese ha piantato 3000 alberi in aree fragili o colpite da calamità. Ma il progetto non è finito qui.

     

Quest’anno Ikea, per ogni abete restituito, donerà €4 per realizzare un progetto di produzione e condivisione di energia pulita. Si tratta di un programma incluso nella campagna di Responsabilità sociale Energy Pop. Mira alla condivisione di energia prodotta da rinnovabili sui tetti di case popolari e cooperative sociali, grazie all’installazione di impianti fotovoltaici in quartieri fragili di Firenze.

 

Insomma, gli alberi di Natale sono simbolo delle festività, addobbarli a regola d’arte e postare loro foto ovunque è diventato un must. Nonostante ciò possiamo fare la differenza anche in questo caso, quindi nei prossimi giorni non portate tutto in discarica, siate creativi o lungimiranti. Lo fate per le vostre tasche e per il Pianeta.

 

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Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

By : Aldo |Dicembre 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

Il 2023 ha portato con se avvenimenti e cambiamenti positivi e negativi, come del resto ogni anno. Tuttavia, in ambito climatico dobbiamo lavorare molto vista l’accezione negativa affidata al 2023.

 

Cosa è successo in Italia

Come nel resto del mondo anche in Italia non sono mancati eventi anomali e fenomeni estremi legati al cambiamento climatico sempre più accentuato. L’Osservatori città-clima di Legambiente in collaborazione con Unipol hanno analizzato gli avvenimenti dell’anno realizzando un quadro completo della situazione in cui versa il Belpaese. I risultati non sono dei migliori.

   

Infatti, secondo lo studio, la Penisola ha affrontato più di un evento meteorologico estremo al giorno, notando un’accelerazione della crisi climatica. Nello specifico siamo a quota 378, dunque si è registrato un aumento del 22% rispetto al 2022.

   

Tutto ciò ovviamente comporta disagi di ogni tipo e in ogni ambito possibile e quindi danni economici ingenti. Basti pensare che nel 2023 quasi 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione causati da maltempo o calamità naturali.  Sebbene, il nord abbia registrato 210 eventi meteorologici estremi, il centro 98, il sud 70, Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato sono le città più colpite.
   

I fenomeni estremi

Per quanto riportato dallo studio appena citato, come da tante altre analisi degli ultimi anni, i fenomeni metereologici estremi sono in forte aumento. Questi eventi hanno un’origine naturale, non si tratta di fantascienza, ma hanno delle caratteristiche che li rendono estremi o comunque anomali. Tra queste la durata, la frequenza, il periodo e il luogo in cui avvengono e la loro potenza. Con il cambiamento climatico però queste caratteristiche cambiano.

   

Secondo l’analisi, Lombardia ed Emilia-Romagna sono le regioni che più hanno sofferto questi fenomeni con rispettivamente, 62 e 59 eventi. A loro seguono la Toscana con 44, il Lazio (30), il Piemonte con 27, il Veneto (24) e la Sicilia (21). Mentre se ci spostiamo nelle province, al primo posto troviamo Roma con 25 eventi estremi, Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10.

   

Alluvioni, piogge ed esondazioni

Le alluvioni (insieme all’esondazione dei fiumi) sono aumentate del 170% rispetto al 2022. In effetti si sono verificate in tutto il Paese senza fare sconti ad alcuna regione. Le più importanti per danni arrecati, potenza e dispersione sono quelle che hanno messo in ginocchio l’Emilia-Romagna.

   

La prima tra il 2 e 3 maggio e poi la seconda che ha dato il colpo di grazia tra il 15 e il 17 maggio. Gli effetti di tale evento hanno coinvolto 44 comuni (tra Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna), apportando danni per oltre 8,8 miliardi di euro. Durante questo fenomeno sono caduti più di 300 mm d’acqua in 2 giorni, sono straripati ben 23 corsi d’acqua, e si sono verificate 280 frane. In maniera simile sono state colpite le province di Pesaro- Urbino e Ancona nelle Marche, reduci dai fenomeni del precedente anno.

    

Dei casi ancora più particolari riguardano le violente grandinate estive, che hanno colpito il nord est. Addirittura, il 19 luglio si sono registrate 52 grandinate, che hanno causato gravi danni all’agricoltura e 110 feriti. Per quanto riguarda l’esondazione dei fiumi, legata ad alluvioni e nubifragi si ricordano:

  • l’esondazione del Seveso il 31 ottobre a Milano
  • esondazioni ed allagamenti nelle città di Firenze, Prato e Pistoia con danni per 1,9 miliardi di euro e 5 vittime (11, 12 novembre).

I tipi di fenomeni sono vari e spesso concatenati, ma ogni anno toccano picchi più alti. In modo generico si contano:

  • 118 casi di allagamenti da piogge intense (+12,4%);
  • 39 casi di danni da grandinate, aumentati del 34,5%;
  • 35 da esondazioni fluviali;
  • 26 da mareggiate, aumentate del 44%;
  • 18 casi di frane causate da piogge intense (+64%).

L’estremo caldo

Sebbene film di Paolo Virzì, “Siccità” rappresentasse una visione estrema, quasi distopica dell’aumento delle temperature, ogni mese si conferma un nuovo record. È importante ricordare però, che queste temperature non sono correlate solo all’estate. Per esempio, il 1° ottobre a Firenze si sono registrati 33°C (10 in più rispetto al precedente record del 2011). Mentre a Prato si sono verificati 32°C, eguagliando il primato del 1985: complessivamente si sono verificati 20 casi di temperature estreme in città.

   

Tale incremento si è concentrato soprattutto nelle aree urbane: +150% rispetto ai casi del 2022. Inoltre, di recente, il servizio europeo sul cambiamento climatico di Copernicus ha rivelato che lo scorso novembre è stato il sesto mese consecutivo a registrare temperature record.  Questi fenomeni poi danneggiano altri processi importanti come quelli legati alla neve e ai ghiacciai: lo zero termico ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi, con i ghiacciai in ritirata.

   

Ovviamente si tratta di un problema globale che presenta una temperatura media di 14,22 gradi centigradi, superiore di 0,32°C rispetto al primato di novembre 2020.

     

Un problema legislativo

La preoccupazione da parte degli esperti cresce ma non è legata solo alla maggiore frequenza degli eventi, ma anche alla mancanza di piani nazionali. Quello che ha sottolineato l’Osservatorio è proprio questo, l’Italia infatti non ha un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, fondamentale per affrontare i prossimi anni. 

    

I cittadini e le imprese possono cambiare abitudini, ma il governo e i tecnici preposti devono muoversi in altri modi. Poiché in assenza di una valida strategia non potremmo risolvere efficientemente le emergenze che si verificheranno prossimamente e saremo costretti ad agire senza certezze.

    

L’idea avanzata per far fronte a tale lacuna è quella della creazione di una guida fondata su 3 pilastri:

  • Un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici da approvare prima possibile con adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuarlo;
  • una legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni;
  • ridurre le emergenze, focalizzandosi sulla prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni.

Se si applicasse una normativa simile, le emergenze si affronterebbero in maniera analitica, certa e sicura. Ogni evento meteorologico estremo potrebbe recare gravi danni a cose, persone e alla nostra economia, senza un piano ben delineato, dei fondi e l’aiuto delle istituzioni. Impariamo a prevenire anche in questo senso, adattandoci al cambiamento e le anomalie non saranno più catastrofiche, come lo sono oggi.

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Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

By : Aldo |Dicembre 21, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

Stare attenti all’alimentazione non significa non mangiare nulla, allo stesso modo, mangiare in modo sostenibile non vuol dire cibarsi solo di tofu. Nello specifico ogni pasto può essere più ecofriendly così come quelli di Natale, senza però rinunciare ai gusti e alle sfiziosità della nostra cucina.

     

Cambiare abitudini

Ad oggi esistono dei preconcetti che vanno analizzati e cambiati, nel modo più efficiente possibile, per esempio quelli legati all’alimentazione sostenibile. Purtroppo, ancora tante persone credono che cambiare abitudini alimentari per essere più ecofriendly significhi mangiare solo soia e verdure. Ovviamente tale pensiero non è invitante ancor di più se comparati ai deliziosi piatti della nostra tradizione.

   

Ma questo è appunto, un preconcetto. Per poter modificare delle abitudini così radicate bisogna trasformare passo dopo passo la nostra quotidianità per quanto riguarda il cibo. Tuttavia, per arrivare al piatto in tavola bisogna superare tanti steps, per poi diventare più sostenibili, senza aver trasformato totalmente la nostra dieta.

    

In questo ovviamente rientrano anche i pasti più importanti, non del giorno, ma dell’anno, come quelli delle feste natalizie. Questo è un periodo letteralmente dettato dal cibo: pranzi, cene e merende sono l’occasione per incontrare amici e parenti. Ma se fossimo più attenti a cosa compriamo, dove e in quale periodo sarebbero delle feste ancora più sostenibili.

     

La spesa e gli alimenti

La spesa è il primo gradino per cambiare le nostre abitudini, poiché è proprio in quel momento che si fanno le scelte più importanti. Si decide cosa comprare, le quantità, la provenienza dei prodotti e i loro costi; quindi, è un passo fondamentale del cambiamento.

    

Infatti, per prima cosa è opportuno optare per attività locali o i mercati rionali, dove possiamo trovare alimenti sfusi o con meno packaging. Questo è già un passo rilevante per ridurre i rifiuti derivati dal settore, che in queste settimane aumenta notevolmente. Di solito in questi contesti possiamo trovare prodotti locali, magari a “Km 0” e perché no anche biologici. Soprattutto perché è molto probabile un alimento ha tutte le caratteristiche appena riportate, sia anche un prodotto stagionale.

     

Ecco la stagionalità degli alimenti è una qualità importantissima per noi e per il pianeta. Consumare solo frutta e verdura locale e di stagione determina un consumo consapevole del cibo, ed una minor produzione di emissioni. Questi due processi sono collegati da meccanismi che fanno parte ormai delle nostre abitudini:

  • la richiesta di cibo aumenta
  • i tempi di produzione diminuiscono
  • la stagionalità non viene rispettata
  • quindi si cercano gli alimenti in altri Paesi per sopperire al fabbisogno.

Ovviamente per portarli da uno stato all’altro servono dei mezzi di trasporto che contribuiscono all’emissione di CO2 e alla produzione di rifiuti. Questo succede poiché i prodotti trasportati devono essere impacchettati e imballati, in modo più consistente rispetto ad un prodotto locale venduto al mercato.

     

Inoltre, la coltivazione di frutta e verdura non stagionale, necessita una grande quantità d’acqua e un uso intensivo del suolo. Non c’è da dire che tutte queste pratiche sono tutt’altro che sostenibili. Se fosse possibile quindi, scegliamo alimenti che provengono da una filiera corta e verificata.  

In questo link potrete trovare una lista di ortaggi di stagione
https://www.wwf.ch/it/guida-frutta-e-verdura

    

Gli avanzi e il riciclo

Quando andiamo a fare la spesa è fondamentale avere in mente le quantità che ci servono effettivamente. Quindi in questi periodi sarebbe opportuno comprare a seconda di un menù già pronto (esempio per il cenone del 24). Se pensiamo ad un menù o quantomeno abbiamo un’idea di quello che prepareremo e calcoliamo le giuste porzioni, possiamo fare una spesa più consapevole.

    

Certo è, che se si comprano abbondanti quantità di cibo che non vengono consumate il giorno stesso, possiamo sempre “riciclare”. Sarebbe meglio evitare sprechi e troppi avanzi, ma anche in questo caso ci sono varie soluzioni. La prima è quella di dividersi gli avanzi tra amici e parenti, la seconda è quella di inventare piatti con quello che è rimasto a tavola.  

   

Difatti siamo alle porte del 2024, non ci sono scuse che tengono. Si possono consultare internet e i social per sbizzarrirsi con il pandoro avanzato, la verdura del 25 oppure i resti del pesce del 24. Tutto questo fa bene sia alle nostre tasche ma anche all’ambiente.

    

In conclusione

La sostenibilità a volte è considerata qualcosa di troppo lontano dalle nostre possibilità, qualcosa di impossibile, un’entità utopica. Invece spesso e volentieri si può ridurre il proprio impatto sul pianeta attraverso piccole azioni che non richiedono uno sforzo immane.

    

Le nostre feste e i conseguenti pasti in compagnia possono essere sostenibili anche con pochi accorgimenti. Non c’è bisogno di stravolgere dicembre e le sue ricette, serve semplicemente un’attenzione maggiore alla spesa e agli sprechi.

Tutti possiamo fare la differenza e se ci riusciamo in questi giorni, doniamo un grande regalo alla nostra Terra.

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