Emissioni

Rendere verdi i deserti catturando la CO2: ecco il nuovo studio.

By : Aldo |Ottobre 02, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Rendere verdi i deserti catturando la CO2: ecco il nuovo studio.

La CO2 nelle vare sfere della Terra è presente in quantità elevate che bisogna ridurre. Gli studi in questo verso continuano: le idee sono tante e varie ma è necessario poterle mettere in pratica. Ecco un esempio.

    

La situazione odierna

Le emissioni nette di CO2 devono essere ridotte a zero entro 10 anni per raggiungere la neutralità climatica. Tale processo al momento sembra impossibile, soprattutto per le migliaia di attività che si sviluppano quotidianamente e che emettono CO2. Tuttavia, gli effetti climatici correlati all’elevata concentrazione di CO2 atmosferica rimarranno irreversibili per almeno 1000 anni.

   

Gli studi, le innovazioni e i progetti per ridurre le emissioni sono tantissimi, vari e di origine diversa. Per esempio, si possono migliorare o rinnovare i processi produttivi di molteplici oggetti. Si può riciclare una grande quantità di rifiuti oppure ridurre ed eliminare la produzione e il consumo di certi materiali.  O ancora sono stati ideati svariati sistemi per catturare la CO2, sia naturali che artificiali con l’obiettivo di poter ridurre la sua concentrazione nelle varie sfere.   In questo caso, lo studio parla delle terre aride dei deserti come possibili centri di stock dell’anidride carbonica nel futuro.
    

L’idea della ricerca

L’idea nasce da uno specifico studio dei deserti e delle poche e particolari piante che li abitano. E chi poteva parlarne meglio di un gruppo di scienziati della King Abdullah University of Science and Technology (Arabia Saudita)? Il team guidato da Heribert Hirt, professore di scienze vegetali e membro del Centre for Desert Agriculture è pronto a mettere in pratica la loro ricerca.

  

Il concetto è quello di sfruttare la capacità delle piante di sequestrare il carbonio dall’atmosfera attraverso il processo di fotosintesi.  Nello specifico la ricerca si è concentrata sui deserti, in modo da non sottrarre terreno al settore agricolo (una procedura fin troppo sviluppata e dannosa). Non a caso un terzo della superficie terrestre del nostro pianeta è terra arida che non viene utilizzata per l’agricoltura ed è soggetta. In tal modo potremmo catturare la CO2, rendendo “verdi” i deserti. Lo studio e i suoi dati sono stati appena pubblicati nella forma di opinion paper sulla rivista scientifica Trends in Plant Sciences. 

  

Rendere verdi i deserti

Dunque, gli autori hanno pensato di non usare le aree verdi già presenti ma di creare delle piccole isole nel deserto, incrementando dei processi naturali.

Per sviluppare l’esperimento, gli scienziati hanno scelto un tipo di pianta capace di sopravvivere a condizioni di temperatura elevata e di carenza idrica. Standard tipici delle aree desertiche, ai quali sopravvivono le piante “ossalogeniche”. Quest’ultime sono in grado di immagazzinare il carbonio che sequestrano dalla CO2 atmosferica sotto forma di cristalli di ossalato di calcio. Si tratta di un sale costituito da calcio, carbonio e ossigeno, che in caso di necessità può essere riconvertito in acqua e CO2.

Tali piante sono state affiancate da microrganismi che accelerano questo processo. Grazie alla loro azione, parte dei cristalli di ossalato (prodotti dalla pianta) vengono convertiti in carbonato di calcio. Questo sale è la principale forma di immagazzinamento di carbonio all’interno del suolo, quindi la soluzione perfetta per la rimozione di CO2 dall’atmosfera.  Una procedura tipica delle zone aride, dove il pH del terreno e le elevate concentrazioni di calcio sono ottimali per la formazione dei carbonati. Si tratta di un processo di trasformazione che avviene anche negli strati profondi del terreno, meno soggetti a cambiamenti di:

  • temperatura dell’aria;
  • concentrazione atmosferica di CO2;
  • l’utilizzo del suolo per scopi antropici.

Il sistema di immagazzinamento determina la formazione di enormi depositi di carbonato di calcio nel terreno che rimangono stabili anche per centinaia di anni. Ed è proprio questo il ciclo che ha interessato i ricercatori. Perchè così facendo, si può fissare stabilmente il carbonio contenuto nella CO2, riducendone ampiamente la sua concentrazione atmosferica.

Questo è l’obiettivo dello studio: tagliare la quantità di CO2 attualmente presente nell’atmosfera in tempi relativamente brevi, potenzialmente anche in meno di dieci anni.

    

La prova

Attualmente gli autori suggeriscono di partire da quelle che loro definiscono “piccole isole fertili”. Ossia scegliere piccole aree nelle quali far crescere le piante ossalogeniche, che nel futuro potrebbero espandersi autonomamente a formare dei grandi “tappeti verdi” nel deserto. Ovviamente l’efficienza del progetto e i suoi risultati dipenderanno anche delle strategie politiche adottate e dei fondi investiti in questo senso.

Read More

“Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

By : Aldo |Settembre 28, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare |Commenti disabilitati su “Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

Il nostro pianeta gode di un’immensa biodiversità di specie animali e vegetali, con caratteristiche pazzesce spesso straordinarie.

E proprio grazie a tali qualità e alla ricerca, queste specie possono venire in nostro soccorso in molteplici ambiti e in varie modalità.ù

    

La depurazione delle acque reflue

Il processo di depurazione delle acque reflue è un’operazione complessa ma necessaria, per la salute di ogni popolazione e del territorio. É un’attività che si sviluppa per mezzo di una combinazione di trattamenti meccanici, chimici e biologici con l’obiettivo di rimuovere gli inquinanti dall’ acqua di scarico. In tal modo è possibile renderla abbastanza pulita da poter essere rilasciata nel suolo o nei corpi idrici senza danneggiare l’ambiente.

   

In Italia, La depurazione delle acque reflue come la intendiamo oggi si è diffusa dagli anni ’70. In quel periodo venne affrontato con particolare attenzione il tema e venne istituita la legge Merli (legge 319 del 1976). Quest’ultima, fu una mossa fondamentale, poiché vennero stabilite le concentrazioni limite dei parametri delle acque di scarico.

   

Solitamente distinguiamo due fondamentali tipologie di acque di scarico: gli scarichi civili e gli scarichi industriali. I primi, detti anche acque reflue urbane comprendono le acque di rifiuto domestico e le acque di ruscellamento, ossia l’acqua che finisce nei tombini stradali. Mentre i reflui industriali includono acque di scarto e la tipologia di inquinanti presenti varia a seconda del processo industriale utilizzato. Non a caso alcune attività (lavanderie industriali, cantine vinicole, industrie chimiche) sono obbligate trattare preventivamente le loro acque reflue.

    

La novità

È chiaro che il depuratore sia un importante mezzo per la salubrità di ogni cittadina. Tuttavia, per la sua funzione occupa ancora tanto spazio e in alcuni casi, se poco efficiente, potrebbe non filtrare alla perfezione. Pertanto, come qualsiasi tecnologia, sono ancora in corso degli studi per migliorare e rendere sempre più efficienti questi sistemi fondamentali.

Tra i vari casi, oggi si parla di una depurazione delle acque reflue, più specifica grazie all’introduzione di “pulci d’acqua”. Si parla dell’esperimento dell’Università di Birmingham, svolto da una squadra che ha dimostrato impressionanti capacità di depurazione delle acque reflue.

L’esito positivo dell’esperimento fa pensare che possano essere impiegate in tanti ambiti o semplicemente, possano essere introdotte in più depuratori. Si tratta di una soluzione più che ecologica, visto che per la loro attività non verrà consumata energia in più e non ci saranno ulteriori emissioni.

    

Le “pulci d’acqua”

Non si tratta pulci, ma di un gruppo di oltre 450 specie di minuscoli crostacei che vivono dentro laghi, stagni, ruscelli e fiumi. Gli individui del genere Daphnia sono organismi che filtrano il cibo, ingerendo eventuali piccole particelle di detriti, alghe o batteri nel processo. Vista la loro propensione a filtrare di tutto, sono stati selezionati per l’esame. Gli studiosi hanno pensato che probabilmente avrebbero potuto ingerire anche qualcosa di peggio, come sostanze chimiche tossiche.

  

L’introduzione di questa specie nel processo di trattamento deriva dalla problematica per la quale gli impianti di trattamento non siano così efficienti. Tali sistemi oggi non rimuovono tutti i contaminanti, anzi molti sfuggono ai filtri dei depuratori, e tornano nell’ambiente, danneggiando noi e la natura.

   

Così sono stati selezionati embrioni dormienti recuperati sul fondo dei fiumi: nello specifico ceppi dal 1900, 1960, 1980 e 2015.  Arrivati in laboratorio, hanno cresciuto le popolazioni di pulci clonando e testato il loro patrimonio genetico e le loro capacità di sopravvivenza. Successivamente hanno testato le capacità di aspirazione, prima in acquario, poi in 100 litri d’acqua, poi in un impianto da oltre 2.000 litri. I risultati strabilianti hanno portato alla scoperta di caratteristiche specifiche della specie.

   

I risultati

Gli inquinanti presenti nelle acque, che preoccupano maggiormente gli operatori sanitari sono

  • Diclofenac, farmaco;
  • Atrazina, pesticida;
  • Arsenico, metallo pesante;
  • PFOS, prodotto chimico industriale, impermeabilizzare i vestiti.

Ricordiamo che alcuni embrioni scelti, si erano depositati in periodi in cui le sostanze inquinanti erano più diffuse. Mentre altri erano più “ingenui”, poiché originarie di periodi in cui i contaminanti erano assenti (come nel 1900).

Quindi erano possibili vari esiti, ma hanno prevalso quelli positivi, al punto che Karl Dearn co-autore dello studio afferma:

 

Abbiamo sviluppato il nostro bioequivalente di un aspirapolvere Dyson per le acque reflue, che è molto, molto emozionante”

Infatti le pulci d’acqua sono state in grado di assorbire il 90% del diclofenac, il 60% dell’arsenico, il 59% dell’atrazina e il 50% del PFOS. L’ultima percentuale, per quanto fosse la minore rispetto alle altre, determina una scoperta rilevante e una specifica caratteristica della specie. Luisa Orsini co-autrice dello studio dichiara che tale rimozione è eccellente rispetto a ciò che esiste ora. Questo perchè perché nulla rimuove o metabolizza i PFOS in questo modo, e altri sistemi sono estremamente costosi, e producono molti sottoprodotti tossici.

 

La nuova tecnica è efficiente anche perchè le pulci sono autosufficienti (si riproducono per clonazione) e si autoregolano. Ossia aumentano o riducono la popolazione a seconda dei nutrienti disponibili. Inoltre, data la loro adattabilità, le pulci potrebbero essere impiegate in tanti altri tipi di sistema. Senza contare il fatto che si tratta di un agente economico e privo di emissioni di carbonio, potrebbe trattarsi di una soluzione sofisticata.  O comunque potrebbe essere usata per impianti di trattamento delle acque e nei paesi in via di sviluppo con meno infrastrutture

Read More

Arriva il Cinema In Verde all’Orto Botanico di Roma.

By : Aldo |Settembre 26, 2023 |Arte sostenibile, Clima, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Arriva il Cinema In Verde all’Orto Botanico di Roma.

Temi come la cura dell’ambiente, la sostenibilità e la sensibilizzazione dei cittadini sono sempre più citati e intrapresi in vari ambiti.
Sicuramente se ne parla a scuola, in politica, sul web ed ora anche in una rassegna cinematografica.

   

Cinema In Verde

A fine settembre si svolgerà il primo festival di cinema ambientale a Roma. Un’occasione unica per raccontare la difesa dell’ambiente e della natura attraverso film e tante altre attività ad essi correlate. Il principio è proprio quello di far aprire gli occhi con storie di inchiesta, di presa di coscienza, di ecosistemi che resistono.

   

L’iniziativa avrà luogo, in posto magico quale l’Orto Botanico di Roma, (Polo Museale della Sapienza) culla di biodiversità, istruzione e sensibilizzazione. La prima Università di Roma e Silverback (agenzia di comunicazione green) si affiancheranno in questa nuova avventura all’insegna del cinema “verde”.

   

L’evento che avrà inizio venerdì 28 settembre e terminerà domenica 1° ottobre, sarà promosso dall’Assessorato all’agricoltura, all’ambiente e al ciclo dei rifiuti. Mentre sarà patrocinato dall’Assessorato alla Cultura e dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Il Cinema In Verde è organizzato in collaborazione con FilmAffair, Zen2030 e Green Influencer Club, food partner Punto Mobile.

    

La sensibilizzazione

L’evento è stato definito “carbon neutral” grazie al lavoro svolto dalla società benefit Zen2030. Infatti, durante il festival, i consumi di molteplici ambiti saranno monitorati, registrati e tradotti in emissioni di CO₂eq. Si parla di consumi legati alle categorie energia, mobilità, trasporti, ristorazione, materiali, alloggi e rifiuti.

   

Oltre al monitoraggio e alla rendicontazione saranno attuate altre forme di compensazione e attenzione nei confronti dell’ambiente:

  • l’energia usata deriverà dalla rete elettrica dell’Orto Botanico che proviene da fonti rinnovabili;
  • verrà incentivato l’uso di mezzi sostenibili per l’arrivo al festival (mezzi pubblici, bicicletta, mobilità elettrica e condivisa). E per i partecipanti internazionali è stato consigliato il treno piuttosto che l’aereo;
  • é stata adottata una politica plastic free preferendo materiali a consumo a minor impatto ambientale. Molti materiali sono stati noleggiati e sono stati scelti fornitori locali, provenienti da Roma e dal Lazio;
  • l’offerta di ristoro è prevalentemente vegetariana, con coperti lavabili o totalmente compostabili;
  • a chiusura dell’evento le emissioni residue, ovvero quelle che non sarà stato possibile evitare, saranno compensate attraverso progetti certificati legati alla transizione energetica verso fonti rinnovabili.

Il festival

Per quanto riguarda la rassegna cinematografica, si prevede la proiezione di sei pellicole d’autore, all’interno di un’arena interna e una esterna. Tali film sono destinati a un pubblico vasto ed hanno come trama principale una storia godibile e interessante con un significato ambientale. Tuttavia, l’evento non consisterà nella sola visione di film, ma anche allo sviluppo di varie attività connesse ai due temi in esame.

   

Pertanto, è prevista una rassegna di film già usciti in sala che hanno risvegliato la nostra attenzione sui temi ambientali. Successivamente si affronteranno dibattiti a cui parteciperanno personaggi dello spettacolo come Paolo Virzì, Claudia Gerini, Andrea Pennacchi e della ricerca.

     

I sei film in concorso sono:

  • GREEN TIDE, di Pierre Jolivet;
  • THE DAM, di Ali Cherri;
  • THE HORIZON, di Emilie Carpentier;
  • AND THE BIRDS RAINED DOWN, di Louise Archambault;
  • PLUTO, di Renzo Carbonera;
  • BEATING SUN, di Philippe Petit.

La giuria sarà composta da

  • Laura Delli Colli, giornalista e scrittrice;
  • Thony, attrice e cantautrice;
  • Andrea Grieco, divulgatore e attivista;
  • Rossella Muroni, Nuove Ri-Generazioni;
  • Claudia Campanelli, giornalista e autrice;

Inoltre, sono stati organizzati workshop ogni mattina per capire come si pensa e si realizza un documentario ambientale. E come alla fine di ogni festival o concorso che si rispetti, il vincitore riceverà il primo premio Ginkgo d’oro. L’iniziativa consente così di veicolare dei messaggi fondamentali, di dare varie e nuovi spunti di riflessione sul tema e incrementare la sensibilizzazione. Non a caso, la citazione del regista Ingmar Bergman, scelta per questa iniziativa racchiude tutta l’anima del festival:

  

Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”

Read More

Vittoria storica per gli indigeni del Brasile: “No al Marco Temporal”.

By : Aldo |Settembre 25, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Vittoria storica per gli indigeni del Brasile: “No al Marco Temporal”.

Gli indigeni nel mondo combattono da anni per vedere i propri diritti rappresentati o rispettati, andando contro i governi di molteplici nazioni.

In Amazzonia, negli ultimi anni si sono battute tantissime popolazioni che, fortunatamente, sono riuscite a cambiare il corso della storia.

    

Il Marco Temporal

Il Marco Temporal (o Limite Temporale) è una proposta di legge che avrebbe favorito (secondo le popolazioni indigene) un “genocidio legalizzato”. Si tratta di un disegno che puntava tutto sulla promozione della sostenibilità occidentale per sfruttare le terre dell’Amazzonia e le sue risorse. Il tutto senza rispettare i diritti e in generale le popolazioni indigene che senza dubbio sarebbero state sterminate.

   

L’interesse era legato a materie come il “litio verde”, le terre rare, l’oro, il petrolio, il legno, la soia e la carne. L’estrazione o la produzione di queste materie danneggia da anni le riserve indigene e la legge avrebbe solamente accelerato tale devastazione. In più la legge avrebbe la cancellato le richieste in sospeso, per il riconoscimento delle riserve e autorizzato l’accesso deliberato alla foresta. E per non farsi mancare nulla avrebbe limitato il potere del Ministero dei Popoli Indigeni e del Ministero dell’Ambiente. Così facendo avrebbe messo in pericolo risorse fondamentali come l’acqua e le foreste e la vita stessa delle popolazioni indigene.

   

Pertanto una legge simile non avrebbe rispettato punti fondamentali della costituzione a favore del business, mettendo in pericolo migliaia di persone.

    

La lotta degli indigeni

Le comunità indigene, i popoli che abitano l’amazzonia si sono ribellati sin da subito a quest disegno di legge. Le novità previste da quest’ultima non erano altro che modi con cui la nazione avrebbe potuto fare quello che più le interessava con il polmone verde. Mettendo così in pericolo intere popolazioni, molte delle quali non hanno quasi alcun contatto con il mondo esterno. Potremmo dire che contrastare la sua approvazione era letteralmente questione di vita o di morte per gli abitanti della foresta.

   

La legge introduceva dei vincoli che determinavano l’impossibilità di istituire riserve protette sulle aree dove gli indigeni non erano presenti alla data del 5 ottobre 1988. Data in cui entrò in vigore l’attuale costituzione. Anche se il il giudice della Corte Suprema Edson Fachin ricorda che:

 

… i diritti territoriali indigeni sono riconosciuti dalla Costituzione, ma preesistono alla promulgazione della Costituzione stessa”.

 

Inoltre, non avrebbero potuto essere demarcate, ovvero mappate, quindi riconosciute come zone su cui insistono dei diritti dei popoli nativi. In tal modo la nazione era libera di violare i diritti dei popoli indigeni, approfittando della loro instabilità, instaurata dallo Stato stesso. Questo perchè in molti erano stati costretti a lasciare le loro terre ancestrali da politiche statali, durante la dittatura militare tra gli anni ’60 e ’80. Per tale motivo, gli indigeni si battono da anni per l’istituzione e la promozione di riserve naturali e aree protette. Sono l’unico modo con il quale riuscirebbero a bloccare lo sfruttamento delle loro terre da parte delle multinazionali dell’allevamento, del disboscamento e dell’estrazione mineraria.

   

Fortunatamente, con forza e determinazione, i popoli della foresta sono riusciti (con le loro proteste e i loro appelli) a cambiare la rotta di questo processo.

   

Verso la vittoria

Prima ancora che la legge fosse approvata alla Camera, i rappresentanti delle popolazioni indigene hanno organizzato delle manifestazioni contro il governo. Per esempio, a San Paolo hanno bloccato l’autostrada e dato fuoco a pneumatici, per poi usare archi e frecce contro la polizia.  Oppure gruppi di nativi indigeni di tutto il paese hanno programmato una settimana di proteste davanti al Congresso nella capitale Brasilia.  Mentre il cacique (cioè il capo tribale) Raoni Metuktire, ha presentato una petizione contro le restrizioni alla demarcazione delle terre dei nativi.

   

Tutto questo, il cambio di governo e forse una maggiore sensibilizzazione al tema hanno portato alla grande vittoria. Così, la legge proposta durante il governo Bolsonaro è stata bloccata e rispedita al mittente pochi giorni fa. La procedura durata due anni è finita con una vittoria netta per popoli indigeni e attivisti ambientali. Nello specifico 9 degli 11 giudici della Corte Suprema si sono dichiarati contrari ad approvare il Marco Temporal.

 

Fiona Watson di Survival International ha dichiarato:

 

È una vittoria storica, cruciale per i popoli indigeni del Brasile e una grande sconfitta per la lobby dell’agrobusiness”.

 

Il Marco Temporal era uno stratagemma pensato per legalizzare il furto di milioni di ettari di terra indigena. Se fosse stato approvato, decine di popoli ne sarebbero usciti devastati – come migliaia di Guarani e i Kawahiva incontattati”.

Read More

L’isola di Arholma è autonoma grazie ad un sistema di accumulo energetico italiano.

By : Aldo |Settembre 22, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su L’isola di Arholma è autonoma grazie ad un sistema di accumulo energetico italiano.

Si sa che il Made in Italy, per quanto dimentica in certi ambiti, resta sempre una cifra di stile, bontà del prodotto e sicurezza. Quello esportato gode di una certa fama e con il passare del tempo si fa strada anche nel settore energetico, grazie a studi e innovazioni.

 

Il marchigiano in Svezia

In Svezia, una piccola striscia di terra nel nord-est dell’arcipelago di Stoccolma, chiamata Arholma è diventata autonoma grazie ad un sistema italiano. Arholma è oggi energeticamente autonoma, per via della collaborazione tra l’azienda marchigiana Loccioni e la società svedese “Vattenfall Eldistribución”.

La prima è un’impresa nata nel 1968 come un progetto che integra idee, persone e tecnologie, che lavora per il benessere della persona e del pianeta. Nello specifico si occupa di realizzare sistemi di misura e controllo per migliorare la qualità, la sicurezza e la sostenibilità di processi e prodotti industriali. La seconda invece è una delle maggiori società svedesi produttrice di energia elettrica, venduta anche per Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito.

Tale collaborazione ha reso possibile la realizzazione un prototipo che aiuti concretamente la piccola isola nei momenti di necessità.

    

Arholma

Si parla di una striscia di terra lunga 5 chilometri e larga 2 chilometri ed è l’isola più settentrionale dell’arcipelago prima del mare delle Åland. É caratteristica per la pittoresca combinazione di edifici tradizionali in legno, terreni agricoli, foreste e coste rocciose, motivo per cui è affollata durante l’estate. Nel 1963 Skärgårdsstiftelsen (la Fondazione Arcipelago) ha avviato un programma di conservazione della natura su Arholma. Pertanto, una vasta area comprese delle isole limitrofi sono parte di una riserva naturale, nella quale sono conservate anche metodi tradizionali si silvicultura e agricoltura.

    

L’istituzione di un’area protetta definisce l’importanza dell’ambiente nell’area che tuttavia in estate diventa una meta turistica gettonata. Appunto l’isola ha una popolazione di circa 70 persone che aumentano in estate toccando le 600. Proprio questa è una delle ragioni principali della costruzione del sistema. Infatti il prototipo prevede la fornitura di un sistema di accumulo energetico capace di sostenere carichi eccessivi, molto comuni durante l’estate. Oppure per interruzioni improvvise delle forniture, come durante forti temporali. La possibilità deriva dal fatto che il sistema energetico della microrete consente di interfacciarsi con la rete elettrica esistente sull’isola.

   

La microrete

Dunque, il sistema in esame è una smart microgrid, un sistema energetico intelligente su piccola scala per fornire energia in tutto il mondo. Nel caso specifico, la microrete dell’isola è stata realizzata ad Ancona tramite la cooperazione di entrambi gli enti. Il sistema è collegato a 2 batterie di accumulo, pronte a immagazzinare energia quando arriva quella elettrica dalla terraferma. Queste garantiscono l’approvvigionamento elettrico dell’isola per più di due ore. Ma è anche collegato ad un impianto fotovoltaico, che produce energia; di conseguenza il meccanismo ne accumulerà per via dei sistemi di accumulo. Successivamente verrà distribuita alla popolazione locale e poi la esporterà.

   

La CEO di Vattenfall Eldistribution AB, Annika Viklund afferma che il progetto ha lo scopo di capire come le microreti interagiscono con la rete principale. Una volta studiato tale processo, l’azienda valuterà se questi sistemi possono essere utilizzati in una circostanza più ampia, per soddisfare altre necessità della rete. Così facendo potrebbero garantire una risposta efficiente, ad una elevata richiesta della rete elettrica e una maggiore qualità dell’offerta locale.

     

Loccioni in Italia e in Svezia

Tuttavia non si tratta nè della prima opera dell’azienda marchigiana, nè del primo progetto in collaborazione con la Svezia. Un esempio di sistemi energetici di micro-rete mirati alla completa autonomia energetica è quello realizzato lungo il fiume Esino (Marche), nominato “Due chilometri di futuro”.

  

Mentre in Svezia, Loccioni, ha inaugurato la prima isola energetica della Scandinavia, precisamente a Simris (costa sud ovest). Anche in questo caso il progetto è frutto di una collaborazione con LES, Local Energy System, ed EO.N, il colosso tedesco dell’energia. Grazie a tale lavoro, l’energia che alimenterà la cittadina sul mare sarà esclusivamente prodotta in loco, rinnovabile, senza emissioni di CO2 e disponibile al bisogno. Ad oggi invece, lo smart microgrid di Arholma è considerato un progetto pilota.

Read More

L’UE ha perso 15 mila km di binari e questo è un problema per l’ambiente.

By : Aldo |Settembre 19, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’UE ha perso 15 mila km di binari e questo è un problema per l’ambiente.

Tante tecnologie e innovazioni ci aiutano quotidianamente per ridurre il nostro impatto sulla Terra.

Eppure, ci sono processi molto semplici che non vengono portati avanti che invece cambierebbero di gran lunga la nostra presenza nel mondo.

    

L’importanza dei trasporti pubblici

Secondo il sito per le statistiche sul cambiamento climatico, OurWorldinData, il settore dei trasporti contribuiva al 16,2% delle emissioni su scala globale nel 2016. Questa è una cifra non indifferente, non a caso il settore è considerato come una delle principali cause della crisi climatica in atto. Per quanto riportato dall’ EEA (Agenzia Europea dell’Ambiente) oggi quasi 72% delle emissioni legate a questo settore proviene dai veicoli a motore. Di seguito troviamo il trasporto aereo con il 13.9% e quello marittimo con il 13.4%, mentre quello ferroviario rappresenta solo l’1%.

   

Gli studi correlati a tale monitoraggio rivelano che le emissioni dovute ai trasporti hanno segnato un costante incremento dal 1990. Poi nel 2007 si toccò il tetto massimo mai raggiunto di 1 milione e centomila tonnellate di CO2 equivalente, per poi raggiungere il minimo nel 2013. Purtroppo le proiezioni dell’EEA, descrivono un nuovo incremento, ovvero che nel 2030 le emissioni legate ai trasporti si assesteranno alla quota del 2007.  Tuttavia, questo numero rappresenterà un aumento del 32% rispetto ai livelli registrati nel 1990 complicando la corsa alla neutralità climatica fissata dall’Unione entro il 2050.

    

Perchè non usiamo i mezzi pubblici?

Come descritto nel paragrafo precedente, il trasporto ferroviario è quello che produce meno emissioni, dunque sarebbe il più sostenibile.

In generale i mezzi di trasporto pubblici come autobus, tram e treni sono sempre la scelta giusta per ridurre la propria impronta di carbonio sul mondo. Peccato però che non sono sviluppati bene in tutto il mondo, o nello specifico in Italia. Forse è anche per questo che si preferiscono altri mezzi a quelli appena citati, anche se consapevoli di favorire un maggior inquinamento. L’altro dilemma è la mancanza di finanziamenti per la manutenzione delle strutture ferroviarie.

  

Questo è un problema europeo ed è stato studiato dal Greenpeace Europa centro-orientale (CEE) al Wuppertal Institut e al T3 Transportation Think Tank. La questione venne sollevata già nel 1995, quando vennero presi i primi impegni globali per ridurre le emissioni di gas serra. Da quell’anno, i Paesi europei hanno investito per ampliare e ripristinare la rete stradale il 66% in più di quanto abbiano speso per la rete ferroviaria. Si tratta di ben 1.500 miliardi di euro per le infrastrutture stradali e solo 930 miliardi di euro per quelle ferroviarie. Tale scelta, anche in maniera indiretta ha incentivato il trasporto privato quindi con automobili, furgoni e camion per il trasporto merci e ciclomotori. Mezzi che emettono rispettivamente 42, 68 e 72 g CO2/ Km.

     

Le ferrovie europee

Come conseguenza, dal 1995 sono stati costruiti più di 30 mila km di autostrade, mentre le ferrovie sono state ridotte del 6,5%. Tali processi hanno determinato una perdita complessiva di 15 mila km di linee ferroviarie, di cui:

  • 13 mila km di linee ferroviarie, maggiormente regionali
  • 600 fermate e stazioni di treni sono state chiuse penalizzando le comunità delle aree rurali.

Ovviamente l’Italia non presenta dati differenti da quelli europei. Secondo i dati, dal 1995 al 2018 il nostro Paese ha investito il 28% in più sulle strade che sulle ferrovie.

   

Le cifre? 151 miliardi per le prime e 118 miliardi di euro per le seconde. E per quanto riguarda le perdite? Dal 1995 sono state chiuse 40 linee ferroviarie per un totale di più di 1.800 chilometri, che sono facilmente ripristinabili perchè non smantellate. Tutte queste situazioni ovviamente fanno sì che le autostrade vengano usate maggiormente, creando i soliti ingorghi stradali che aumentano il livello di inquinamento. Contemporaneamente, le persone che vivono in aree rurali senza ferrovie, sono costrette ad usare le automobili per ogni spostamento.

   

Questa serie di azioni ha determinato un aumento delle emissioni nel settore dei trasporti, del 15% fra il 1995 e il 2019. Per tale motivo Greenpeace chiede ai governi europei, di spostare i finanziamenti dalla strada alla ferrovia. Così da migliorare le condizioni delle infrastrutture, potenziando quelle regionali e incentivare gli spostamenti con i mezzi pubblici.

Read More

Apple presenta il suo primo prodotto a emissioni zero.

By : Aldo |Settembre 18, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Apple presenta il suo primo prodotto a emissioni zero.

Non è facile produrre un oggetto, un alimento o fornire un servizio senza avere un impatto sul pianeta, ma almeno ci si può provare. Apple da anni prova migliorarsi, ponendosi dei grandi obiettivi e mantenendo le sue promesse in fatto di sostenibilità, sorprendendo il mondo intero.

   

L’evento Apple

Ogni anno Apple organizza vari eventi per presentare i nuovi modelli dei suoi prodotti con tante novità in molteplici settori. Tuttavia, l’ultimo, tenutosi il 12 settembre ha segnato punto di svolta dell’azienda nel campo della sostenibilità. Durante l’evento infatti, si è parlato molto di un approccio “green” riferito non solo alla sede centrale e agli store ma anche ai nuovi modelli.

 

Il momento più alto della presentazione è stato la proiezione di un corto dove Octavia Spencer ricopriva il ruolo di una madre natura molto severa. Una figura diffidente rispetto le affermazioni dei dipendenti e del CEO Tim Cook, per quanto riguarda il loro impegno nella sostenibilità. L’attrice americana con la sua figura ha probabilmente espresso anche i dubbi di tante persone nel mondo. Questo sketch ha preceduto la comunicazione più importante dell’evento, ovvero Apple ha creato il suo primo prodotto 100% “carbon neutral”.

   

Apple Watch Series 9

Come ogni anno, sono state presentate le nuove caratteristiche del modello in questione: aggiornamenti, nuove tecnologie e funzioni. Effettivamente si tratta di un prodotto già consolidato nel mercato e quindi sarebbe potuto passare velocemente in cavalleria. Invece non è stato così, perchè Apple lo ha presentato come primo prodotto 100% “carbon neutral” dell’azienda. Un raggiungimento importante per la società di Cupertino, che da anni cerca di ridurre l’impatto delle sue attività, sul pianeta.

 

Questo è solo uno dei tanti obiettivi nell’ambito del piano Apple 2030, il quale prevede l’azzeramento totale delle emissioni per tutti i prodotti Apple.  É un programma che non riguarda la sola produzione ma l’intero ciclo di vita dei prodotti, e che dovrà concretizzarsi entro il 2030. Per tale motivo, questa volta, le iniziative ambientali non sono state delle idee marginali, quanto il tema principale della presentazione.

  

L’orologio “carbon neutral”

La domanda che ora si fanno tutti è: come fa un orologio ad essere “carbon neutral”? Apple ha spiegato tutti i processi con i quali è riuscita a eliminare le emissioni di carbonio per la produzione dell’Apple Watch Serie 9. L’azienda si è impegnata nel rendere ancora più sostenibili vari aspetti del prodotto, passando dalla moda alla meccanica, fino all’energia usata per la sua produzione.

    

La prima grande differenza sono i cinturini. Si parla di cinturini “FineWoven” composti per l’82% da fibre riciclate, eliminando completamente il cuoio (materiale ad alto impatto di CO2).  Questa scelta è stata allargata anche per le collezioni in collaborazione con Hermès, che produrrà cinturini da materiali riciclati a impatto zero.  Inoltre, anche il 100% dell’alluminio usato per la produzione è riciclato. Con tale piano, Apple è in grado di influenzare tante altre aziende e brand internazionali, non solo in un’ipotetica partnership, ma anche nelle loro attività quotidiane.

   

Un altro punto fondamentale è l’energia.

Già dal 2020 Apple ha raggiunto le emissioni zero per tutte le operazioni aziendali, dagli uffici agli Store e le altre attività che controlla direttamente. Questa volta invece si è soffermata anche nel processo di produzione del nuovo modello. Infatti, quest’anno tutta la produzione legata alla gamma è alimentata da energie rinnovabili. Bisogna specificare che questo vuol dire che il fabbisogno di potenza complessivo è completamente coperto da una fornitura equivalente di energie rinnovabili sulla rete. 

   

Nello stesso settore inseriamo anche la ricarica del dispositivo, poiché se si considerano i milioni di utenti, ha un impatto rilevante.  Pertanto, la società ha deciso di compensare tale problematica con l’immissione in rete di energia rinnovabile prodotta da impianti finanziati da Apple. Il piano è quello di immettere l’equivalente dell’elettricità necessaria per ricaricare un Watch durante tutto il ciclo di vita medio del prodotto. Per di più, nel modello esiste la funzione “Grid Forecast” che indica in quali momenti della giornata l’elettricità domestica arriva da fonti rinnovabili. (Per ora si tratta di una funzione tarata soltanto sulla rete statunitense).

  

Apple saluta gli aerei e torna al lento mondo delle navi.
L’azienda ha deciso di tornare alle navi da carico, per generare il 95% in meno di emissioni in meno rispetto al trasporto aereo. In tal modo rischia di avere dei tempi più lunghi di consegna o di stoccaggio nei magazzini, destabilizzando una grande certezza del brand. Ma sono proprio queste le scelte che fanno intendere quale sia la vera volontà della società. Pur di ridurre il proprio impatto, Apple rischia di impiegare più tempo nei trasporti, non garantendo la velocità che fino ad oggi l’ha contraddistinta. A supporto di tale scelta, è stato ottimizzato anche il packaging del prodotto. Grazie all’innovazione, la scatola sarà più compatta e leggera di un quinto a parità di peso e volume, contenendo così il 20% in più di prodotti.

   

Conclusioni

Apple sicuramente non manca di inventiva, tecnologie e finanziamenti per permettersi tali cambiamenti. Tuttavia non è scontato che un’azienda metta in discussione e cambi così tanti aspetti della propria produzione. Per quello che non può cambiare, l’azienda ha pensato di affidarsi a progetti di compensazione con enti quali:

  • Verra;
  • the Climate, Community & Biodiversity (CCB) Standard;
  • the Forest Stewardship Council (FSC).

Così facendo, Apple dovrebbe raggiungere tutti gli obiettivi del piano sviluppato nel 2015. Quest’ultimo prevede l’azzeramento di tutte le emissioni di CO2 per tutti i prodotti Apple e le attività aziendali.

È riuscita anche a convincere circa 300 fornitori, il 90% di quelli con cui lavora a utilizzare esclusivamente forniture di energia rinnovabile nei loro impianti. Questa è l’ennesima prova che con ricerca, attenzione, investimenti e il lavoro di squadra, si può cmabiare il mondo.

 

Read More

Biden cambia gli USA: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030.

By : Aldo |Settembre 14, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Biden cambia gli USA: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030.

Gli Stati Uniti d’America sono una realtà capace di influenzare il mondo in modo rapido e intenso quasi in ogni settore.

Un ambito in cui però non sono attenti come l’Europa è proprio quello ambientale e della sostenibilità, ma sembra stiano arrivando grandi cambiamenti anche per loro.

   

La scarsa sostenibilità degli USA

L’acronimo EPA sta per “Agenzia per la protezione dell’ambiente”, ovvero un ente statunitense che si occupa della protezione della salute umana e dell’ambiente. Si tratta di un’agenzia nata nel 1970 sotto il governo Nixon, guidata da un direttore che viene nominato dal presidente, poi confermato dal senato. Di certo nell’ultima decade, ha subito una serie di cambiamenti dettati dalla successione di presidenti con idee totalmente diverse. Soprattutto durante il mandato Trump, che ha creato non pochi problemi all’ambiente degli USA con nuove leggi, revoche di divieti e affermazioni poco veritiere.

 

Nei suoi 4 anni, il repubblicano ha intrapreso un grande percorso per ridurre precedenti regolamentazioni soprattutto ambientali. Tra queste ha sostituito il Clean Power Plan, ridefinito i termini critici ai sensi della Endangered Species Act. Inoltre, ha revocato i divieti di estrazione di petrolio e gas naturale, indebolito la Coal Ash Rule, che regola lo smaltimento dei rifiuti di carbone tossici. Per non parlare della revisione degli standard sul mercurio e sulle sostanze tossiche nell’aria. Il problema di tali mosse ricade sul fatto che il blocco o la revisione di certe leggi o regolamenti, ha fermato processi importanti (lunghi anni).

  

Con l’arrivo di Biden, sembrava che l’America potesse proteggere seriamente la natura e la salute dei cittadini; ma è veramente così?

    

Inflation Reduction Act

Il cosiddetto IRA è un pacchetto di norme per stimolare l’economia e accelerare la transizione energetica. Si può descrivere come un disegno di legge che favorirà la riduzione del deficit per combattere l’inflazione, incrementando e diversificando le soluzioni climatiche.

   

Tenendo da parte l’economia, sembra che l’IRA possa portare a una riduzione delle emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Parliamo di un disegno di legge che dimostra l’importanza di avere un’ampia serie di soluzioni climatiche innovative per migliorare le strategie di decarbonizzazione. É fondamentale anche per raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni e per diventare un modello di politica climatica globale.  Senz’altro resta una azione strategica per mantenere e aumentare il consenso politico.

  

L’IRA, ormai è legge, sarà comunque seguita dal CATF (Clean Air Task Force) che collaborerà con responsabili politici, l’amministrazione presidenziale e le altre parti interessate. Questa integrazione consentirà un maggior controllo sull’implementazione, la localizzazione e la costruzione di infrastrutture per l’energia pulita e sulle nuove norme per la decarbonizzazione.

   

Questa legge prevede vari criteri e step quali:

  • Passi avanti trasformativi per ridurre le emissioni di metano;
  • Nuovi crediti d’imposta tecnologicamente neutri per i progetti che generano elettricità a zero emissioni di gas serra;
  • Potenziamento del credito d’imposta 45Q per incentivare la cattura, la rimozione, il trasporto e lo stoccaggio del carbonio;
  • Credito d’imposta per la produzione di idrogeno per sostenere la leadership degli Stati Uniti nei carburanti a zero emissioni di carbonio;
  • Investimenti senza precedenti per la decarbonizzazione dei trasporti;
  • I crediti d’imposta specifici per l’energia nucleare e quelli neutri dal punto di vista tecnologico rafforzano il valore dell’energia nucleare;
  • Sostegno alle tecnologie geotermiche di nuova generazione, come energia superhot rock;
  • Investire in infrastrutture per l’energia pulita.

   

Gli studi dell’EPA

L’EPA (United States Environmental Protection Agency) ha quindi studiato in modo approfondito la questione, analizzando numeri e obiettivi. Secondo l’ente, l’IRA è un buon incentivo per un cambiamento sostanziale, ma non è abbastanza per er centrare gli obiettivi sul clima del decennio. Nonostante ciò, ci si avvicina molto.

   

È stato calcolato che con tale programma si potrebbe abbattere tra il 49% e l’83% di emissioni legate alla generazione elettrica entro il 2030. Nello specifico i tagli più significativi sono correlati al settore dell’edilizia residenziale e commerciale, dell’industria e dei trasporti. Questo sarà possibile grazie agli investimenti (pari a 391 miliardi di dollari) pensati per incentivare l’utilizzo di energia pulita e delle rinnovabili.

   

Con tale manovra l’EPA calcola che le emissioni nazionali annue di CO2 degli Stati Uniti dovrebbero scendere, nel 2035, a 3,3 miliardi di tonnellate (Gt). Questa è una cifra sorprendente poiché segna l’equivalente di spegnere 214 centrali a carbone. Senza l’approvazione della nuova legge, non si sarebbe raggiunto lo stesso numero anzi, le emissioni avrebbero raggiunto i 4,1 Gt. Parliamo dunque di un dato che si avvicina molto agli obiettivi sul clima annunciati nel 2021, con almeno -50%, sempre rispetto ai livelli di gas serra del 2005.

   

Tuttavia, c’è chi contesta anche questa legge, a causa di un’attenzione rivolta prevalentemente alla fascia economica e meno a quella legata alla sostenibilità.

    

Le contestazioni

Nonostante gli sforzi, i nuovi regolamenti e gli investimenti, c’è chi contesta le scelte del Presidente americano. Per quanto l’IRA possa essere un incentivo ai grandi cambiamenti, è legge criticata da molti e per molteplici aspetti.

Tra questi:

  • I lunghi tempi burocratici per ottenere i permessi per la costruzione degli impianti. Si parla di 5 anni per un parco solare e 7 per un parco eolico.
  • Ritardi nelle autorizzazioni con un conseguente l’abbandono dei progetti e quindi un aumento dei costi;
  • La necessità di più finanziamenti vista la rilevanza economica degli USA a livello globale;
  • La scelta delle aree per la costruzione dei parchi eolici e solari.
  • La probabile perdita di elettricità per il trasporto (per le aree sono lontane dal centro)

Inoltre, in molti ritengono che non ci sia un vero e proprio piano per difendere l’ambiente visti gli ultimi progetti approvati. Come il programma di Conocophilips, il più grande progetto di trivellazione petrolifera a Willow (Alaska) un’ampia area naturale indisturbata.

Read More

Nel futuro produrremo acqua dolce dalle fattorie verticali galleggianti.

By : Aldo |Settembre 12, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Nel futuro produrremo acqua dolce dalle fattorie verticali galleggianti.

Le sfide per il futuro sono tante, diverse, ma tutte collegate, l’una con l’altra. Pertanto, è importante tenere in considerazione più ambiti nella ricerca e nello studio di nuovi prodotti o nuovi progetti.

    

La sfida dell’acqua dolce

La sfida dell’acqua dolce non è un concetto da correlare ad un futuro lontano, poiché c’è già chi combatte quotidianamente per averne una tanica.  Ad oggi sono 768 milioni (11%) le persone che nel mondo non ne hanno nemmeno il minimo necessario per la mera sopravvivenza. Inoltre, con il passare degli anni si prevede un continuo incremento della popolazione, quasi 10 miliardi entro il 2050, quindi aumenterà anche la domanda. Pertanto, i centri di ricerca lavorano costantemente per trovare le soluzioni più disparate per rimediare a tale problema.  

   

Il fatto è che l’acqua dolce non ci serve solo per bere, lavarci e lavare, ma è necessaria per l’agricoltura e migliaia processi di produzione. Tuttavia, al momento i maggiori serbatoi sono i ghiacciai, gli oceani e il sottosuolo, dai quali ne abbiamo una disponibilità diretta del 2,5%. Questo significa che, se la situazione non cambiasse ben 2,4 miliardi di persone potrebbero avere carenze idriche entro il 2050.

   

Per tale motivo sono stati inventati dei sistemi che facilitano la produzione di acqua dolce affiancati da ulteriori programmi legati alla sostenibilità.

    

Il progetto galleggiante

Per ridurre l’uso dell’acqua dolce legata all’agricoltura e rendere sostenibile ed efficiente una produzione agricola, sono stati inventati dei sistemi galleggianti. In questo caso, si può citare lo studio “An interfacial solar evaporation enabled autonomous double-layered vertical floating solar sea farm”. Si tratta di un lavoro svolto dalla University of South Australia e dalla Hubei University of Technology in China pubblicato su “Chemical Engineering Journal”.

    

Il progetto descritto in questo paper riguarda la cosiddetta “fattoria verticale galleggiante”. Si tratta di una struttura galleggiante nel quale si coltivano piante grazie all’acqua dolce ricavata dell’acqua di mare. Gli studiosi pensano sia un piano di enorme impatto e che possa portare soluzioni a questioni importanti quali:

  • La riduzione di emissioni di CO2 ;
  • Un minor utilizzo del suolo e quindi un minor inquinamento;
  • L’utilizzo di energie rinnovabili;
  • Una maggiore produzione di acqua dolce.

In sintesi, sarà una struttura autosufficiente, in grado di far evaporare l’acqua del mare per convertirla in acqua dolce. Così, sarà possibile organizzare delle coltivazioni “autonome”, ovvero che non hanno bisogno dell’intervento umano.

   

Come funziona?

In inglese “farm” in italiano “fattoria” ma non sono stati inclusi animali nel progetto di Haolan Xu e Gary Owens del Future Industries Institute.  Il loro prototipo è strutturato in 2 camere disposte in verticale, dove la superiore è una serra e in quella inferiore si raccoglie l’acqua. I due ricercatori hanno fatto degli esperimenti per provare l’efficienza della “fattoria”, coltivando 3 ortaggi sulla superficie dell’acqua di mare. La coltivazione non prevede l’aggiunta di acqua dolce e alcun tipo di manutenzione, mentre è supportata da un’alimentazione a energia solare.

 

Come accennato prima, i vantaggi di questa tecnologia sono molteplici e possono aiutare l’uomo come anche il pianeta. Un vantaggio rilevante è quello legato alla produzione di acqua potabile.  Infatti, la camera inferiore, consente la raccolta e l’evaporazione dell’acqua di mare, producendo acqua dolce con un processo automatizzato e a basso costo. Secondo le analisi, l’acqua riciclata prodotta dal dispositivo ha un tasso di salinità inferiore a quello prescritto per l’acqua potabile dalle linee guida sanitarie mondiali. Quindi, oltre a produrre cibo (con l’agricoltura) si potrà avere una quantità d’acqua potabile usufruibile per vari impieghi.

   

Simili

Senza dubbio questo non è il primo progetto che lega la coltivazione all’ambiente marino, oppure l’allevamento sul mare. Un esempio italiano è il Nemo’s Garden, delle biosfere galleggianti a 5-10 metri di profondità nella Baia di Noli, in Liguria. Ciascuna contiene 2.000 litri d’aria e sfrutta la combinazione di acqua fresca e luce calda solare, per una adeguata coltura idroponica.

   

Oppure a Rotterdam è stata costruita una fattoria galleggiante su una chiatta con quaranta vacche e settemila galline ovaiole. Il progetto è sostenibile per vari punti di vista come:

  • Abbeveramento: si usa l’acqua piovana, raccolta sul tetto e poi filtrata;
  • Nutrimento: vengono usati cereali provenienti da diversi birrifici, crusca dai mulini, erba dai campi sportivi e bucce di patate da un trasformatore. Tutti questi alimenti sono a “Km 0” o comunque si tratta di enti locali.
  • L’energia: è for è fornita da pannelli solari galleggianti.

Sicuramente non è facile creare delle strutture simili, per via della ricerca e lo studio che li precedono, la necessità di finanziamenti e di permessi burocratici.

Ma, nonostante ciò, questi sono esperimenti che dimostrano che le soluzioni ai nostri problemi esistono, sono funzionali e non danneggiano l’ambiente.

Read More

Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

By : Aldo |Settembre 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

La raccolta differenziata e il corretto smaltimento dei materiali che usiamo quotidianamente, sono delle pratiche rilevanti per instaurare un’economia circolare.

Eppure, sembra che non siano stati studiati metodi con cui riutilizzare delle materie prime pregiate: una di queste è il sughero.

Cos’è il sughero e come si estrae

Il sughero è un tessuto secondario che riveste il fusto e le radici delle piante fanerogame come la quercia da sughero o “sughera” (Quercus suber). Si tratta di alberi alti oltre 20 m che hanno un diametro di 1,5 m e sono diffusi in maniera limitata nel Mediterraneo occidentale.  Si trovano anche in Africa settentrionale, Portogallo, Spagna e in Italia, principalmente in Sardegna dove viene coltivata e poi in Toscana, Lazio e Sicilia.

  

Il processo di estrazione del sughero è diviso in 2 azioni simili, svolte a distanza di 10 anni l’una dall’altra. Infatti, la raccolta inizia quando il tronco ha una circonferenza di 30-40 cm, quindi più o meno dopo i 20 anni di età. In questa prima fase, detta “demaschiatura” (per via del nome dato al sughero vergine, “maschio” o sugherone) si praticano delle incisioni.  Queste servono per staccare con cura le strisce di scorza, senza rovinare il fellogeno, dal quale si ricava il nuovo sughero.

  

Dopodiché, si genererà annualmente un anello e 10 anni dopo la demaschiatura lo spessore sarà di 3cm e l’albero sarà pronto per l’estrazione del sughero. La sua asportazione procede dalla base del tronco verso l’alto, poi viene tolto ogni 9-12 anni, così l’albero resta produttivo e vive fino a 150-180 anni.

Tale processo si svolge tra i primi di maggio e la fine di agosto, quando il materiale in esame si stacca più facilmente, lasciando sana la pianta.

   

Gli impieghi del sughero

Per le molteplici caratteristiche chimico-fisiche, il sughero può essere impiegato in vari ambiti. Tra le sue proprietà possiamo citare la resistenza al fuoco e all’usura, l’elasticità e l’isolamento (elettrico, termico e acustico). In aggiunta è inattaccabile da insetti e roditori ed è anche inodore, insapore, imputrescibile e non tossico.

    

Può essere usato in vari settori e in vari modi, per esempio;

  • È impiegato per la fabbricazione dei turaccioli: per la sua elasticità e di impermeabilità, grazie alle quali garantisce una chiusura ermetica delle bottiglie;
  • É utilizzato nell’industria farmaceutica e in quella cosmetica;
  • Lo troviamo ancora nella fabbricazione di solette e soprasuole per scarpe, rivestimenti isolanti, galleggianti per le reti da pesca, salvagenti, imballaggi per materiali fragili ecc;
  • Per la fabbricazione del linoleum e di agglomerati espansi, utili per l’isolamento termico e acustico degli ambienti.  

I tappi e il riciclo

I tappi di sughero sono dei prodotti di grande valore che potrebbero alimentare un grande settore dell’economia, incrementando un circolo di riciclo e riutilizzo rilevante. Solo in Italia ne vengono prodotti 1,2 miliardi all’anno e nel mondo sono almeno dieci volte tanti. Nonostante si tratti di un materiale recuperabile al 100% e non infinito, la loro vita finisce nel momento in cui viene stappata una bottiglia.

In più la crescita del settore vinicolo, determina un aumento delle pressioni sui querceti, dunque, diventa necessario trovare rapidamente un sostituto a tale materia. Per questa ragione il riciclo dei tappi sarebbe necessario, se non urgente, ma come impostarlo?

   

Sicuramente la raccolta specifica di tappi, per il singolo cittadino e le attività ristorative sarebbe un buon inizio per cambiare il trend negativo. Già con un’attività simile, potremmo incentivare il risparmio di risorse naturali ed energia, dando nuova vita al sughero.  Per esempio, si potrebbero creare nuovi tappi, realizzare strati isolanti e fonoassorbenti che migliorano le prestazioni energetiche degli edifici o suole e tacchi per le scarpe. Un esempio è il progetto Recooper a Bologna o del Comune di Tradate (Lombardia) che dal dicembre 2022 hanno attivato un punto di raccolta pubblico.

   

Una seconda opzione è quella di finanziare progetti di consorzi specializzati nel recupero e nel corretto smaltimento del sughero. O ancora ci si può indirizzare verso il fai da te, come nel caso colosso del sughero Amorim Cork. L’azienda ha preso accordi con 45 onlus sul territorio nazionale per raccogliere tappi e trasformarli in oggetti di interior design.

   

Nel mondo

Nel mondo invece sono state sviluppate altre iniziative per il riciclo del sughero in generale. Un caso è quello di Seondong a Seoul, che ha stipulato un accordo con un’impresa di costruzione di impianti sportivi specializzata nel di riciclo del sughero. L’accordo prevede la partecipazione di ben 45 commercianti di vino che raccoglieranno i tappi inviandoli all’impresa, per la creazione di passaggi pedonali vicino all’ufficio distrettuale.

   

Oppure in Portogallo nel 2005 ha posizionato i primi contenitori per la raccolta differenziata dei tappi di sughero, anche presso gli esercizi commerciali. Non a caso il portogallo è il più grande produttore di sughero, seguito da Spagna, Algeria e Italia.

   

Il riciclo e il riutilizzo sono azioni basilari per una vita e un futuro sostenibile. Senza una buona pratica di tali processi, potrebbe essere difficile mantenere la qualità di certe materie prime o garantire le stesse quantità nei prossimi anni. Proprio per questo dovremmo basarci sempre più su un’economia circolare, perchè serve a noi tanto quanto al pianeta.

Read More