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Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.

By : Aldo |Dicembre 02, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.

La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità. Per tali ragioni, è necessario trovare un accordo globale per limitare e cercare di ridurre per quanto possibile, i danni correlati a tale questione.

Trattati sulla plastica

Il Trattato globale sull’inquinamento da plastica, avviato nel marzo 2022 con l’adesione di 175 nazioni durante l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite (UNEA-5.2). Grazie all’istituzione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC),  punta a regolamentare l’intero ciclo di vita della plastica entro il 2024. Tra i suoi obiettivi principali figurano la riduzione della produzione di plastica vergine, la promozione dell’economia circolare e il controllo delle microplastiche. La “Bozza Zero”, presentata nel settembre 2023, è alla base dei negoziati, sostenuti da coalizioni internazionali ma ostacolati dai contrasti con alcuni Paesi produttori di petrolio.

Nonostante il sostegno internazionale, il successo del trattato dipende dalla cooperazione globale e dalla capacità di superare le divergenze politiche. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha ribadito l’urgenza di un accordo ambizioso e vincolante per affrontare questa crisi ambientale.  La prossima sessione dell’INC, fissata per aprile 2025, sarà decisiva per confermare l’efficacia delle misure proposte.

Le basi per Busan 2024

A Busan, in Corea del Sud, si è svolto il quinto e ultimo ciclo di negoziati per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. L’incontro, durato una settimana, dal 25 novembre al 1° dicembre, che riunisce i delegati di 175 Paesi, rappresenta un’opportunità cruciale per affrontare un problema crescente. La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Mentre le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità.

Ogni anno, circa 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’ambiente. Nonostante le promesse di sostenibilità, solo il 10% della plastica viene riciclata a livello globale, mentre la metà dei prodotti plastici viene destinata alle discariche. Tuttavia, le divisioni fra Paesi produttori di combustibili fossili e quelli che cercano di ridurre la produzione di plastica vergine ostacolano i progressi verso un accordo internazionale.

Le difficoltà nei negoziati

Gli ultimi negoziati per il Trattato globale sulla plastica hanno fallito a causa o forse soprattutto per le divisioni tra i Paesi, che continuano a bloccare il dialogo, bloccando qualsiasi intesa entro la scadenza del 1° dicembre.  Purtoppo il dibattito a Busan è ruotato attorno visioni contrapposte: Paesi come Arabia Saudita, Iran e Russia si sono opposti alla limitazione della produzione di plastica vergine, mentre nazioni dell’UE, insieme a Svizzera e Fiji, hanno continuato a sostenere una riduzione sostenibile.

L’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio e prodotti petrolchimici, è accusata di ostacolare deliberatamente i negoziati. Questo perché ha mantenuto posizioni immutate e rallentato i progressi, mentre altri Paesi produttori di idrocarburi e lobby legate all’oil&gas hanno esercitato un’influenza significativa. Anche Anche gli Stati Uniti erano per la riduzione della produzione di plastica vergine, ma l’influenza di politiche basate sui combustibili fossili rischia di compromettere il loro impegno. La sola speranza di molti è che la Cina possa assumere un ruolo di leadership per facilitare un’intesa.

Tuttavia, le regole ONU, richiedono il consenso unanime, è questo ha portato allo stallo e al fallimento di cui siamo a conoscenza oggi.

Proposte e punti di disaccordo

Proprio per evitare lo stallo prevedibile, la delegazione di Panama ha persino proposto di abbandonare questa regola per accelerare il processo, ma senza successo. Dunque, l’ultima bozza dell’accordo non raggiunto, era ancora piena di opzioni e mancava di compromessi significativi. Perciò gli esperti dell’UNEP hanno sottolineato l’importanza di un approccio basato sul ciclo di vita della plastica, includendo la gestione dei rifiuti e la promozione di modelli di consumo sostenibili.

Sebbene le premesse fossero chiare, tra i punti di disaccordo, quindi i temi più caldi che presentano ancora 22 opzioni aperte, si riportano:

  • la riduzione della produzione globale di plastica,
  • la definizione di prodotti pericolosi per la salute
  • finanziamento per i Paesi in via di sviluppo per sistemi di gestione dei rifiuti.

Inoltre, alcune nazioni, tra cui Francia e Kenya, hanno proposto un’imposta sulla plastica vergine per raccogliere fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo, con una tariffa tra 60 e 70 dollari per tonnellata. Ovviamente, l’idea è stata fortemente osteggiata dalle associazioni industriali.

Senza contare, gli argomenti che prevedono delle visioni basilari contrastanti per via delle leggi internazionali, oppure che prevedono 2 soluzioni convergenti. Sicuramente è necessario stabilire quale approccio usare, se quello massimalista, che prevede limiti alla produzione di plastica (articolo 6), o quello minimalista, focalizzato esclusivamente sul potenziamento del riciclo. E poi bisogna ragionare  su un secondo contrasto tra il principio “chi inquina paga”, il diritto di ogni Paese a utilizzare le proprie risorse naturali come ritiene opportuno.

Accuse e malcontento generale.

Il vertice di Busan, dunque, si è concluso senza un accordo per il Trattato globale sulla plastica. Ovviamente questo ha portato a delle grandi accuse e delusioni. In primis, il diplomatico ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso ha sottolineato come i negoziati siano stati rallentati da tattiche dilatorie, come 60 interventi di cinque minuti per modificare una frase. Secondo l’OCSE, senza interventi, l’inquinamento da plastica triplicherà entro il 2060, con la produzione globale che potrebbe crescere da 460 milioni di tonnellate nel 2019 a 1,2 miliardi di tonnellate.

La Coalizione delle Alte Ambizioni ha criticato l’ostruzionismo dei paesi petroliferi e Greenpeace ha denunciato gravi conseguenze per l’ambiente, ma alcuni delegati, come quelli di Norvegia e Ruanda, hanno segnalato progressi nel testo preliminare. La prossima sessione, prevista nel 2025, non ha ancora una data o sede, con Canada e Francia che chiedono un incontro a livello governativo.

 

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Cop29, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Stop ai petro-stati come host delle COP.

By : Aldo |Novembre 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cop29, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Stop ai petro-stati come host delle COP.

La COP29, svoltasi a Baku dall’11 al 27 novembre 2024, si è svolta in un contesto di tensioni geopolitiche. Tra resistenze dei Paesi ricchi a finanziare adeguatamente il Sud globale, la crescente sfiducia nel processo multilaterale e una presidenza controversa affidata a un petro-stato. Il focus esclusivo della conferenza è stato il New Collective Quantified Goal (NCQG), mirato a definire i flussi finanziari necessari per sostenere la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo.

Risultati Principali

Per quanto riguarda la finanza climatica, il target è stato fissato a 300 miliardi di dollari annui a partire dal 2035, una cifra lontana dai 1.300 miliardi richiesti dal Sud globale. Di questi, solo i 300 miliardi sono vincolanti, mentre il resto rimane un’aspirazione, un invito senza obblighi concreti. Tuttavia mancano chiarezza e sicurezza sulle fonti finanziarie, che includono privati e bilaterale. È stato però confermato il principio di non indebitamento per i Paesi poveri e istituita una roadmap per raggiungere l’obiettivo più ambizioso, sebbene priva di dettagli concreti.

Il tema della parità di genere ha ricevuto scarsa attenzione. Non si è raggiunto un accordo sull’estensione del piano d’azione, e le richieste di finanziamenti dedicati sono state respinte dai Paesi ricchi. Divisioni linguistiche hanno portato alla rimozione di termini come “intersezionalità”, mantenendo solo riferimenti generici ai diritti umani.

Sebbene dopo nove anni di attese, sono state adottate delle regole per il mercato dei carbon credit attese, il sistema rimane incompleto e insufficiente. Sul fronte della mitigazione climatica, non si è raggiunto alcun accordo concreto sulla transizione dai combustibili fossili, con il tema rinviato alla COP30. Si è evitato però un riferimento ambiguo ai “combustibili di transizione” come il gas naturale.

 

Criticità e Insoddisfazioni

Il Sud globale ha espresso insoddisfazione per la scarsità dei fondi stanziati e per l’assenza di impegni concreti. Temi fondamentali come la mitigazione climatica e la parità di genere sono stati affrontati in modo marginale o rinviati, evidenziando il peso delle lobby fossili, che hanno ostacolato i progressi e aggravato le già delicate tensioni geopolitiche.

Il target finanziario include una considerevole quota di prestiti, una scelta particolarmente contestata dai Paesi in via di sviluppo. Nonostante l’impegno a triplicare i finanziamenti ai fondi ONU entro il 2030 e a riesaminare il tema alla COP30, queste misure sono state giudicate insufficienti. L’India, in particolare, ha criticato il processo decisionale, denunciando l’approvazione del testo finale senza un consenso condiviso.

Prospettive Future

La COP30, che si terrà in Brasile, rappresenterà un momento decisivo per affrontare temi rinviati come la mitigazione climatica. Attori centrali come l’Unione Europea, la Cina e il Brasile stesso, avranno un ruolo strategico a Belém 2025. Mentre l’UE intende garantire finanziamenti non legati a nuovo debito, la Cina prosegue con progetti bilaterali senza vincoli multilaterali, Brasile, in qualità di ospite, sarà il mediatore tra Nord e Sud globale.

Un elemento chiave sarà il coinvolgimento del settore privato, incoraggiato a investire in progetti sostenibili e rispettosi delle comunità locali, senza generare nuovo debito. Sebbene l’accordo della COP29 sia stato considerato debole, come un bicchiere mezzo vuoto, non è stato totalmente vuoto. Infatti potrebbe costituire una base di partenza per il futuro, che tuttavia richiederà un rafforzamento della volontà politica e un maggiore impegno privato.

Sembra assurdo affermarlo, ma sembra che ogni anno, più si ha la consapevolezza scientifica e pratica dei cambiamenti e più ogni anno cresce l’indifferenza di certe popolazioni. Non a caso, certi processi sono resi più complicati dalla possibile nuova uscita degli USA dall’Accordo di Parigi e dal negazionismo di vari capi di stato.

Senz’altro è fondamentale che si cambi rotta anche per quanto riguarda gli host. Non è più accettable che i petro-stati possano ospitare dei summit globali di questo genere, in quando hanno un’influenza rilevante che da 3 anni si impone sugli accordi, con velate intimidazioni e degli obiettivi insufficienti o poco concreti.

Già lo scorso anno, Al Gore aveva criticato aspramente gli Emirati Arabi Uniti per aver nominato Sultan al-Jaber, CEO di ADNOC, presidente della Conferenza. Definì tale atto, come un abuso della fiducia pubblica accusando la leadership della conferenza di non essere imparziale. Inoltre, evindenziò l’aumento delle emissioni di gas serra degli Emirati nel 2022, sottolineando il conflitto d’interessi nella gestione delle negoziazioni sul clima. Gore criticò inoltre la presenza delle compagnie petrolifere e la promozione di tecnologie come la cattura del carbonio, accusando queste aziende di proteggere i loro profitti a scapito della salute del pianeta.

  

Nonostante i limiti, la COP29 ha evitato un fallimento totale e ha posto le basi per il futuro, ma la strada verso una vera transizione ecologica rimane difficile, richiedendo determinazione, rigore scientifico e capacità di adattamento.

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Conoscere l’impatto della moda è fondamentale, come saper riciclarne i tessuti.

By : Aldo |Novembre 24, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Conoscere l’impatto della moda è fondamentale, come saper riciclarne i tessuti.
riciclo-tessuti

Il fenomeno del fast fashion ha un impatto sempre più rilevante col passare degli anni, nonostante le inchieste che lo condannano per molteplici cause. Tutti sappiamo come sta inquinando acque, suoli, l’aria, per non parlare dello sfruttamento umano e minorile, ma continuiamo a comprare dalle stesse aziende. Quindi sempre per il concetto dell’economia circolare e quindi di una maggiore sostenibilità, sarebbe opportuno far capire in modo concreto, come e quanto inquinano i nostri abiti. Ma soprattutto come possiamo riciclarli grazie alle nuove tecnologie e alla creatività.


L’impatto del fast fashion

Il fast fashion ha un impatto ambientale significativo, non solo per la produzione intensiva e il rapido ricambio di capi d’abbigliamento, ma anche per le conseguenze nascoste legate al lavaggio dei tessuti sintetici. Infatti molti abiti economici sono realizzati con materiali come il poliestere, che durante i lavaggi rilasciano microfibre di plastica nell’acqua. Queste particelle microscopiche, nei fiumi e negli oceani, contribuendo all’inquinamento marino e minacciando gli ecosistemi acquatici. Pertanto la loro dispersione è un problema silenzioso ma diffuso, aggravato dall’enorme quantità di vestiti prodotti e consumati, che richiede un’attenzione maggiore sia da parte dei produttori che dei consumatori.

Di certo per limitare tali problematiche è fondamentale un’adeguata sensibilizzazione del consumatore. Quest ultimo infatti deve essere consapevole di cosa compra e dell’impatto che hanno i prodotti che acquista. Così facendo è più probabile che si possa avere un cambio di direzione, raggiungendo nuovi obiettivi comuni. Analogamente è cruciale la consapevolezza che i prodotti che acquistiamo possono, anzi, devono essere riusati e riciclati. In entrambi i casi, i cittadini non sono chiamati a creare delle nuove strategie, ma semplicemente ad essere informati e a optare per le soluzioni migliori.

 

L’etichetta dell’impatto

Chi invece è chiamato a fare la differenza sono gli studiosi e i ricercatori di tutto il mondo che giorno dopo giorno trovano soluzioni e innovazioni per aiutarci a salvare il mondo. In questo caso parliamo di un’etichetta per vestiti abbastanza particolare, unica nel suo genere.

Infatti, due ricercatrici della Heriot-Watt University, Sophia Murden e Lisa Macintyre, hanno sviluppato un sistema per classificare i capi d’abbigliamento in base alla quantità di microplastiche che rilasciano. L’obiettivo è creare un’etichetta informativa che permetta di valutare l’impatto ambientale dei tessuti in modo semplice e immediato. Attualmente, i metodi disponibili per misurare il rilascio di microfibre, come quelli gravimetrici, sono complessi e costosi, dunque le ricercatrici propongono un approccio più accessibile e altrettanto accurato. Il loro metodo si basa su lavaggi in laboratorio, seguiti dall’analisi dei residui filtrati con il supporto di una scala visiva simile a quella usata per valutare le gradazioni di grigio.

Inizialmente testata sul poliestere nero, questa tecnica ha mostrato risultati comparabili ai metodi tradizionali. Le ricercatrici auspicano che le aziende adottino materiali più sostenibili e che i consumatori possano fare scelte consapevoli grazie a un’etichetta basata su questa scala. Tuttavia, è ancora necessario ampliare i test ad altri tipi di fibre e colori per perfezionare il sistema.


Il riciclo creativo

Come già detto, oltre all’innovazione serve una grande attività di riciclo che non riguarda solo i cittadini ma anche e forse soprattutto le aziende. Non a caso di recente nascono tante idee per far si che si buttino sempre meno capi d’abbigliamento, aumentando il tasso di riciclo soprattutto per mezzo di processi creativi. Un esempio è Pulvera, una startup fondata dalle sorelle Eleonora e Beatrice Casati, che trasforma scarti tessili in materiali innovativi e soluzioni di design sostenibile. Ispirate alla creatività del bisnonno Celso Casati, che negli anni ’40 sperimentò il riutilizzo delle fibre tessili, le due sorelle hanno sviluppato un modello di economia circolare per ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile. Pulvera collabora con aziende per recuperare e trasformare scarti in polvere utilizzabile in vari settori, come la produzione di carta e plastica.

Tra i loro progetti di design, spicca “Cremino”, un pouf realizzato con materiali derivati da vecchi materassi, che dimostra come sia possibile creare nuovi prodotti evitando lo spreco di risorse. Le sorelle Casati, legate al valore della sostenibilità, promuovono uno stile di vita rispettoso dell’ambiente anche nella loro quotidianità. Guardano al futuro puntando a consolidare la presenza sul mercato italiano e ampliarsi in Europa, proponendosi come punto di riferimento per il riciclo nel settore tessile.

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COP29. Emissioni non pervenute, fondi insufficienti e ancora tanti “inviti”.

By : Aldo |Novembre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su COP29. Emissioni non pervenute, fondi insufficienti e ancora tanti “inviti”.

Arrivati alla conclusione di questa 29 esima conferenza, la situazione globale è cambiato poco. Gli interessi dei vari stati non sembrano coincidere e in certi casi le sfide climatiche non preoccupano proprio.
Al netto di tutto quello che è stato discusso nelle due settimane di conferenza, i risultati generali non fanno ben sperare. Ecco i punti sviluppati e i nuovi accordi.

 

Il “clima” della COP

COP29, Baku 2024, il clima dei negoziati non è mai stato così teso, con una bozza di accordo che ha suscitato forti critiche da parte di rappresentanti dell’Unione Europea e di paesi sviluppati. Dopo le prime proposte messe in tavola dai vari delegati, Woepke Hoekstra, capo della delegazione UE, aveva definito il testo “sbilanciato” e “inattuabile”. Questo perché il documento non affrontava adeguatamente la riduzione delle emissioni di gas serra rispetto agli impegni presi a Dubai l’anno precedente. Anche l’Australia ha espresso preoccupazioni simili.

Dall’altra parte, i leader africani del Gruppo dei 77 più Cina hanno evidenziato l’assenza di un importo specifico che i Paesi ricchi dovrebbero versare ai Paesi in via di sviluppo. Evidenziando tale questione hanno chiesto un contributo annuale di almeno 1,3 trilioni di dollari così da trattare con cifre concrete e non ipotetiche.  Invece il ministro italiano dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha insistito sulla necessità di non fermarsi solo alla finanza, ma di discutere anche sulla mitigazione.

A questo punto la bozza presentata prevedeva due opzioni ministeriali contrastanti:

  • La prima stabiliva un obiettivo collettivo per la finanza climatica, richiedendo ai Paesi sviluppati di fornire almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno in sovvenzioni a fondo perduto.
  • La seconda, proponeva un aumento della finanza globale per il clima a un importo non specificato (X trilioni) per tutti i Paesi, inclusi quelli in via di sviluppo.

Tuttavia, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito che le posizioni iniziali delle delegazioni sarebbero dovute cambiare per raggiungere un accordo il prima possibile. Nonostante, la presidenza azera era alla ricerca di un compromesso prima della conclusione della conferenza, l’assenza di una forte leadership americana e le tensioni tra Nord e Sud globale hanno reso incerta la possibilità di un risultato positivo. Ovviamente, la Cina avrebbe avuto un ruolo cruciale nel determinare l’esito dei negoziati.

Nuovi accordi e patti consolidati

Gli ultimi aggiornamenti sui negoziati della COP29 sono arrivati e sembrano puntare ad un accordo significativo.

Sicuramente il primo obiettivo è quello richiesto dai Paesi in via di sviluppo come essenziale per affrontare la crisi climatica. Infatti, si tratta di raggiungere 1.300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima entro il 2035. Nello specifico la bozza prevede che i Paesi sviluppati contribuiscano con 250 miliardi di dollari all’anno, un aumento rispetto al precedente impegno di 100 miliardi.


Successivamente si può evidenziare un importante cambiamento con l’inclusione di nuovi donatori nella bozza. Questo significa che i Paesi in via di sviluppo sono “invitati” contribuire senza compromettere il loro status, permettendo così anche a nazioni come Cina e India di partecipare come donatori. Nonostante ciò, l’accordo riconosce la necessità di risorse pubbliche e finanziamenti altamente agevolati, in particolare per i Paesi più vulnerabili.

Critiche e dubbi

Le decisioni prese durante la COP29 hanno sollevato dubbi e critiche, soprattutto per quanto riguarda gli impegni finanziari dei Paesi sviluppati nei confronti di quelli in via di sviluppo. Nonostante i progressi, l’importo proposto di 250 miliardi di dollari è stato giudicato insufficiente per affrontare le sfide climatiche globali. Le stime indicano che i Paesi in via di sviluppo necessiteranno tra 5.100 e 6.800 miliardi di dollari entro il 2030, con ulteriori costi di adattamento annuali stimati tra 215 e 387 miliardi di dollari, ma non sono stati fissati impegni vincolanti per colmare questo divario.

Altre critiche riguardano l’eliminazione di riferimenti importanti, come le emissioni storiche e il PIL pro-capite, che avrebbero potuto garantire una maggiore equità nella distribuzione degli oneri. Anche sul fronte dei diritti umani, i riferimenti alle categorie vulnerabili restano vaghi, senza indicazioni concrete su come garantire loro accesso prioritario ai fondi.

Esponenti come Ali Mohamed, capo delegazione del gruppo africano, hanno definito l’importo proposto gravemente insufficiente, avvertendo che porterà a perdite inaccettabili. Gli esperti chiedono che gli obiettivi finanziari siano aumentati per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi. La conferenza ha messo in evidenza il divario tra le aspettative dei Paesi in via di sviluppo e gli impegni dei Paesi sviluppati, in attesa di un documento finale che potrebbe delineare nuove direzioni per i negoziati.

Proteste

Anche quest’anno non sono mancate proteste proteste e campagne per evidenziare le profonde ingiustizie climatiche e la necessità di azioni più decise contro le aziende di combustibili fossili. Tra queste, la campagna #PaybackTime, sostenuta da celebrità come Jude Law e promossa da Global Witness, ha puntato il dito contro le multinazionali del settore energetico, accusate di generare enormi profitti a scapito del Pianeta. Con un guadagno di 4 trilioni di dollari nel 2022, queste aziende sono state esortate a contribuire ai costi dei danni climatici, che colpiscono in modo sproporzionato i Paesi in via di sviluppo. L’iniziativa ha incluso l’uso provocatorio del dominio cop29.com per denunciare i dirigenti delle aziende fossili, evidenziando la loro responsabilità diretta nella crisi climatica.

Parallelamente, movimenti come Fridays for Future e Greenpeace hanno organizzato manifestazioni per chiedere una transizione energetica più ambiziosa e per denunciare l’iniquità nei finanziamenti climatici. I manifestanti hanno sottolineato il paradosso di promuovere azioni climatiche mentre si continuano a sostenere nuove infrastrutture per carbone, petrolio e gas. Le proteste hanno anche evidenziato l’esclusione di gruppi vulnerabili e comunità indigene dai benefici delle politiche climatiche.

Figure simboliche come Greta Thunberg hanno criticato la mancanza di coerenza tra le promesse dei leader e le azioni concrete, definendo la COP29 un’occasione mancata. Eventi simbolici, come un “funerale climatico” organizzato da rappresentanti di Paesi insulari come Vanuatu e Tuvalu, hanno ricordato i rischi imminenti legati all’innalzamento del livello del mare, richiamando l’urgenza di un cambiamento.

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COP 29. Affermazioni e primi risultati, sembrano non dare speranze.

By : Aldo |Novembre 14, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su COP 29. Affermazioni e primi risultati, sembrano non dare speranze.

La COP29, si è aperta a Baku, Azerbaijan, puntando i riflettori sui complessi equilibri tra la necessità di azioni concrete e gli interessi geopolitici legati all’industria energetica. Quindi la conferenza rappresenta un momento cruciale per discutere politiche e misure ambientali essenziali per contenere il riscaldamento globale. Tuttavia, la presenza di molteplici attori del settore fossile ha sollevato tanti sull’effettiva volontà di operare un cambio di rotta.

Le Priorità

L’istituzione di un mercato globale dei crediti di carbonio è una delle principali priorità della COP29. Questo sistema consentirebbe ai Paesi di comprare e vendere diritti di emissione di CO₂ per raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni. Nonostante ciò, tale meccanismo è oggetto di critiche, poiché è visto come una forma di “neocolonialismo ambientale”. Infatti, le comunità dei Paesi in via di sviluppo, coinvolte spesso senza tutele, rischiano gravi impatti a causa di progetti di compensazione delle emissioni. Il suddetto sistema, inoltre, potrebbe facilitare il “greenwashing” da parte delle grandi aziende inquinanti dei Paesi più ricchi. Questi ultimi utilizzerebbero i crediti per compensare le proprie emissioni senza un reale impegno nella loro riduzione. Pertanto, trovare un accordo equo ed efficace che incentivi investimenti concreti nelle energie rinnovabili rimane complesso. Senz’altro il dibattito tra i delegati sottolinea quanto sia controverso bilanciare interessi economici e obiettivi ambientali.

Finanza climatica e il “Loss and Damage Fund”

Alla COP29, la finanza climatica è uno dei temi più discussi, con un’attenzione particolare al “Loss and Damage Fund”, un fondo progettato per supportare le nazioni più vulnerabili di fronte agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Questo fondo mira a fornire assistenza economica per compensare i danni e sostenere piani di adattamento nei Paesi che, per mancanza di risorse, non possono far fronte da soli alle catastrofi climatiche. António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha sottolineato l’urgenza di attivare rapidamente il fondo, avvertendo che un ritardo nelle azioni di supporto potrebbe avere conseguenze globali.

Le Banche Multilaterali di Sviluppo (MDB) si sono impegnate a destinare circa 170 miliardi di dollari per sostenere progetti di sostenibilità, con la maggior parte dei fondi indirizzata a Paesi a medio e basso reddito. Tuttavia, restano incertezze sulla trasparenza e l’effettiva tracciabilità di questi finanziamenti, sollevando preoccupazioni sulla capacità di tali risorse di produrre un reale impatto per le comunità più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici.

I Piani di adattamento

Alla COP29, i piani di adattamento sono stati messi in primo piano come risposta urgente alla crescente vulnerabilità delle nazioni esposte agli eventi climatici estremi. Adattarsi significa creare infrastrutture resilienti, gestire in modo sostenibile le risorse naturali e sviluppare sistemi agricoli capaci di affrontare condizioni climatiche imprevedibili. Nonostante la discussione di diversi progetti in questa direzione, rimangono dubbi sulla capacità dei Paesi con economie più fragili di implementare efficacemente tali strategie senza il supporto costante delle nazioni più ricche.

La conferenza sottolinea inoltre l’importanza di approcci integrati e su misura, che considerino le specificità locali e le risorse disponibili nelle comunità più a rischio. Gli studi preparatori alla COP29 indicano che, senza piani di adattamento ben strutturati, molte regioni potrebbero trovarsi di fronte a difficoltà crescenti e potenzialmente insostenibili in un futuro non troppo lontano.

Il Sondaggio Amref

Un sondaggio recentemente condotto da Amref Health Africa ha evidenziato una preoccupazione diffusa riguardo agli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute pubblica, con l’83% degli intervistati che considera la crisi climatica una delle principali minacce per la salute. Questo risultato riflette la crescente consapevolezza, in particolare tra le popolazioni africane, dei danni causati da eventi climatici estremi come siccità e alluvioni, che colpiscono in modo più severo le comunità più vulnerabili. La ricerca ha anche sottolineato la necessità di politiche sanitarie più incisive e investimenti nel settore della sanità pubblica per affrontare le sfide emergenti legate al clima.

Questi dati evidenziano l’urgenza di integrare le questioni sanitarie nelle discussioni sui cambiamenti climatici e nella pianificazione delle politiche future. La salute deve essere considerata un aspetto cruciale nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, con un focus particolare sulla protezione delle comunità più esposte.

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Ecomondo 2024. Risultati delle politiche italiane, i premi e gli ospiti.

By : Aldo |Novembre 11, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ecomondo 2024. Risultati delle politiche italiane, i premi e gli ospiti.

Alla fine di ogni anno, è tempo di fare un bilancio per valutare gli obiettivi raggiunti, identificare aree di miglioramento e considerare eventuali cambiamenti. Questo processo è fondamentale per famiglie, scuole, industrie, società e nazioni, poiché consente di ricalibrare le proprie strategie e migliorare la qualità della vita. In Italia e in altri paesi europei, il settore del riciclo e della sostenibilità si riunisce per fare il punto della situazione durante Ecomondo, che si tiene dal 5 all’8 novembre presso la Fiera di Rimini.


Ecomondo

Ecomondo è uno degli eventi di riferimento in Europa per chi opera nel settore ambientale, attirando ogni anno un vasto pubblico di professionisti da tutto il mondo. La fiera si basa sulla presentazione di tecnologie innovative per la gestione dei rifiuti, il riciclo e la sostenibilità esplorando anche tematiche trasversali. Dunque, sono comprese sezioni sul cambiamento climatico, l’energia rinnovabile, la bonifica del suolo e la bioeconomia.

I principali obiettivi della fiera sono la promozione dell’innovazione, la facilitazione del networking, l’informazione e la formazione. L’evento offre anche uno spazio di confronto sulle normative ambientali europee e internazionali, presentando le ultime novità su regolamentazioni e incentivi. In aggiunta, organizza appuntamenti di rilievo come conferenze specialistiche e tavole rotonde con esperti del settore. Solitamente lo scopo di questi incontri è quello di discutere su temi quali la gestione delle risorse idriche, le strategie per la riduzione dei rischi idrogeologici e l’economia circolare urbana.

Ecomondo include premi e riconoscimenti per i progetti più innovativi, offrendo visibilità a startup, aziende e organizzazioni che si distinguono per il loro impegno verso soluzioni sostenibili.

I risultati del 2024

A Ecomondo 2024, svoltasi dal 5 all’8 novembre, l’Italia ha registrato risultati significativi nella sua transizione ecologica e nell’economia circolare. Il Paese ha ridotto le proprie emissioni di CO₂ di oltre il 6%, contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030. Senz’altro si conferma come leader in Europa nell’economia circolare, con un PIL di 3,6 euro per ogni chilogrammo di risorsa consumata. Questo è un risultato rilevante poiché che supera di gran lunga la media dell’Unione Europea.

Anche quest’anno il tasso di riciclo dei rifiuti (del 72%), è stato il più alto in Europa un ulteriore segno della forte spinta verso la sostenibilità. Inoltre, più del 44% dell’energia elettrica prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili. In particolare si tratta di un contributo significativo di energia solare ed eolica (50 TWh), che rappresentano circa il 20% del fabbisogno nazionale. La produzione biologica è anche in crescita, dimostrando il consolidamento dell’agricoltura sostenibile nel Paese. Tuttavia, persistono delle sfide, come il crescente consumo di suolo con una media di 19,4 ettari al giorno, e l’urgenza di sviluppare una mobilità sostenibile (solo il 4,2% delle nuove auto è elettrico).

I partecipanti

L’edizione del 2024 ha segnato un successo straordinario per la green economy italiana, con una crescita del 5% nelle presenze rispetto all’edizione precedente, e un incremento del 10% nel numero di espositori, che quest’anno sono stati 1.620, distribuiti su 166.000 metri quadrati di superficie espositiva. L’evento ha visto la partecipazione di 650 buyer provenienti da 65 Paesi e ha generato 3.550 incontri di business matching. Inoltre, sono stati organizzati oltre 200 eventi, tra conferenze, workshop e seminari, che hanno approfondito temi fondamentali della sostenibilità.

Oltre alla crescente partecipazione di operatori internazionali, provenienti da 121 Paesi, l’edizione ha coinvolto anche 2.800 studenti delle scuole superiori, in un impegno condiviso per il futuro delle professioni green. L’edizione 2024 di Ecomondo ha inoltre beneficiato delle storiche collaborazioni con partner istituzionali e settoriali come CONAI, Utilitalia, Assoambiente, Confindustria, la Commissione Europea e molte altre realtà internazionali, che hanno contribuito a consolidare la manifestazione come uno degli appuntamenti chiave per la green economy a livello globale.

I premi

Ovviamente la fiera ha premiato l’innovazione sostenibile, conferendo due prestigiosi premi: il Premio Lorenzo Cagnoni per l’Innovazione Green e il Premio Sviluppo Sostenibile. Il primo è stato assegnato alle tre start-up più innovative dell’evento, selezionate tra oltre 150 partecipanti, inclusi 20 internazionali, con un incremento del 21% di nuove aziende rispetto al 2023. Queste start-up si sono distinte per le soluzioni avanzate nel campo della green economy, affrontando sfide ambientali con progetti all’avanguardia. Il Premio Sviluppo Sostenibile, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con Ecomondo, ha riconosciuto le migliori pratiche di eco-innovazione sia nel settore pubblico che privato, premiando le imprese e le amministrazioni che hanno combinato sostenibilità e competitività, supportando così la transizione ecologica. Entrambi i premi hanno sottolineato l’importanza delle tecnologie ambientali per il futuro, stimolando lo sviluppo di soluzioni innovative sia a livello nazionale che internazionale.

 

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“La Città della Gioia” sarà il nuovo polmone verde di Roma.

By : Aldo |Novembre 06, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “La Città della Gioia” sarà il nuovo polmone verde di Roma.

Le nostre città sono stracolme di cemento. Questo grigio si prende sempre più aree, anche le più remote per sopperire alle necessità demografiche, a volte anche quando non serve. Siamo sempre più stretti tra smog e edifici che i piccoli parchi o le aiuole quasi assomigliano alle oasi del deserto. È per questo e tanti altri motivi che i giardini, i parchi e le microforeste sono fondamentali nei grandi centri abitati. Ma in generale è essenziale rendere la città a portata d’uomo senza dimenticarsi dell’importanza della natura. Ecco il nuovo progetto dell’Ex Fiera di Roma.

Il verde urbano

I progetti di verde urbano mirano a migliorare la qualità della vita nelle città italiane attraverso la creazione e gestione di spazi verdi come parchi, giardini e aree boschive. Questi spazi offrono benefici ecologici e sociali: mitigano il cambiamento climatico, favoriscono la biodiversità, migliorano la salute e il benessere dei cittadini, e arricchiscono l’estetica urbana, aumentando il valore immobiliare.

In Italia, dal 2013 la Strategia Nazionale del Verde Urbano ha stabilito linee guida per pianificare queste aree, portando a risultati concreti: le città italiane hanno una media di 30 m² di verde per abitante, con punte elevate in città come Torino. Nel Sud Italia sono stati approvati oltre 770 progetti di rigenerazione urbana per riqualificare aree vulnerabili, e il 70% delle città italiane ha avviato iniziative per incrementare il verde pubblico. Inoltre, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede ulteriori investimenti in rigenerazione urbana e verde, con un valore stimato dei servizi ecosistemici di 338 miliardi di euro.

La “Città della Gioia”

Si chiude il bando per la riqualificazione dell’ex Fiera di Roma con un progetto centrato sul concetto di “verde attivo,” che promuove la biodiversità e uno stile di vita sano a misura di famiglia. L’inizio dei lavori per la costruzione della “Città della Gioia” è previsto per il 2025. Grazie a tale progetto l’area in questione, si trasformerà in una città a misura di bambino, inclusiva e immersa nel verde. Si chiamerà “Città della Gioia”, la transizione ecologica alla circolarità dei materiali, alla riduzione delle emissioni di carbonio, all’adattamento climatico, e alla valorizzazione della qualità urbana e del tessuto sociale.


Lo sviluppo del masterplan avverrà attorno a due piazze pubbliche: Piazza del Sole a nord, lungo viale Tor Marancia, e Piazza degli Eventi a sud, su via Georgofili. In questa area è prevista anche l’istituzione di un centro della conoscenza e della crescita consapevole, in collaborazione con l’Università di Roma Tre. Così facendo sarà possibile per i giovani e per l’intera comunità avere un punto di riferimento.

La novità del progetto “Città della Gioia” è quella di mettere al centro i bambini, creando una città innovativa e inclusiva, pensata per il loro benessere e la loro crescita. Tale masterplan presenta un modello urbano in cui le necessità dei più piccoli diventano il focus della pianificazione. In tal modo, si prioritizzano la cura, il gioco e la socialità, con spazi progettati per favorire l’inclusione e l’apprendimento attraverso il gioco. Il tutto è possibile grazie ad aree sicure e stimolanti che promuovono la creatività e il benessere per ogni fascia di età e abilità.

Il progetto è stato ideato da un team composto da ACPV ARCHITECTS, Arup, Asset e P’arcnouveau, quattro studi di architettura e ingegneria di rilevanza internazionale.

 

La sostenibilità del progetto

Senza dubbio, il verde è uno degli elementi distintivi del programma, coprendo il 50% della superficie, aumentando la permeabilità del suolo di circa 3,9 ettari, pari a metà dell’area complessiva.  A livello tecnico, il progetto prevede che l’80% della superficie utile, ossia oltre 35.000 mq, sia sia destinato a residenze, di cui più di 7.000 mq riservati all’housing sociale. Mentre il restante 20% (circa 8.800 mq), sarà adibito ad un uso non residenziale, diviso tra servizi direzionali (6.800 mq) e spazi commerciali (2.000 mq). Nello specifico, 27.000 mq saranno lasciati agli spazi verdi pubblici e altri 12.500 a quelli privati per attività all’aperto correlate a sport e socializzazione.

Non a caso il progetto mira a rigenerare l’ex area della Fiera attraverso la decarbonizzazione, la resilienza climatica e l’economia circolare. In questo caso, la sostenibilità del masterplan è rafforzata dalla forte integrazione della natura, che rende il nuovo quartiere un “corridoio ecologico” con viali alberati e ampi parchi, collegando armoniosamente le aree residenziali con piazze pubbliche e spazi per eventi, che diventano luoghi di incontro e cultura per la comunità.

Certamente, il coinvolgimento attivo della comunità e l’attenzione alla biodiversità e alla permeabilità del suolo rendono questo progetto un esempio di rigenerazione urbana che coniuga natura e innovazione, offrendo una nuova visione per il futuro delle città.

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La startup finlandese Aviogel ha trovato una nuova soluzione per combattere gli incendi.

By : Aldo |Novembre 04, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La startup finlandese Aviogel ha trovato una nuova soluzione per combattere gli incendi.

Al giorno d’oggi la parola d’ordine è “soluzione”. Scienziati e ricercatori, infatti, lavorano di continuo alla ricerca di nuove soluzioni per problemi globali che devono essere almeno mitigati, se non risolti. A volte sembra essere una corsa contro il tempo, in altri casi, pare esserci tutto il tempo del mondo. Tuttavia, non si può mai mollare la presa e tra le ultime scoperte è arrivata quella che riguarda il problema degli incendi. Si parla del lavoro della startup finlandese, Aviogel.

Incendi in Europa

Gli incendi boschivi in Europa derivano in gran parte da attività umane, e solo il 4% causato da eventi naturali come fulmini. Ovviamente, le condizioni climatiche estreme, come siccità, alte temperature e venti intensi, aumentano il rischio di incendi. Purtoppo le regioni mediterranee sono le più vulnerabili a questo tipo di fenomeni: per esempio in Italia, gli incendi prevalgono in estate al sud, mentre al nord si verificano anche in inverno e primavera per via della siccità.  Il 2023 ha registrato una delle stagioni più gravi di incendi in Europa, con paesi come Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Slovenia pesantemente colpiti. Di certo i cambiamenti climatici hanno aumentato la frequenza e l’intensità di tali eventi fino al punto che anche Tunisia e Cipro hanno richiesto assistenza internazionale per fronteggiare le fiamme.

In generale, per prevenire gli incendi si promuovono pratiche di gestione forestale, sistemi di previsione ambientale avanzati, campagne di sensibilizzazione pubblica e regolamentazioni per le attività a rischio.
Nonostante ciò, spesso e non si riesce ad evitare che il fenomeno si sviluppi, dunque è necessario intervenire in modi diversi. Si può spegnere un incendio con mezzi aerei, squadre specializzate e cooperazione internazionale, utilizzando anche droni e tecnologie satellitari per il monitoraggio.

Pertanto, questa emergenza richiede un approccio integrato che combini prevenzione, educazione e interventi tempestivi per limitare i danni ambientali e sociali. Un esempio è la nuova tecnologia delle sfere idrogel.

Spegnere un incendio con l’idrogel

La tecnologia delle sfere idrogel biodegradabili rappresenta una soluzione innovativa per la lotta agli incendi boschivi. Queste sfere, progettate per essere rilasciate da mezzi aerei, assorbono acqua o altri liquidi, aumentando il loro peso e migliorando la precisione dei lanci, anche da quote più elevate. Tale caratteristica rende gli interventi antincendio più sicuri ed efficienti, poiché riduce il rischio per i piloti. Inoltre, le sfere idrogel trattengono l’acqua limitando l’evaporazione prima che essa raggiunga le fiamme, così facendo, aumentano l’efficacia dello spegnimento.

Un’ulteriore innovazione di questa tecnologia è la presenza di semi nelle sfere. Infatti, oltre alla funzione antincendio, le sfere rilasciano semi e nutrienti nelle aree colpite, avviando immediatamente un processo di riforestazione. Questa doppia funzione consente agli interventi aerei di contrastare l’emergenza seminando le basi per la rinascita dell’ecosistema locale, spesso non considerata.

La startup Aviogel

Aviogel è una startup innovativa impegnata nella sostenibilità e nella protezione ambientale. Nasce nel 2024, con sede a Helsinki, da William Carbone, Stéphanie Jansen-Havreng, Sevan Daniel Gerard con l’obiettivo di affrontare le sfide legate alla gestione delle risorse naturali con un approccio che integra ricerca scientifica e pratiche eco-sostenibili. La sua missione, infatti, è quella è contribuire a un futuro più verde e sostenibile, proponendo soluzioni volte a migliorare la qualità della vita e proteggere il pianeta, sensibilizzando il pubblico all’importanza di comportamenti responsabili verso la natura.

Aviogel è presente in numerosi progetti riguardanti la sostenibilità, incentivando un uso più consapevole delle risorse naturali, offrendo programmi educativi e laboratori per la sensibilizzazione sulla tematica ecologica. Inoltre, collabora con enti pubblici e privati per sviluppare strategie efficaci nella gestione ambientale, puntando non solo alla tutela dell’ambiente, ma anche al benessere delle comunità locali. Questo è possibile grazie alla creazione di opportunità economiche basate su pratiche sostenibili. Aviogel rappresenta così un esempio di come innovazione e sostenibilità possano unirsi per rispondere alle sfide ambientali moderne.

Combattere i cambiamenti climatici

Con l’aggravarsi della crisi climatica, che intensifica la frequenza e la portata degli incendi boschivi, il team di Aviogel evidenzia l’urgenza di soluzioni capaci di spegnere le fiamme, e non solo. Infatti, è necessario anche di contribuire alla rigenerazione degli ecosistemi danneggiati, pratica poco considerata o quasi mai svolta. E proprio grazie a un investimento di 300 mila euro ottenuto dal fondo italiano Scientifica Venture Capital, Aviogel può ora accelerare lo sviluppo della sua tecnologia per combattere gli incendi promuovendo la resilienza degli ecosistemi. Dunque, la startup finlandese, troverà nella fase di industrializzazione il prossimo traguardo fondamentale per estendere il proprio impatto su vasta scala. Questo processo si svilupperà all’interno dei laboratori all’avanguardia di Scientifica a L’Aquila, un centro di oltre 4.000 m², creato per aiutare le startup a trasformare le idee in prototipi e facilitare il rapido ingresso sul mercato grazie a un contesto ricco di risorse e competenze avanzate.

Sicuramente Aviogel rappresenta più di una sola innovazione, poiché è caratterizzata da una grande lungimiranza, secondo Riccardo D’Alessandri, managing partner di Scientifica Venture Capital. Esattamente tale caratteristica ha portato alla vittoria della startup. Per l’appunto si evidenzia l’approccio sinergico e lungimirante del team, che non si limita ad una semplice innovazione tecnologica, ma offre un concetto che include benefici concreti e misurabili alla comunità e alla tutela degli ecosistemi.

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Le batterie bidirezionali delle auto elettriche possono essere una nuova fonte di energia.

By : Aldo |Ottobre 30, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Le batterie bidirezionali delle auto elettriche possono essere una nuova fonte di energia.

Le tecnologie e le innovazioni ci consentono di portare avanti lo sviluppo e solitamente anche la crescita delle popolazioni. Inoltre, le nuove scoperte ci indicano la via migliore per poter continuare a vivere in questo pianeta riducendo il nostro impatto. Dunque, spesso, le nuove tecnologie oltre ad apportare delle migliorie in settori specifici, diventando delle soluzioni che ci permettono di alleviare il “nostro peso” sul mondo. Un esempio è la nuova scoperta sulle batterie bidirezionali.

Le batterie bidirezionali

Le batterie bidirezionali sono un sistema innovativo per la ricarica dei veicoli elettrici (EV) che consente sia di ricaricare la batteria dalla rete elettrica sia di restituire energia alla rete stessa. Questa tecnologia, conosciuta come V2G (Vehicle to Grid) e V2H (Vehicle to Home), trasforma il veicolo in un “accumulatore” mobile in grado di immagazzinare e rilasciare energia. Tale tecnologia si basa su convertitori di potenza avanzati che consentono il flusso bidirezionale di energia. Questo è possibile grazie ad un caricatore specifico che converte la corrente continua (DC) della batteria in corrente alternata (AC).


Queste batterie hanno molteplici modalità di ricarica, tra cui le principali V2G, che consente di restituire energia alla rete, V2H, che alimenta direttamente l’abitazione, e V2L, che fornisce energia a dispositivi elettrici dal veicolo.

I vantaggi delle batterie bidirezionali sono vari e spaziano principalmente tra i 3 pilastri della sostenibilità. A livello economico, vediamo come i proprietari possono ridurre i costi energetici ricaricando durante le fasce orarie più convenienti e vendendo energia in eccesso. Nel settore ambientale, ottimizzano l’uso delle fonti rinnovabili contribuendo a ridurre l’impatto ambientale. Mentre per quanto riguarda il sociale, favoriscono la condivisione dell’energia tra veicoli all’interno di una comunità, stabilizzando la rete elettrica locale e migliorando la gestione dei picchi di domanda.



In sintesi, queste batterie non solo migliorano l’efficienza energetica dei veicoli elettrici, ma offrono anche opportunità significative per il risparmio economico e la sostenibilità ambientale.

Specialità e caratteristiche

Le batterie bidirezionali, grazie a un sistema di collegamento a due vie e a nuove configurazioni dei convertitori di potenza, possono indirizzare l’energia elettrica verso la batteria o la rete elettrica, a seconda delle necessità. Di conseguenza, quando c’è energia in eccesso, queste batterie possono restituirla alla rete. Tale innovazione, si integra perfettamente con i sistemi di energia rinnovabile. Ad esempio, in una giornata soleggiata, un impianto fotovoltaico può produrre più elettricità del necessario per i consumi domestici. A questo punto è possibile immagazzinarla direttamente nelle batterie dei veicoli elettrici e utilizzarla successivamente per alimentare la casa nei giorni in cui è richiesta. Per questo motivo, le ricariche bidirezionali stanno acquisendo sempre più attenzione dai produttori automobilistici, che stanno implementando questa tecnologia nei loro modelli.

Il report di Transport&Environment prevede che in futuro queste ricariche potrebbero addirittura diventare il quarto fornitore di energia in Europa. Si stima che lo sviluppo delle ricariche bidirezionali possa portare a un risparmio complessivo di oltre 100 miliardi di euro in dieci anni. Così facendo consentirebbe ai proprietari di veicoli elettrici di ottenere fino al 52% di risparmio sulla bolletta elettrica annuale, con riduzioni fino a 780 euro all’anno. Questo ovviamente sarà possibile a seconda della localizzazione geografica, della presenza di pannelli solari e delle dimensioni della batteria del veicolo.

Lo studio

Lo studio condotto dagli istituti di ricerca Fraunhofer ISI e ISE per T&E evidenzia l’importanza delle ricariche bidirezionali, che possono fungere da “batterie su ruote” e i potenziali risparmi economici tra il 2030 e il 2040. Tuttavia, iniziano con l’avvertire tutti che senza standard comuni a livello europeo, questa tecnologia potrebbe non svilupparsi in modo efficace, limitando i benefici ambientali ed economici. Nonostante ciò, le auto elettriche con sistemi di ricarica bidirezionale possono assorbire energia nei momenti di surplus e restituirla quando la domanda aumenta, ma il loro potenziale rimane inespresso senza un’interoperabilità garantita. Secondo il report, l’adozione del V2G (vehicle-to-grid) potrebbe ridurre i costi annui del sistema elettrico dell’UE di oltre 9 miliardi di euro nel 2030 e arrivare a 22 miliardi nel 2040, con risparmi totali superiori a 100 miliardi di euro nel decennio.

A questo punto, l’integrazione con le energie rinnovabili è fondamentale: collegando le auto elettriche alle abitazioni o ai luoghi di lavoro, si può ridurre il fabbisogno di sistemi di accumulo fino al 92% entro il 2040. Specialmente in Italia, queste auto potrebbero rappresentare quasi tutta la capacità di accumulo necessaria per stoccare l’energia rinnovabile in eccesso. Infatti, la tecnologia V2G potrebbe consentire alla flotta europea di veicoli elettrici di contribuire fino al 9% del fabbisogno energetico annuale dell’UE entro il 2040. In questo modo, diventerebbe il quarto fornitore di elettricità in Europa e il secondo in Italia, favorendo un significativo risparmio economico per i consumatori e contribuendo alla stabilizzazione della rete elettrica e alla riduzione delle emissioni di CO2.

In conclusione

In conclusione, La ricarica bidirezionale delle auto elettriche rappresenta una svolta fondamentale per la transizione energetica. Non solo permette di ridurre le emissioni e la dipendenza dai combustibili fossili, ma offre anche la possibilità di utilizzare le batterie dei veicoli come veri e propri accumulatori di energia rinnovabile, contribuendo a stabilizzare la rete elettrica.

Transport & Environment sottolinea come questa tecnologia possa prolungare la vita delle batterie e ridurre la necessità di costruire nuove infrastrutture di stoccaggio. Tuttavia, per sfruttare appieno il potenziale della ricarica bidirezionale è necessario un quadro normativo europeo chiaro e uniforme, che definisca standard comuni per garantire l’interoperabilità tra i diversi veicoli e sistemi di ricarica.

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ONU: allarme gas serra. La temperatura potrebbe salire di 3,1 gradi.

By : Aldo |Ottobre 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su ONU: allarme gas serra. La temperatura potrebbe salire di 3,1 gradi.

Da più di 50 anni si parla di cambiamenti climatici ed emissioni di gas serra. Ci siamo evoluti con noi le tecnologie, per sostenere la nostra crescita esponenziale. Sembra che ogni giorno, avvenga una nuova scoperta per migliorare la situazione; eppure, sembra andare sempre peggio. Quanto possiamo resistere in queste condizioni? Quanto potremmo permetterci di negare l’evidenza sotterrando la testa nella sabbia? Ancora poco, pochissimo, anzi siamo già in netto ritardo e l’ONU ce lo ricorda lanciando un nuovo allarme.

Il ruolo dell’ONU

L’ONU rappresenta un pilastro fondamentale nella battaglia globale contro il cambiamento climatico. In qualità di più grande organizzazione intergovernativa al mondo, fornisce un forum unico per la cooperazione internazionale su questa sfida esistenziale. Attraverso i suoi numerosi organi e agenzie specializzate, l’ONU coordina gli sforzi globali, conduce ricerche scientifiche, sviluppa politiche e promuove accordi internazionali come l’Accordo di Parigi. L’impegno dell’organizzazione è volto a mobilitare i governi, le imprese e la società civile per ridurre le emissioni di gas serra, promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici e sostenere i Paesi più vulnerabili.

L’ONU ha iniziato a trattare il cambiamento climatico in modo strutturato dagli anni ’80, in seguito all’emergere di prove scientifiche sul riscaldamento globale e sui suoi rischi. Nel 1988, è stato fondato l’IPCC, con il compito di valutare scientificamente i cambiamenti climatici. Successivamente, nel 1992 è stata adottata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), che mira a stabilizzare i gas serra. Da allora, attraverso incontri annuali come la COP, l’ONU coordina azioni e trattati internazionali per mitigare il cambiamento climatico, dimostrando un impegno crescente e globale su questo fronte.

Gli ultimi dati

Le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto un nuovo record nel 2023, aumentando dell’1,3% rispetto all’anno precedente e collocandosi a 57,1 GtCO2e. Questo allarmante dato, evidenziato nell’ultimo rapporto UNEP, ci allontana sempre più dagli obiettivi dell’Accordo di Parigi e ci pone sulla traiettoria di un riscaldamento globale catastrofico di 3,1°C entro la fine del secolo. Nonostante gli sforzi internazionali, la dipendenza dai combustibili fossili persiste, alimentando l’aumento delle temperature e intensificando gli eventi climatici estremi. Secondo l’ONU, per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C, è necessaria una riduzione drastica delle emissioni: del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019. Il rapporto sottolinea l’urgenza di un’azione immediata e coordinata a livello globale.

È indispensabile un impegno concreto da parte di tutti i Paesi per accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabile, proteggere le foreste e promuovere pratiche sostenibili. La finestra di opportunità per evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico si sta rapidamente chiudendo. È fondamentale che i governi agiscano con determinazione e intraprendano misure ambiziose per decarbonizzare le economie e costruire un futuro sostenibile.

La cooperazione necessaria

L’allarme lanciato dall’UNEP è chiaro: le emissioni globali di gas serra stanno accelerando il cambiamento climatico, mettendo a rischio il futuro del pianeta. Per contenere l’aumento della temperatura entro i limiti stabiliti dall’Accordo di Parigi, è urgente una trasformazione profonda e rapida del nostro sistema energetico. Eventi internazionali come il G20 e la COP29 offrono un’opportunità unica ai governi di prendere decisioni coraggiose e di collaborare per un futuro più sostenibile. Infatti, è fondamentale che i Paesi aumentino l’ambizione dei propri obiettivi climatici. Ma soprattutto è cruciale che attuino politiche concrete per ridurre le emissioni, come la transizione verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.

L’Italia, come tutti gli altri Paesi, ha un ruolo rilevante nel raggiungimento di questo traguardo. Sicuramente, deve accelerare la decarbonizzazione dell’economia e rafforzare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato l’urgenza di agire ora. Nonostante le sfide geopolitiche, è necessario superare le dipendenze dai combustibili fossili e investire in soluzioni sostenibili. In conclusione, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità. Solo attraverso una cooperazione internazionale ambiziosa e determinata potremo costruire un futuro più sicuro e prospero per le generazioni future.

Le carenze finanziarie e morali

Inger Andersen, a capo dell’UNEP, ha affermato che i mezzi, i finanziamenti e la tecnologia necessari per ridurre le emissioni sono già disponibili. Tuttavia, secondo la direttrice esecutiva, manca la volontà politica, soprattutto nei Paesi del G20 (esclusi quelli africani) che sono responsabili del 77% delle emissioni globali. L’ONU ha ribadito che le energie rinnovabili rappresentano un’opportunità fondamentale per invertire la tendenza. Investendo maggiormente in energia solare ed eolica, si potrebbero ottenere riduzioni delle emissioni pari al 27% entro il 2030 e al 38% entro il 2035. Inoltre, bloccare la deforestazione e la distruzione delle foreste porterebbe ad un ulteriore riduzione del 20% delle emissioni.

Agire ora non solo permetterebbe di mantenere vivo lo scopo di salvare il pianeta, ma si tradurrebbe anche in un notevole risparmio economico a lungo termine. Secondo le stime dell’ONU, raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero entro la metà del secolo richiederebbe un investimento aggiuntivo compreso tra 0,9 e 2,1 trilioni di dollari all’anno fino al 2050. Tuttavia, i costi dell’inazione sarebbero molto più elevati a causa degli eventi meteorologici estremi, delle perdite agricole e di altri disastri.

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