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King Colis incrementa la circolarità nel settore dell’e-commerce.

By : Aldo |Gennaio 13, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su King Colis incrementa la circolarità nel settore dell’e-commerce.

Il fenomeno del consumismo è purtoppo parte integrante delle nostre vite, se non alla base delle nostre abitudini e della nostra quotidianità. E prende sempre rilevanza soprattutto grazie al mondo del web, il quale sta facilitando e amplificando a velocità inaudite il sistema consumista. Tutto ciò ovviamente ha un impatto estremamente negativo sul pianeta, e pertanto sono necessarie azioni che possano limitare i danni o cambiare le abitudini dell’uomo. Un esempio è la startup francese King Colis.

Il consumismo dell’e-commerce

L’avvento dell’e-commerce ha trasformato radicalmente il panorama del consumo, rendendo gli acquisti più accessibili e immediati. Tuttavia, questo cambiamento ha portato con sé una serie di problematiche, tra cui l’aumento dei resi e la gestione degli ordini mai consegnati o ritirati. Tale fenomeno è stato incoraggiato anche dalla comodità di acquistare online favorendo comportamenti di consumo impulsivo, quindi senza una reale necessità, contribuendo a un tasso di reso elevato. Quest’ultimo, nel settore dell’e-commerce può superare il 30%, influendo sui costi operativi delle aziende, determinando anche un impatto ambientale significativo a causa delle emissioni associate al trasporto e allo smaltimento dei prodotti restituiti.

Inoltre, la crescita esponenziale degli acquisti online ha complicato ulteriormente la logistica. Infatti, gli ordini non consegnati o mai ritirati rappresentano diventano dei nuovi costi legati all’inefficienze nella gestione delle scorte. Ovviamente, la pandemia ha ulteriormente accelerato questa tendenza, portando milioni di nuovi utenti a fare acquisti online per la prima volta e cambiando in modo permanente le abitudini di consumo.

Le possibili soluzioni

In risposta a queste sfide, molte aziende stanno cercando di ottimizzare le loro politiche di reso e migliorare l’esperienza del cliente attraverso l’uso di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e sistemi di gestione omnicanale. Queste innovazioni mirano a creare un processo più efficiente che riduca i costi associati ai resi e migliori la soddisfazione del cliente. Tuttavia, resta fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza tra i consumatori riguardo all’impatto delle loro scelte d’acquisto sull’ambiente e sull’economia.

In particolare, si può citare l’iniziativa della startup francese King Colis: un gruppo che rivende tonnellate di pacchi spediti dagli e-commerce non reclamati dai clienti. Grazie ad un’attenta analisi di mercato, quindi ad uno studio delle abitudini dei consumatori e alla logistica dell’e-commerce, l’impresa ha pensato di incrementare la circolarità nel settore.

Il problema dei resi

La startup francese ha trovato un modo innovativo per valorizzare i pacchi non reclamati provenienti dagli e-commerce. Questi colli, acquistati dai grandi operatori logistici, vengono poi rivenduti al chilo a prezzi estremamente convenienti, sia online sia nei pop-up store presenti i in diverse città europee. Questa idea è nata proprio durante il Covid quando, il cofondatore Killian Denis e sua moglie, avendo bambini piccoli a casa, ordinavano molti prodotti online. Tuttavia, l’elevata domanda globale causava ritardi o mancate consegne di alcuni ordini.

Una volta finito il lockdown, si sono chiesti che fine facessero tutti i pacchi non consegnati e ha deciso di approfondire il funzionamento del processo logistico. Attraverso varie indagini hanno scoperto la falla del sistema. I prodotti spediti che passano inizialmente dai grandi centri di logistica vengono affidati a società più piccole incaricate della consegna finale, però se un pacco ha un indirizzo sbagliato, un’etichetta danneggiata o per altri motivi non viene recapitato né reclamato dal destinatario, finisce in un deposito.
Negli stessi depositi ci finiscono anche per mezzo dei resi dei clienti, non per difetti, ma perché questi cambiano idea all’ultimo momento.  

Ma proprio per questa logistica e per l’enorme richiesta da parte dei consumatori, questi depositi si trovano sommersi di merce, che per le aziende “conveniene” distruggere anziché restituirli al mittente, spesso situato in Cina. Si parla di circa 150 tonnellate di pacchi distrutti

King Colis

Come soluzione, King Colis ha ideato un modello innovativo per recuperare pacchi non consegnati o restituiti, trasformandoli in un’opportunità di business e contribuendo alla riduzione dell’impatto ambientale. Questi pacchi, acquistati a peso, sono rivenduti attraverso un sistema di economia circolare che include pop-up store temporanei e vendite online. Il metodo prevede la vendita “a scatola chiusa”, garantendo l’effetto sorpresa e includendo prodotti vari, come dispositivi elettronici, abbigliamento e gadget.

Dopo il successo ottenuto in paesi come Olanda, Germania e Francia, King Colis debutta in Italia presso il centro commerciale RomaEst dal 14 al 19 gennaio, con circa 10 tonnellate di pacchi. L’obiettivo della startup è ampliare ulteriormente l’attività, acquistando 70 tonnellate di merce al mese e organizzando otto pop-up store mensili in diverse città europee. I pop-up store, realizzati con materiali riciclati, offrono un’esperienza interattiva dove i clienti possono selezionare pacchi, pagarli in base al peso e scoprirne il contenuto, alimentando così anche il mercato del second-hand. Se il progetto italiano avrà successo, la formula sarà replicata in altre città del paese, nonostante la sfida dei trasporti sostenibili resti aperta.

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UE: torna il deposito su cauzione per plastica, vetro e lattine. L’Italia è fuori dagli accordi.

By : Aldo |Gennaio 09, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su UE: torna il deposito su cauzione per plastica, vetro e lattine. L’Italia è fuori dagli accordi.

Ormai, nel 2025, è chiaro che il riciclo dei rifiuti, sia fondamentale per limitare l’impatto delle attività umane nel mondo. Ma è anche vero che ridurre la produzione dei rifiuti sia un’altra soluzione concreta al problema, che possiamo considerare prima del riciclo. È per questo che l’Unione Europea ha pensato di reintrodurre il deposito su cauzione per plastica, lattine e vetro. Ecco come.

Il deposito su cauzione

Si tratta di un sistema di raccolta selettiva ideato per incentivare il recupero degli imballaggi di bevande monouso, come bottiglie di plastica, vetro e lattine. Con l’acquisto di una bevanda, il consumatore paga una piccola cauzione, che viene restituita interamente al momento della riconsegna dell’imballaggio vuoto presso i centri di raccolta o i rivenditori. Questo sistema si propone di incrementare significativamente la raccolta differenziata, con l’obiettivo di raggiungere il 90% di recupero per bottiglie e lattine entro il 2029, in conformità con le normative europee. Inoltre, contrasta l’abbandono dei rifiuti e promuove una gestione più efficiente degli imballaggi, favorendo al contempo il riciclo e il riutilizzo, pilastri fondamentali dell’economia circolare.

Sul fronte della sostenibilità ambientale, il deposito su cauzione svolge un ruolo cruciale: riduce l’inquinamento da plastica e altri materiali, recuperando materie prime di alta qualità adatte al riciclo per la produzione di nuovi contenitori. Coinvolge attivamente i consumatori in pratiche responsabili, trasformando un gesto quotidiano in un contributo concreto alla tutela dell’ambiente, senza costi aggiuntivi per loro. Questo approccio rappresenta non solo un’efficace soluzione per migliorare la gestione dei rifiuti, ma anche un passo fondamentale verso la costruzione di una società più consapevole e responsabile dal punto di vista ambientale.

Deposit Return System

l sistema di deposito su cauzione per contenitori monouso di plastica, vetro e alluminio si sta rapidamente espandendo in Europa e nel mondo, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti. Dal 2025, 50 paesi e circa 357 milioni di persone adotteranno i sistemi DRS (Deposit Return Systems), che prevedono il pagamento di una cauzione (tra i 15 e i 25 centesimi) al momento dell’acquisto di una bevanda, rimborsata quando il contenitore vuoto viene restituito. Questo approccio ha già preso piede in 16 Stati membri dell’Unione Europea, in linea con la direttiva SUP (Single-Use Plastics) del 2019, che promuove il recupero e il riciclo degli imballaggi.

Pioniera di questa soluzione è stata la Svezia nel 1984, seguita da Paesi del Nord Europa come Norvegia, Finlandia e Danimarca, e altri come Germania, Paesi Bassi, Lituania ed Estonia. Più di recente si sono aggiunte Austria, Polonia, Romania, Irlanda e Ungheria, mentre la Spagna prevede di implementarlo entro il 2026. I dati raccolti confermano l’efficacia del DRS: nei Paesi che lo adottano, la raccolta supera l’80% delle bottiglie monouso, rispetto a una media europea del 58%, con punte del 98% in Germania. Il sistema non solo riduce significativamente l’abbandono dei rifiuti negli spazi pubblici, ma raggiunge tassi di raccolta medi del 94% grazie all’incentivo economico offerto ai consumatori.

Il modello è anche sostenibile dal punto di vista finanziario: viene alimentato dai contributi dei produttori di bevande, dalla vendita dei materiali riciclati e dai depositi non riscattati dai consumatori che non restituiscono i vuoti. Nonostante questi risultati, l’Italia non ha ancora adottato il DRS, sostenendo che sia preferibile concentrarsi su politiche di riciclo piuttosto che puntare sulla restituzione dei rifiuti, una posizione che continua a suscitare dibattito tra istituzioni, consorzi e ambientalisti.

La discussione in Italia

In Italia, il sistema di deposito cauzionale per contenitori monouso è oggetto di un acceso dibattito. Sebbene sia stato introdotto nel 2021 e confermato nel Ddl Ambiente del 2022, rimane inattuato a causa della mancanza di decreti attuativi. Intanto, il nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi obbliga tutti i Paesi membri, Italia inclusa, a raggiungere il 90% di raccolta per bottiglie di plastica e lattine entro il 2029. Questo obiettivo appare sempre più urgente, considerando che ogni anno nel nostro Paese sfuggono alla raccolta differenziata circa 7 miliardi di contenitori monouso, generando costi aggiuntivi per i Comuni e un impatto ambientale significativo. Secondo Silvia Ricci, coordinatrice della campagna “A Buon Rendere”, un DRS in Italia potrebbe portare, nel giro di due anni, a raccogliere oltre il 95% di bottiglie in PET, vetro e lattine.

Le maggiori resistenze arrivano dal Conai, il consorzio italiano per il recupero e riciclo degli imballaggi, che considera il deposito cauzionale una duplicazione non necessaria rispetto alla raccolta differenziata esistente. Lo stesso, infatti, stima che l’installazione delle macchine necessarie comporterebbe un costo iniziale di circa 2,3 miliardi di euro e spese annuali di gestione pari a 350 milioni. Tuttavia, esperienze europee dimostrano che i sistemi tradizionali e il DRS possono convivere senza creare costi duplicati, contribuendo invece a recuperare quei materiali che oggi finiscono spesso dispersi o inceneriti.

Un esempio concreto viene dal Coripet, consorzio concorrente di Conai, che dal 2021 ha installato oltre 800 eco-compattatori per la raccolta selettiva delle bottiglie in PET. Questi dispositivi identificano gli imballaggi tramite il codice a barre e premiano i consumatori con sconti o premi, incentivando il riciclo. L’obiettivo è arrivare a 5.000 eco-compattatori entro il 2026. Questo approccio mostra come un sistema basato su cauzioni tra i 15 e i 20 centesimi possa funzionare, assegnando un valore economico agli imballaggi vuoti e stimolandone il recupero.

In conclusione

Il passaggio al deposito cauzionale non è solo una questione di infrastrutture, ma richiede anche una maggiore consapevolezza ambientale da parte di produttori, istituzioni e consumatori. Integrare il Drs in Italia non rappresenterebbe solo un’innovazione gestionale, ma anche un gesto concreto verso una transizione sostenibile, dove ogni attore sociale contribuisce attivamente a proteggere l’ambiente. Speriamo quindi che l’Italia possa seguire il modello europeo senza perdere il suo primato nel settore del riciclo e della raccolta differenziata.

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UK bandisce le sigarette elettroniche. Quali effetti sulla salute umana e ambientali si attendono?

By : Aldo |Dicembre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su UK bandisce le sigarette elettroniche. Quali effetti sulla salute umana e ambientali si attendono?

Le innovazioni tecnologiche sono fondamentali per lo sviluppo della popolazione, che sia in ambito scientifico, medico, economico o sociale. Tuttavia, a volte, le innovazioni vengono usate anche per incrementare delle abitudini o dei sistemi negativi o che almeno possono nuocere alla vita di tutti. Un caso particolare è quello delle sigarette elettroniche che da qualche tempo hanno preso piede nella società, soprattutto tra i giovani.

Le sigarette elettroniche

Le sigarette elettroniche, note anche come e-cig o dispositivi per svapo, sono strumenti elettronici progettati per inalare un aerosol prodotto dalla vaporizzazione di un liquido contenente nicotina e aromi. Diversamente dalle sigarette tradizionali, non avviene combustione, riducendo così l’emissione di sostanze cancerogene comunemente associate al fumo. Vennero inventate nei primi anni 2000 da un farmacista cinese in cerca di un’alternativa al fumo dopo la perdita del padre per un tumore ai polmoni. Dunque le e-cig hanno acquisito rapidamente popolarità, soprattutto tra i giovani per la varietà di gusti e alla percezione di essere meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali.

Nonostante l’ascesa nel panorama giovanile e l’impatto culturale, alimentato dalla grande disponibilità di aromi e dall’aspetto sociale, rimangono dubbi sui rischi legati al loro uso. I liquidi contengono sostanze chimiche che possono danneggiare il sistema respiratorio e cardiovascolare, sollevando questioni sulla sicurezza a lungo termine di questi dispositivi considerati un’alternativa “più sicura” rispetto al fumo tradizionale.

Un divieto per l’ambiente

Purtoppo l’industria delle sigarette elettroniche rappresenta una crescente fonte di rifiuti a livello globale, aggravando il problema dell’inquinamento del suolo e delle acque. Le cartucce e le batterie, spesso non smaltite correttamente, contribuiscono non solo al degrado ambientale, ma anche alla perdita di materiali preziosi come litio e rame, essenziali per diversi settori industriali. Nel Regno Unito, ogni giorno vengono smaltiti più di 1.000.000 di vaporizzatori, con un ritmo di 13 dispositivi gettati ogni secondo. La maggior parte finisce tra i rifiuti indifferenziati, dove le batterie agli ioni di litio, se danneggiate o schiacciate, possono scatenare incendi nei camion della spazzatura o nei centri di riciclo. L’aumento del 71% degli incendi di questa origine rispetto al 2022 sottolinea la gravità del fenomeno.

Per affrontare questi problemi, il governo britannico ha annunciato che dal giugno 2025 sarà vietata la vendita di vaporizzatori monouso non riciclabili. Solo i dispositivi ricaricabili o con cartucce sostituibili saranno consentiti. Questa misura mira a ridurre sia l’inquinamento ambientale sia i rischi per la fauna selvatica, causati dai dispositivi abbandonati. Infatti, uno studio di Material Focus rivela che ogni settimana vengono acquistati circa 3.000.000 di vaporizzatori, ma ben 8,2 milioni sono smaltiti impropriamente. Questo processo potrebbe essere invertito poiché i dispositivi scartati ogni anno potrebbero alimentare fino a 10.127 veicoli elettrici. Dunque investire in punti di raccolta accessibili e sensibilizzare produttori e consumatori sono passi fondamentali per favorire un riciclo più responsabile e ridurre l’impatto ambientale di queste tecnologie.

Impatti sulla salute umana

Oltre a tali aspetti, e sigarette elettroniche, spesso considerate un’alternativa meno nociva al fumo tradizionale, comportano comunque significativi rischi per la salute. Tra gli effetti principali vi sono irritazione delle vie respiratorie, infiammazione e disturbi come tosse e difficoltà nel respiro. L’esposizione ai componenti chimici, in particolare alla nicotina, può causare problemi cardiovascolari, come aumento della pressione sanguigna e accelerazione del battito cardiaco. Inoltre, studi indicano una maggiore probabilità di malattie polmonari e complicazioni gravi, come l’epidemia di EVALI, che ha provocato infezioni polmonari e decessi negli Stati Uniti.

L’uso prolungato delle e-cig potrebbe anche causare cambiamenti epigenetici simili a quelli osservati nei fumatori tradizionali, aumentando il rischio di tumori. La nicotina aggrava ulteriormente i pericoli, contribuendo a dipendenza e potenziali danni neurologici, soprattutto nei giovani. Oltre ai rischi per la salute, le sigarette elettroniche rappresentano una minaccia ambientale e possono causare incidenti come esplosioni o ustioni. In definitiva, pur riducendo alcuni rischi rispetto alle sigarette convenzionali, gli effetti negativi delle sigarette elettroniche sulla salute e sull’ambiente sollevano preoccupazioni che richiedono attenzione.

Le necessità di riciclo

Pertanto, l’introduzione del divieto di vendita per i vaporizzatori monouso non riciclabili sta spingendo i produttori a ideare soluzioni creative per aggirare la normativa. Scott Butler, direttore esecutivo di Material Focus, evidenzia che questo provvedimento da solo non sarà sufficiente. Sarà necessaria una legislazione più incisiva per regolamentare i nuovi prodotti immessi sul mercato. Inoltre, si propone che i negozi che continuano a vendere dispositivi non riciclabili debbano perdere la licenza commerciale, mentre i consumatori devono essere sensibilizzati sull’importanza del riciclo.

Riciclare un vaporizzatore dovrebbe essere facile quanto acquistarne uno, ma l’infrastruttura attuale per la raccolta e il riciclo risulta inadeguata. È indispensabile ampliare i punti di raccolta in luoghi accessibili come negozi, parchi, scuole, università e altri spazi pubblici. Allo stesso tempo, i produttori e i rivenditori devono assumersi una maggiore responsabilità, fornendo supporto finanziario per sistemi di riciclo efficienti e sicuri, riducendo così i rischi di incendio e recuperando materiali preziosi. Solo con un approccio integrato sarà possibile mitigare l’impatto ambientale dei vaporizzatori usa e getta.

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Il paradosso del decreto Ambiente 2024: trivelle sempre più vicine alle coste.

By : Aldo |Dicembre 19, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il paradosso del decreto Ambiente 2024: trivelle sempre più vicine alle coste.

Negli ultimi anni, l’attenzione crescente verso le questioni ambientali ha portato a significativi aggiornamenti del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto come Testo Unico Ambientale (TUA). Le recenti modifiche riflettono l’impegno dell’Italia per una gestione sostenibile delle risorse naturali e affrontano le sfide legate ai cambiamenti climatici e alla tutela della biodiversità. Tuttavia ci sono ancora troppe controversie e non poche opposizioni da parte di associazioni ambientaliste e partiti politici.

Decreto Ambiente 2024

Il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto come Testo Unico Ambientale (TUA), rappresenta il principale riferimento normativo italiano per la tutela ambientale. Promulgato con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita proteggendo l’ambiente e promuovendo l’uso sostenibile delle risorse naturali, il TUA raccoglie disposizioni in materia di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento (IPPC), gestione dei rifiuti, nonché tutela di acqua, aria e suolo. Questo corpus normativo integra la legislazione esistente nel rispetto degli obblighi internazionali ed europei e ha subito importanti aggiornamenti nel tempo, come l’introduzione di nuove sezioni nel 2015 e riforme volte a semplificare le procedure di autorizzazione e controllo.

In questo quadro, il Decreto Ambiente 2024, approvato definitivamente dalla Camera il 10 dicembre dopo il via libera del Senato, introduce diverse novità significative. Tra queste, spicca la controversa riduzione delle distanze di protezione per le trivellazioni marine, che passano da 12 a 9 miglia dalle coste. Il provvedimento vieta il rilascio di nuovi permessi di ricerca ed estrazione di gas e petrolio, ma prevede una riduzione della distanza minima esclusivamente per le concessioni già esistenti. Inoltre, viene introdotta una corsia preferenziale per le valutazioni ambientali riguardanti progetti di “preminente interesse strategico nazionale”, come impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica.

Novità e priorità

Il rilancio delle trivellazioni rappresenta una priorità per il governo Meloni, che lo vede come un’opportunità strategica per aumentare l’autonomia energetica del Paese. Tuttavia, solo pochi giorni fa il TAR del Lazio aveva bloccato il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po. I giudici hanno sottolineato carenze significative nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) e rilevato potenziali danni agli ecosistemi marini e costieri, criticità che il decreto appena approvato mira a risolvere attraverso la semplificazione e velocizzazione dei processi autorizzativi. Una delle misure più controverse del decreto è la riduzione delle distanze minime per le trivellazioni marine, che passano da 12 a 9 miglia nautiche, una soglia che il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha difeso affermando che garantisce comunque “un elevato grado di sicurezza”.

Parallelamente, il decreto Ambiente 2024 punta a incentivare altre infrastrutture legate alla transizione ecologica, assegnando priorità agli impianti strategici come quelli per l’accumulo di energia idroelettrica tramite pompaggio, utili per aumentare la capacità di immagazzinamento idrico. In questo ambito rientrano anche i sistemi di stoccaggio geologico della CO2, che prevede l’iniezione di anidride carbonica in forma liquida in rocce porose o giacimenti esauriti, e gli impianti per la cattura della CO2 convertibili in bioraffinerie, in grado di trasformare biomasse in biocarburanti.

Sul fronte del dissesto idrogeologico, il provvedimento attribuisce maggiori poteri ai commissari regionali, facilitando l’avanzamento dei lavori grazie a una più stringente supervisione sui fondi assegnati e promuovendo l’interconnessione delle banche dati per migliorare il monitoraggio e la tutela dei territori. Infine, vengono introdotte nuove norme per favorire l’economia circolare, con misure come la promozione del riutilizzo delle acque reflue raffinate a scopo irriguo, sottolineando l’intenzione del governo di rendere più sostenibili i cicli produttivi e di gestione delle risorse naturali.

Controversie e ostacoli

Il decreto Ambiente ha introdotto semplificazioni significative per le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA), attribuendo priorità a progetti di rilevante interesse strategico, come quelli per la cattura, lo stoccaggio e il trasporto di CO2, considerati essenziali per ridurre il carbonio nell’atmosfera. Un esempio concreto è il progetto avviato a Ravenna, che mira a catturare il 90% delle emissioni di CO2 di un impianto locale e immagazzinarle in un giacimento esaurito a 3.000 metri di profondità. Oltre a incentivare interventi legati al PNRR e a velocizzare l’approvazione di progetti del valore di oltre 25 milioni di euro, le norme puntano anche su criteri di sostenibilità economica e tecnica.

Tuttavia, queste disposizioni hanno suscitato polemiche, soprattutto da parte delle associazioni ambientaliste e dell’opposizione politica, che accusano il governo di favorire le fonti fossili a scapito delle energie rinnovabili, promuovendo progetti come le trivellazioni costiere entro le nove miglia. La deputata Luana Zanella (Europa Verde) ha evidenziato come tali misure rappresentino un freno alla transizione ecologica, mentre il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto-Fratin, ha difeso il decreto, definendolo un passo fondamentale per la semplificazione di settori strategici per l’economia. A questa controversia si aggiunge il dibattito sulla privatizzazione dell’acqua, escluso dal testo attuale ma che potrebbe rientrare nella manovra del 2025, alimentando ulteriori divisioni e opposizioni.

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Forrest Meggers, professore di Princeton, ha reso la sua casa 100% sostenibile.

By : Aldo |Dicembre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Forrest Meggers, professore di Princeton, ha reso la sua casa 100% sostenibile.

Non c’è mai fine alla ricerca e alla scoperta di nuove conoscenze, tecnologie e soluzioni. Nella vita quotidiana come nello studio, più ci si interroga e più si va avanti con il progresso. Ed è così anche nella ricerca di nuove soluzioni per contrastare il cambiamento climatico sotto il punto di vista sociale, economico e ambientale. Nello specifico, si stanno studiando sempre più, le soluzioni che possano rendere sostenibile l’edilizia e anche renderla sostenibile a livello economico. L’esempio del professor Meggers potrebbe essere un modello da seguire.

L’impatto dell’edilizia e le soluzioni

L’edilizia ha un impatto significativo sull’ambiente, contribuendo in modo sostanziale alle emissioni di gas serra e al consumo di risorse naturali. Secondo le stime, il settore edilizio è responsabile di circa il 39% delle emissioni globali di CO2, considerando sia la costruzione che l’uso degli edifici. Le attività di costruzione richiedono enormi quantità di materiali, energia e acqua, e spesso comportano la distruzione di habitat naturali. Inoltre, l’uso di materiali non sostenibili e le pratiche costruttive inefficaci possono aggravare ulteriormente questi effetti negativi.

Scegliere un’edilizia sostenibile è cruciale poiché riduzione le emissioni di gas serra attraverso l’uso di materiali eco-compatibili e tecnologie energeticamente efficienti, come i sistemi geotermici e i pannelli solari. Aiuta nella conservazione delle risorse, utilizzando materiali riciclati o recuperati e progettando edifici che consumano meno energia, l’edilizia sostenibile contribuisce a preservare le risorse naturali. È fondamentale anche per mantenere la salubrità degli ambienti, questo perché gli edifici sostenibili tendono a creare ambienti interni più sani, riducendo l’uso di sostanze chimiche tossiche e migliorando la qualità dell’aria. Senza contare poi i benefici economici, quali risparmi significativi sui costi energetici nel lungo termine, rendendo gli edifici più economici da gestire. Infine è la base per la resilienza al cambiamento climatico essendo progettata per affrontare le sfide del cambiamento climatico, come l’aumento delle temperature e le condizioni meteorologiche estreme, contribuendo così a una maggiore resilienza delle comunità.

Forrest Meggers e la sua idea

Forrest Meggers, docente di ingegneria e architettura alla Princeton University, ha trasformato la sua casa in New Jersey in un esempio tangibile di abitazione sostenibile. L’impresa, avviata tre anni fa, è nata dalla convinzione che una progettazione intelligente possa ridurre drasticamente le emissioni e migliorare l’efficienza energetica. Insieme alla moglie Georgette Stern e alle loro quattro figlie, Meggers ha affrontato una ristrutturazione radicale per costruire una casa autonoma dal punto di vista energetico.

La casa, che funge da laboratorio vivente, riflette la passione del professore per i temi climatici, come spiegato nel suo corso universitario “Progettare Sistemi Sostenibili”. Meggers considera questa esperienza un esempio pratico per sensibilizzare non solo i suoi studenti, ma anche la comunità locale e il pubblico in generale, definendo l’attuale crisi climatica come una corsa pericolosa “a 100 miglia all’ora senza cinture di sicurezza”.

Ovviamente l’ambizioso progetto non è stato esente da sfide. La ristrutturazione ha superato il budget iniziale di 300.000 dollari di circa 40.000 dollari, e per un anno la famiglia ha dovuto vivere con una cucina improvvisata nel seminterrato. Georgette, ex ingegnere che ha lasciato la carriera accademica per dedicarsi alla famiglia, ha preso le redini come manager del progetto, coordinando gli amici che spesso si offrivano di aiutare nei lavori. Mentre Meggers ha iniziato il suo percorso accademico con l’intento di progettare biciclette ecologiche, ma la consapevolezza dell’impatto climatico degli edifici lo ha spinto verso un nuovo obiettivo: ripensare l’architettura e le infrastrutture domestiche per contribuire in modo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico. Questa esperienza, benché impegnativa, rappresenta un modello concreto di come si possa agire per un futuro più sostenibile.

Sostenibilità domestica

Forrest Meggers, docente di ingegneria e architettura a Princeton, ha trasformato la sua abitazione in un progetto sperimentale di edilizia sostenibile. Per farlo ha investito inizialmente 300mila dollari, cifra poi lievitata a 350mila, e per un anno ha vissuto con la moglie e le quattro figlie in un seminterrato adattato. La casa, priva di caldaie o condizionatori e totalmente elettrica, è pensata per non dipendere dalla rete locale né dai combustibili fossili. Ogni modifica è stata progettata per ridurre al minimo consumi ed emissioni, integrando i principi di sostenibilità che Meggers insegna nel laboratorio C.H.A.O.S. (Cooling and Heating for Architecturally Optimized Systems).

Geotermia e innovazione tecnologica

Il cuore della ristrutturazione è stato l’installazione di un sistema geotermico avanzato. Questo sfrutta l’acqua delle falde sotterranee, mantenuta a una temperatura costante di circa 10°C, e la distribuisce in casa tramite una rete di tubi sotto il pavimento. Il sistema, reversibile, garantisce riscaldamento in inverno e raffrescamento in estate. Per aumentarne l’efficienza, Meggers ha perfezionato sensori e metodi di gestione dell’umidità, evitando così di ricorrere ad aria condizionata, ritenuta inefficiente. A tutto ciò si affianca un progetto di accumulo termico: due serbatoi sotterranei malleabili da 530 galloni ciascuno immagazzineranno energia per ridurre la dipendenza dalle pompe di calore. La ristrutturazione ha puntato anche sull’ottimizzazione degli spazi, abbattendo il piano superiore per costruire un nuovo tetto più basso e creare stanze private per le quattro figlie.

Questo ha permesso di eliminare i condotti dell’aria, sfruttando il sistema radiante. I materiali scelti rispecchiano l’approccio sostenibile: pavimenti in legno recuperato da frassini infestati da insetti, isolamento in lana di pecora e porte realizzate con legname locale. Per il bagno, un sistema innovativo permette di reindirizzare l’acqua del lavandino per lo scarico del WC. Anche l’esterno della casa è stato progettato per sfruttare strategie di riscaldamento e raffreddamento naturali. Finestre incassate e schermature solari passive favoriscono la luce solare in inverno e la ombreggiano in estate, ispirandosi a pratiche antiche come quelle degli Anasazi. A ciò si aggiungono pannelli solari per rendere la casa completamente autonoma dalla rete elettrica.

Un progetto personale con risvolti educativi

Per quanto complesso, il progetto di Meggers si è rivelato un punto di riferimento per l’edilizia green, tanto da essere visitato da studenti e colleghi. L’abitazione è oggi un laboratorio vivente, che dimostra come sia possibile costruire case a basso impatto ambientale in aree urbane. “Non serve vivere nel bel mezzo della natura per ridurre le emissioni”, commentano i suoi studenti, colpiti dall’ingegnosità del progetto.
Nonostante l’impegno profuso, la costruzione ha avuto i suoi momenti difficili. La moglie di Meggers, Georgette Stern, ha dovuto negoziare compromessi, soprattutto in cucina e sul tetto. Per mantenere felice la famiglia, Meggers ha persino sviluppato sistemi ad hoc per il raffreddamento estivo. Alla fine, l’armonia domestica è stata ripristinata grazie a stanze funzionali e a una cucina attrezzata. “Finirò quando smetterò di avere idee,” afferma il professore, segno che il progetto è più una missione che una semplice casa.

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Sembra migliorare la “salute” del buco dell’ozono.

By : Aldo |Dicembre 12, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Sembra migliorare la “salute” del buco dell’ozono.

In un periodo storico, sociale ed economico in cui tutto sembra andare sempre peggio, è fondamentale soffermarsi su ogni nuova conquista tecnologica, su ogni nuova politica volta alla protezione dell’ambiente e su ogni miglioramento del pianeta terra. Senza dubbio i cambiamenti climatici non ci risparmieranno, ma ogni tanto arrivano anche delle notizie positive che incrementano e rafforzano l’importanza di certe politiche, di certe nuove abitudini e delle azioni dedite alla salvaguardia dell’ambiente e del mondo.
in questo caso, sembra che con il 2024 si possa pensare ad una stabilizzazione o piccola ed iniziale ripresa del buco dell’ozono.

Il buco dell’ozono

Il buco dell’ozono è un fenomeno che indica la riduzione dello spessore dello strato di ozono nella stratosfera, particolarmente evidente sopra le regioni polari, come l’Antartide. Questo strato è fondamentale per la vita sulla Terra poiché assorbe la maggior parte delle radiazioni ultraviolette (UV) nocive provenienti dal Sole, in particolare le radiazioni UV-B e UV-C. La diminuzione dell’ozono permette a una maggiore quantità di raggi UV di raggiungere la superficie terrestre, con conseguenze gravi per la salute umana e per gli ecosistemi.

Le principali cause del così detto “buco” dell’ozono sono i clorofluorocarburi (CFC) e altri composti chimici rilasciati dalle attività umane, come l’uso di spray e refrigeranti. Nonostante gli sforzi internazionali, come il Protocollo di Montreal del 1987 che ha limitato l’uso di queste sostanze, il recupero completo dello strato di ozono è previsto solo per la metà del XXI secolo. Questo a causa delle persistenti emissioni e delle incertezze legate al cambiamento climatico.

Ovviamente tale fenomeno ha degli effetti negativi per l’intero pianeta e non solo degli umani. Per prima cosa l’aumento di tali radiazioni comporta un incremento dei casi di cancro della pelle, cataratta e indebolimento del sistema immunitario negli esseri umani. Inoltre, le radiazioni non filtrate possono danneggiare gravemente gli ecosistemi, compromettendo la fotosintesi nelle piante e riducendo la produzione di fitoplancton, che è essenziale per la catena alimentare marina.

L’evoluzione del fenomeno.

Negli ultimi 40 anni, il buco dell’ozono ha subito significative variazioni, influenzate principalmente dalle attività umane e dai cambiamenti climatici. Scoperto nel 1985 sopra l’Antartide, il fenomeno ha spinto all’adozione del Protocollo di Montreal nel 1987, che ha ridotto drasticamente l’uso di clorofluorocarburi (CFC), principali responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono. Nonostante ciò, negli anni ’90, il buco ha continuato ad espandersi, raggiungendo nel 2000 la sua massima estensione, pari a circa 29,9 milioni di chilometri quadrati. Tuttavia, segnali di recupero sono emersi dal 2006 grazie alla riduzione dei CFC e nel 2016, il buco si era ridotto di 4 milioni di chilometri quadrati rispetto al 2000.

Negli anni recenti, però, il fenomeno ha mostrato fluttuazioni significative. Nel 2023, il buco ha raggiunto un’estensione di oltre 26 milioni di chilometri quadrati, confermando una persistente variabilità nonostante i progressi ottenuti. Nonostante i progressi, gli scienziati avvertono che il recupero completo dello strato di ozono potrebbe richiedere decenni e che le dimensioni del buco continueranno a essere influenzate da variabili meteorologiche e dall’impatto del cambiamento climatico 12. Se le attuali tendenze continueranno, il buco dell’ozono potrebbe chiudersi completamente entro il 2066. Forse però, proprio il 2024 potrebbe essere l’anno di stabilizzazione o almeno di ripresa.

Il miglioramento del 2024

Negli ultimi quattro anni, il buco annuale dell’ozono antartico si è protratto più a lungo del solito, chiudendosi nella seconda metà di dicembre. Invece quest’anno, il fenomeno ha mostrato segnali di ritorno a comportamenti tipici, iniziando a chiudersi all’inizio di dicembre, un periodo più vicino alla media storica rispetto agli ultimi anni. Questo progresso è stato monitorato in tempo reale dal Servizio di Monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus (CAMS), che ha evidenziato una riduzione significativa dell’area massima del buco, scesa a 22 milioni di km² rispetto ai 25 milioni del 2023 e del 2022. Secondo il monitoraggio, l’area del buco si era ridotta costantemente nel mese di ottobre, seguendo l’andamento medio, per poi stabilizzarsi a circa 10 milioni di km² al giorno durante il mese di novembre. Inoltre, l’interruzione del vortice polare nella prima settimana di dicembre aveva contribuito a far sì che la chiusura del buco dell’ozono del 2024 si allineasse con la media registrata tra il 1979 e il 2021.

Laurence Rouil, direttore del Servizio, ha sottolineato che il Protocollo di Montreal e i suoi emendamenti avevano svolto un ruolo fondamentale nel contenere le emissioni di sostanze dannose per l’ozono. Tuttavia, aveva aggiunto che permaneva una certa variabilità legata alle dinamiche naturali delle altre variabili atmosferiche e che si sperava di osservare i primi segnali di recupero del buco dell’ozono nei prossimi decenni. Al netto di tali cambiamenti e piccoli successi, si prevede che i primi segnali concreti di recupero dello strato di ozono emergeranno nei prossimi decenni.

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GrapheneBreathe cattura e trasforma le emissioni di CO2 derivanti dagli allevamenti.  

By : Aldo |Dicembre 09, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su GrapheneBreathe cattura e trasforma le emissioni di CO2 derivanti dagli allevamenti.  

La lotta al cambiamento climatico risulta ed è spesso una lotta contro le emissioni di CO2 correlate alle attività antropiche. Si invita solitamente a ridurne la produzione e la conseguente emissione in qualsiasi ambito e settore. Tuttavia non è sempre semplice stare al passo con l’innovazione e godere delle nuove attrezzature per limitare i danni al pianeta. Fortunatamente e con grande sorpresa, la ricerca va avanti spedita e sta trovando un’ampia gamma di soluzioni per rimediare al problema.

Le emissioni degli allevamenti

Le problematiche legate alle emissioni degli allevamenti sono particolarmente gravi sia a livello globale che in Italia, dove il settore zootecnico contribuisce in modo significativo all’inquinamento atmosferico. In Italia, circa il 79% delle emissioni di gas serra nel settore agricolo proviene dagli allevamenti, con una predominanza di metano e ammoniaca. Le emissioni di metano, generate principalmente dalla digestione enterica degli animali, rappresentano quasi il 70% delle emissioni agricole totali e sono particolarmente elevate negli allevamenti di bovini. A livello europeo, gli allevamenti sono responsabili di oltre il 60% delle emissioni del comparto agricolo, evidenziando un trend preoccupante nonostante alcune riduzioni registrate negli ultimi decenni.

In particolare,  gli allevamenti intensivi sono la principale fonte di emissioni di ammoniaca in Italia, contribuendo al 75% del totale e alla formazione di polveri sottili, che hanno gravi ripercussioni sulla salute pubblica, causando circa 50.000 morti premature ogni anno. La situazione è particolarmente critica nelle regioni come la Lombardia, dove la densità degli allevamenti intensivi amplifica questi effetti negativi. Le pratiche di allevamento industriale non solo aumentano le emissioni di gas serra, ma comportano anche un uso insostenibile delle risorse agricole e idriche, oltre a favorire la diffusione di zoonosi e virus.

È chiaro quindi che, le emissioni degli allevamenti rappresentano una sfida significativa per la sostenibilità ambientale e la salute pubblica in Italia e nel mondo. Pertanto, sono necessari interventi urgenti per ridurre l’impatto ambientale di queste attività.

GrapheneBreathe

A tal proposito, GrapheneBreathe è la startup vincitrice della menzione speciale Green&Blue al Premio Nazionale Innovazione 2024 per il miglior progetto di impresa a impatto sul cambiamento climatico. Fondata grazie alla ricerca dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, l’azienda sviluppa una tecnologia innovativa per la cattura e trasformazione delle emissioni di gas serra provenienti dagli allevamenti di bestiame, utilizzando avanzati sistemi di filtrazione a base di grafene. La soluzione proposta riduce l’impatto ambientale generando, al contempo, sottoprodotti utili come gas industriali, fertilizzanti a base di urea e crediti di carbonio, offrendo benefici sia agli allevatori che all’industria. Il progetto, realizzato in collaborazione con partner di ricerca e industriali, è guidato da un team composto da Pierluigi Simeone, Salvatore Cosmo Di Schino, Nadia Spinelli, Thi Ha Le e Francesco Siconolfi. Grazie alla combinazione di sostenibilità ambientale ed efficienza economica, GrapheneBreathe rappresenta un modello per le start-up innovative nel settore climatico.

Filtrazione della CO2.

GrapheneBreathe: Una Soluzione Innovativa per la Riduzione delle Emissioni Agricole

Il vantaggio competitivo di GrapheneBreathe risiede nella sua tecnologia di filtrazione avanzata basata su grafene, che offre un metodo versatile ed efficiente per catturare diversi gas nocivi (CO₂, metano, ammoniaca) direttamente dalle emissioni agricole. Questa innovativa applicazione della tecnologia di cattura delle emissioni conferisce all’azienda una posizione di leadership, superando i tradizionali approcci indiretti come gli additivi per mangimi. Il sistema di filtrazione a ossido di grafene, grazie alla sua elevata capacità di adsorbimento, garantisce un’efficace cattura dei gas, che possono poi essere riutilizzati economicamente, ad esempio come fertilizzanti o in altre applicazioni industriali.

Per supportare le aziende agricole nella riduzione dell’impatto ambientale, GrapheneBreathe propone tre soluzioni principali:

  1. Sistema di filtrazione modulare, basato su grafene, offrendo una soluzione scalabile che richiede un investimento iniziale contenuto da parte degli agricoltori.
  2. Modello di business con flussi di ricavi diversificati: la vendita e manutenzione dei sistemi di filtrazione, la commercializzazione diretta di gas industriali recuperati (CO₂, metano, ammoniaca), la vendita di crediti di carbonio certificati e la produzione di urea, in risposta alla crescente domanda di fertilizzanti sostenibili.
  3. Partnership strategiche per l’espansione del mercato collaborando con distributori di gas industriali, enti certificatori di crediti di carbonio e associazioni regionali di agricoltori per ampliare la propria presenza e offrire soluzioni efficaci e integrate.

Queste iniziative rendono GrapheneBreathe una soluzione pionieristica e concreta per affrontare le sfide ambientali del settore agricolo.

Premio Nazionale Innovazione 

Il Premio Nazionale per l’Innovazione 2024 (PNI 2024) si tiene il 5 e 6 dicembre presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Organizzato congiuntamente da PNICube e dall’ateneo ospitante, il PNI è la più importante competizione italiana di business plan, volta a selezionare i migliori progetti di start-up innovative provenienti dalle Start Cup regionali promosse dalla rete PNICube. L’iniziativa si articola su quattro settori chiave dell’innovazione: Cleantech & Energy, Life Sciences-MedTech, ICT e Industrial.

L’obiettivo principale del PNI è diffondere la cultura imprenditoriale tra ricercatori e studenti universitari, offrendo formazione specifica e supporto per la creazione di start-up. Inoltre, il premio facilita il collegamento tra i partecipanti e aziende o istituzioni finanziarie, agevolando il trasferimento tecnologico e l’incubazione di nuove idee imprenditoriali. L’iniziativa si allinea agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, promuovendo un’economia inclusiva e sostenibile.

I vincitori riceveranno premi in denaro, affiancati da riconoscimenti speciali offerti dai partner di PNICube. Tra le novità di questa edizione, spicca il Premio speciale INVITALIA per l’Imprenditoria Femminile, destinato alle start-up innovative guidate da donne. Questo riconoscimento mira a sostenere le ricercatrici e aspiranti imprenditrici, incentivando la nascita e la crescita di progetti imprenditoriali al femminile.

In sintesi, il PNI 2024 non è solo una celebrazione dell’innovazione, ma anche una piattaforma di networking e crescita per le competenze imprenditoriali, contribuendo a rendere l’ecosistema economico italiano più dinamico e inclusivo.

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Riad ospita la COP16 per lottare contro la desertificazione.

By : Aldo |Dicembre 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Riad ospita la COP16 per lottare contro la desertificazione.

COP, Summit, conferenze globali tutte per salvare il nostro pianeta.  Dopo che novembre ha accolto la COP29 a Baku e il Summit sull’inquinamento da plastica a Busan, a dicembre arriva la COP16 sulla desertificazione a Riad. Questi incontri internazionali hanno sempre dei grandissimi ed importanti obiettivi, ma spesso sembrano non avere l’impatto previsto. Ultimamente è stato difficile raggiungere gli obiettivi prefissati negli anni precedenti e spesso alcuni stati si oppongono a delle politiche necessarie per proteggere il pianeta e quindi noi stessi. Come andrà la COP16 a Riad, lo scopriremo prossimamente.

UNCCD

La Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) è un accordo internazionale operativo dal 1996. Si tratta di un patto che mira a contrastare la desertificazione e gli effetti della siccità, specialmente nei paesi più colpiti, come quelli africani. Risulta essere l’unico strumento giuridicamente vincolante che integra ambiente, sviluppo sostenibile e gestione del territorio.

I suoi obiettivi principali sono:

  • Migliorare gli ecosistemi: Promuovere una gestione sostenibile del suolo e contrastare il degrado.
  • Condizioni di vita: Supportare le popolazioni colpite dalla desertificazione.
  • Gestione della siccità: Aumentare la resilienza di comunità ed ecosistemi.
  • Benefici ambientali globali: Garantire un’efficace attuazione della Convenzione.
  • Mobilitare risorse: Creare partenariati per finanziare e sostenere le azioni.

La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo decisionale principale. La COP16 si terrà a Riyad, Arabia Saudita, dal 2 al 12 dicembre 2024, per definire nuove strategie contro il degrado del suolo, che interessa circa 15 milioni di km². La desertificazione è alimentata da cambiamenti climatici, pratiche agricole insostenibili e urbanizzazione, con effetti gravi come scarsità d’acqua, insicurezza alimentare, migrazioni forzate e conflitti. Pertanto, la UNCCD propone un approccio integrato, considerando le interazioni tra ambiente, economia e società. Negli anni, le Conferenze delle Parti (COP) della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) hanno prodotto importanti risultati. Per esempio, le strategie per migliorare la resilienza alla siccità, ridurre il degrado del suolo e promuovere la gestione sostenibile delle risorse naturali.

La COP 11 (2013) sono stati sviluppati gli strumenti per raggiungere la neutralità del degrado del suolo (LDN) integrando scienza e politiche. Con la COP 13 (2017) ha introdotto un nuovo Quadro Strategico UNCCD e il Fondo LDN per progetti di restaurazione del suolo. Mentre la COP 15 (2022), ha adottato l’Abidjan Call per un impegno globale contro la desertificazione, ovvero una dichiarazione sull’uguaglianza di genere nella restaurazione del suolo. Ed anche il Programma Legacy, che mira a restaurare il 20% della copertura forestale della Costa d’Avorio entro il 2030.

Vediamo cosa ci aspetta dalla COP 16 di Riad.

 

La desertificazione nel mondo

La desertificazione e il degrado del suolo sono fenomeni in rapida crescita, con il 40% dei suoli globali già degradati a causa di attività antropiche, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e pratiche agricole intensive. Le conseguenze comprendono una crescente scarsità d’acqua, l’impoverimento dei raccolti e un aumento del rischio di fame per milioni di persone. La siccità, cresciuta del 30% dal 2000, potrebbe colpire il 75% della popolazione mondiale entro il 2050. Per affrontare questi problemi, la COP16 di Riad, organizzata dall’UNCCD, punta a raccogliere fondi e a promuovere soluzioni sostenibili.

COP 16

La sedicesima Conferenza delle Parti (COP16), in corso a Riad sotto la guida dell’UNCCD, evidenzia l’urgenza di intervenire con investimenti massicci per combattere il degrado dei suoli e rafforzare la resilienza alla siccità. L’UNCCD ha infatti stimato che tra il 2025 e il 2030 saranno necessari 2,6 trilioni di dollari, ovvero un miliardo al giorno, per bonificare i terreni degradati e prevenire crisi future. Nonostante i finanziamenti globali siano aumentati, passando da 37 miliardi di dollari nel 2016 a 66 miliardi nel 2022, la cifra è ancora insufficiente rispetto al fabbisogno reale. La questione finanziaria risulta dunque essere centrale, con un appello per un maggiore coinvolgimento del settore privato, che attualmente contribuisce solo al 6% delle risorse necessarie.

Durante la COP16, sono state presentate nuove tecnologie per il monitoraggio e la gestione del territorio. Tra queste, l’Atlante mondiale della siccità, sviluppato dal Centro di ricerca congiunto della Commissione europea. E poi e il prototipo dell’International Drought Resilience Observatory (Idro) che promette di migliorare la gestione delle risorse attraverso l’intelligenza artificiale. Inoltre, gli interventi basati sulla natura, come la riforestazione e la gestione sostenibile dei pascoli, sono considerati essenziali per affrontare il problema. Questi strumenti tecnologici e approcci integrati potrebbero contribuire a mitigare i rischi sistemici per settori cruciali come agricoltura, energia e trasporti. Senz’altro si punta al ripristino dei suoli, accelerando la bonifica di almeno 1,5 miliardi di ettari entro il 2030.

Impatto in Italia e nel Mediterraneo

Si parlerà ovviamnete anche dell’Italia, dove oltre il 20% del territorio è a forte rischio di desertificazione, con punte che superano il 70% in regioni come la Sicilia. Anche il consumo di suolo è allarmante, visto che ogni anno vengono persi 70 chilometri quadrati di territorio, l’equivalente di una città come Napoli. Questa perdita comporta una riduzione della capacità del suolo di trattenere acqua, causando costi annui pari a 400 milioni di euro. Precisamente, le aree urbane sono particolarmente colpite, con meno spazi verdi accessibili e un aumento della cementificazione. Quindi, investire in tecnologie per il risparmio idrico e il ripristino dei suoli è fondamentale per mitigare gli impatti nel Mediterraneo e in tutto il paese.

Non ci resta che aspettare gli output di questa conferenza cruciale per il futuro di tutti, sperando che non sia l’ennesima delusione dell’anno.

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Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.

By : Aldo |Dicembre 02, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.

La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità. Per tali ragioni, è necessario trovare un accordo globale per limitare e cercare di ridurre per quanto possibile, i danni correlati a tale questione.

Trattati sulla plastica

Il Trattato globale sull’inquinamento da plastica, avviato nel marzo 2022 con l’adesione di 175 nazioni durante l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite (UNEA-5.2). Grazie all’istituzione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC),  punta a regolamentare l’intero ciclo di vita della plastica entro il 2024. Tra i suoi obiettivi principali figurano la riduzione della produzione di plastica vergine, la promozione dell’economia circolare e il controllo delle microplastiche. La “Bozza Zero”, presentata nel settembre 2023, è alla base dei negoziati, sostenuti da coalizioni internazionali ma ostacolati dai contrasti con alcuni Paesi produttori di petrolio.

Nonostante il sostegno internazionale, il successo del trattato dipende dalla cooperazione globale e dalla capacità di superare le divergenze politiche. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha ribadito l’urgenza di un accordo ambizioso e vincolante per affrontare questa crisi ambientale.  La prossima sessione dell’INC, fissata per aprile 2025, sarà decisiva per confermare l’efficacia delle misure proposte.

Le basi per Busan 2024

A Busan, in Corea del Sud, si è svolto il quinto e ultimo ciclo di negoziati per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. L’incontro, durato una settimana, dal 25 novembre al 1° dicembre, che riunisce i delegati di 175 Paesi, rappresenta un’opportunità cruciale per affrontare un problema crescente. La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Mentre le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità.

Ogni anno, circa 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’ambiente. Nonostante le promesse di sostenibilità, solo il 10% della plastica viene riciclata a livello globale, mentre la metà dei prodotti plastici viene destinata alle discariche. Tuttavia, le divisioni fra Paesi produttori di combustibili fossili e quelli che cercano di ridurre la produzione di plastica vergine ostacolano i progressi verso un accordo internazionale.

Le difficoltà nei negoziati

Gli ultimi negoziati per il Trattato globale sulla plastica hanno fallito a causa o forse soprattutto per le divisioni tra i Paesi, che continuano a bloccare il dialogo, bloccando qualsiasi intesa entro la scadenza del 1° dicembre.  Purtoppo il dibattito a Busan è ruotato attorno visioni contrapposte: Paesi come Arabia Saudita, Iran e Russia si sono opposti alla limitazione della produzione di plastica vergine, mentre nazioni dell’UE, insieme a Svizzera e Fiji, hanno continuato a sostenere una riduzione sostenibile.

L’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio e prodotti petrolchimici, è accusata di ostacolare deliberatamente i negoziati. Questo perché ha mantenuto posizioni immutate e rallentato i progressi, mentre altri Paesi produttori di idrocarburi e lobby legate all’oil&gas hanno esercitato un’influenza significativa. Anche Anche gli Stati Uniti erano per la riduzione della produzione di plastica vergine, ma l’influenza di politiche basate sui combustibili fossili rischia di compromettere il loro impegno. La sola speranza di molti è che la Cina possa assumere un ruolo di leadership per facilitare un’intesa.

Tuttavia, le regole ONU, richiedono il consenso unanime, è questo ha portato allo stallo e al fallimento di cui siamo a conoscenza oggi.

Proposte e punti di disaccordo

Proprio per evitare lo stallo prevedibile, la delegazione di Panama ha persino proposto di abbandonare questa regola per accelerare il processo, ma senza successo. Dunque, l’ultima bozza dell’accordo non raggiunto, era ancora piena di opzioni e mancava di compromessi significativi. Perciò gli esperti dell’UNEP hanno sottolineato l’importanza di un approccio basato sul ciclo di vita della plastica, includendo la gestione dei rifiuti e la promozione di modelli di consumo sostenibili.

Sebbene le premesse fossero chiare, tra i punti di disaccordo, quindi i temi più caldi che presentano ancora 22 opzioni aperte, si riportano:

  • la riduzione della produzione globale di plastica,
  • la definizione di prodotti pericolosi per la salute
  • finanziamento per i Paesi in via di sviluppo per sistemi di gestione dei rifiuti.

Inoltre, alcune nazioni, tra cui Francia e Kenya, hanno proposto un’imposta sulla plastica vergine per raccogliere fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo, con una tariffa tra 60 e 70 dollari per tonnellata. Ovviamente, l’idea è stata fortemente osteggiata dalle associazioni industriali.

Senza contare, gli argomenti che prevedono delle visioni basilari contrastanti per via delle leggi internazionali, oppure che prevedono 2 soluzioni convergenti. Sicuramente è necessario stabilire quale approccio usare, se quello massimalista, che prevede limiti alla produzione di plastica (articolo 6), o quello minimalista, focalizzato esclusivamente sul potenziamento del riciclo. E poi bisogna ragionare  su un secondo contrasto tra il principio “chi inquina paga”, il diritto di ogni Paese a utilizzare le proprie risorse naturali come ritiene opportuno.

Accuse e malcontento generale.

Il vertice di Busan, dunque, si è concluso senza un accordo per il Trattato globale sulla plastica. Ovviamente questo ha portato a delle grandi accuse e delusioni. In primis, il diplomatico ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso ha sottolineato come i negoziati siano stati rallentati da tattiche dilatorie, come 60 interventi di cinque minuti per modificare una frase. Secondo l’OCSE, senza interventi, l’inquinamento da plastica triplicherà entro il 2060, con la produzione globale che potrebbe crescere da 460 milioni di tonnellate nel 2019 a 1,2 miliardi di tonnellate.

La Coalizione delle Alte Ambizioni ha criticato l’ostruzionismo dei paesi petroliferi e Greenpeace ha denunciato gravi conseguenze per l’ambiente, ma alcuni delegati, come quelli di Norvegia e Ruanda, hanno segnalato progressi nel testo preliminare. La prossima sessione, prevista nel 2025, non ha ancora una data o sede, con Canada e Francia che chiedono un incontro a livello governativo.

 

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Cop29, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Stop ai petro-stati come host delle COP.

By : Aldo |Novembre 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cop29, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Stop ai petro-stati come host delle COP.

La COP29, svoltasi a Baku dall’11 al 27 novembre 2024, si è svolta in un contesto di tensioni geopolitiche. Tra resistenze dei Paesi ricchi a finanziare adeguatamente il Sud globale, la crescente sfiducia nel processo multilaterale e una presidenza controversa affidata a un petro-stato. Il focus esclusivo della conferenza è stato il New Collective Quantified Goal (NCQG), mirato a definire i flussi finanziari necessari per sostenere la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo.

Risultati Principali

Per quanto riguarda la finanza climatica, il target è stato fissato a 300 miliardi di dollari annui a partire dal 2035, una cifra lontana dai 1.300 miliardi richiesti dal Sud globale. Di questi, solo i 300 miliardi sono vincolanti, mentre il resto rimane un’aspirazione, un invito senza obblighi concreti. Tuttavia mancano chiarezza e sicurezza sulle fonti finanziarie, che includono privati e bilaterale. È stato però confermato il principio di non indebitamento per i Paesi poveri e istituita una roadmap per raggiungere l’obiettivo più ambizioso, sebbene priva di dettagli concreti.

Il tema della parità di genere ha ricevuto scarsa attenzione. Non si è raggiunto un accordo sull’estensione del piano d’azione, e le richieste di finanziamenti dedicati sono state respinte dai Paesi ricchi. Divisioni linguistiche hanno portato alla rimozione di termini come “intersezionalità”, mantenendo solo riferimenti generici ai diritti umani.

Sebbene dopo nove anni di attese, sono state adottate delle regole per il mercato dei carbon credit attese, il sistema rimane incompleto e insufficiente. Sul fronte della mitigazione climatica, non si è raggiunto alcun accordo concreto sulla transizione dai combustibili fossili, con il tema rinviato alla COP30. Si è evitato però un riferimento ambiguo ai “combustibili di transizione” come il gas naturale.

 

Criticità e Insoddisfazioni

Il Sud globale ha espresso insoddisfazione per la scarsità dei fondi stanziati e per l’assenza di impegni concreti. Temi fondamentali come la mitigazione climatica e la parità di genere sono stati affrontati in modo marginale o rinviati, evidenziando il peso delle lobby fossili, che hanno ostacolato i progressi e aggravato le già delicate tensioni geopolitiche.

Il target finanziario include una considerevole quota di prestiti, una scelta particolarmente contestata dai Paesi in via di sviluppo. Nonostante l’impegno a triplicare i finanziamenti ai fondi ONU entro il 2030 e a riesaminare il tema alla COP30, queste misure sono state giudicate insufficienti. L’India, in particolare, ha criticato il processo decisionale, denunciando l’approvazione del testo finale senza un consenso condiviso.

Prospettive Future

La COP30, che si terrà in Brasile, rappresenterà un momento decisivo per affrontare temi rinviati come la mitigazione climatica. Attori centrali come l’Unione Europea, la Cina e il Brasile stesso, avranno un ruolo strategico a Belém 2025. Mentre l’UE intende garantire finanziamenti non legati a nuovo debito, la Cina prosegue con progetti bilaterali senza vincoli multilaterali, Brasile, in qualità di ospite, sarà il mediatore tra Nord e Sud globale.

Un elemento chiave sarà il coinvolgimento del settore privato, incoraggiato a investire in progetti sostenibili e rispettosi delle comunità locali, senza generare nuovo debito. Sebbene l’accordo della COP29 sia stato considerato debole, come un bicchiere mezzo vuoto, non è stato totalmente vuoto. Infatti potrebbe costituire una base di partenza per il futuro, che tuttavia richiederà un rafforzamento della volontà politica e un maggiore impegno privato.

Sembra assurdo affermarlo, ma sembra che ogni anno, più si ha la consapevolezza scientifica e pratica dei cambiamenti e più ogni anno cresce l’indifferenza di certe popolazioni. Non a caso, certi processi sono resi più complicati dalla possibile nuova uscita degli USA dall’Accordo di Parigi e dal negazionismo di vari capi di stato.

Senz’altro è fondamentale che si cambi rotta anche per quanto riguarda gli host. Non è più accettable che i petro-stati possano ospitare dei summit globali di questo genere, in quando hanno un’influenza rilevante che da 3 anni si impone sugli accordi, con velate intimidazioni e degli obiettivi insufficienti o poco concreti.

Già lo scorso anno, Al Gore aveva criticato aspramente gli Emirati Arabi Uniti per aver nominato Sultan al-Jaber, CEO di ADNOC, presidente della Conferenza. Definì tale atto, come un abuso della fiducia pubblica accusando la leadership della conferenza di non essere imparziale. Inoltre, evindenziò l’aumento delle emissioni di gas serra degli Emirati nel 2022, sottolineando il conflitto d’interessi nella gestione delle negoziazioni sul clima. Gore criticò inoltre la presenza delle compagnie petrolifere e la promozione di tecnologie come la cattura del carbonio, accusando queste aziende di proteggere i loro profitti a scapito della salute del pianeta.

  

Nonostante i limiti, la COP29 ha evitato un fallimento totale e ha posto le basi per il futuro, ma la strada verso una vera transizione ecologica rimane difficile, richiedendo determinazione, rigore scientifico e capacità di adattamento.

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Conoscere l’impatto della moda è fondamentale, come saper riciclarne i tessuti.

By : Aldo |Novembre 24, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Conoscere l’impatto della moda è fondamentale, come saper riciclarne i tessuti.
riciclo-tessuti

Il fenomeno del fast fashion ha un impatto sempre più rilevante col passare degli anni, nonostante le inchieste che lo condannano per molteplici cause. Tutti sappiamo come sta inquinando acque, suoli, l’aria, per non parlare dello sfruttamento umano e minorile, ma continuiamo a comprare dalle stesse aziende. Quindi sempre per il concetto dell’economia circolare e quindi di una maggiore sostenibilità, sarebbe opportuno far capire in modo concreto, come e quanto inquinano i nostri abiti. Ma soprattutto come possiamo riciclarli grazie alle nuove tecnologie e alla creatività.


L’impatto del fast fashion

Il fast fashion ha un impatto ambientale significativo, non solo per la produzione intensiva e il rapido ricambio di capi d’abbigliamento, ma anche per le conseguenze nascoste legate al lavaggio dei tessuti sintetici. Infatti molti abiti economici sono realizzati con materiali come il poliestere, che durante i lavaggi rilasciano microfibre di plastica nell’acqua. Queste particelle microscopiche, nei fiumi e negli oceani, contribuendo all’inquinamento marino e minacciando gli ecosistemi acquatici. Pertanto la loro dispersione è un problema silenzioso ma diffuso, aggravato dall’enorme quantità di vestiti prodotti e consumati, che richiede un’attenzione maggiore sia da parte dei produttori che dei consumatori.

Di certo per limitare tali problematiche è fondamentale un’adeguata sensibilizzazione del consumatore. Quest ultimo infatti deve essere consapevole di cosa compra e dell’impatto che hanno i prodotti che acquista. Così facendo è più probabile che si possa avere un cambio di direzione, raggiungendo nuovi obiettivi comuni. Analogamente è cruciale la consapevolezza che i prodotti che acquistiamo possono, anzi, devono essere riusati e riciclati. In entrambi i casi, i cittadini non sono chiamati a creare delle nuove strategie, ma semplicemente ad essere informati e a optare per le soluzioni migliori.

 

L’etichetta dell’impatto

Chi invece è chiamato a fare la differenza sono gli studiosi e i ricercatori di tutto il mondo che giorno dopo giorno trovano soluzioni e innovazioni per aiutarci a salvare il mondo. In questo caso parliamo di un’etichetta per vestiti abbastanza particolare, unica nel suo genere.

Infatti, due ricercatrici della Heriot-Watt University, Sophia Murden e Lisa Macintyre, hanno sviluppato un sistema per classificare i capi d’abbigliamento in base alla quantità di microplastiche che rilasciano. L’obiettivo è creare un’etichetta informativa che permetta di valutare l’impatto ambientale dei tessuti in modo semplice e immediato. Attualmente, i metodi disponibili per misurare il rilascio di microfibre, come quelli gravimetrici, sono complessi e costosi, dunque le ricercatrici propongono un approccio più accessibile e altrettanto accurato. Il loro metodo si basa su lavaggi in laboratorio, seguiti dall’analisi dei residui filtrati con il supporto di una scala visiva simile a quella usata per valutare le gradazioni di grigio.

Inizialmente testata sul poliestere nero, questa tecnica ha mostrato risultati comparabili ai metodi tradizionali. Le ricercatrici auspicano che le aziende adottino materiali più sostenibili e che i consumatori possano fare scelte consapevoli grazie a un’etichetta basata su questa scala. Tuttavia, è ancora necessario ampliare i test ad altri tipi di fibre e colori per perfezionare il sistema.


Il riciclo creativo

Come già detto, oltre all’innovazione serve una grande attività di riciclo che non riguarda solo i cittadini ma anche e forse soprattutto le aziende. Non a caso di recente nascono tante idee per far si che si buttino sempre meno capi d’abbigliamento, aumentando il tasso di riciclo soprattutto per mezzo di processi creativi. Un esempio è Pulvera, una startup fondata dalle sorelle Eleonora e Beatrice Casati, che trasforma scarti tessili in materiali innovativi e soluzioni di design sostenibile. Ispirate alla creatività del bisnonno Celso Casati, che negli anni ’40 sperimentò il riutilizzo delle fibre tessili, le due sorelle hanno sviluppato un modello di economia circolare per ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile. Pulvera collabora con aziende per recuperare e trasformare scarti in polvere utilizzabile in vari settori, come la produzione di carta e plastica.

Tra i loro progetti di design, spicca “Cremino”, un pouf realizzato con materiali derivati da vecchi materassi, che dimostra come sia possibile creare nuovi prodotti evitando lo spreco di risorse. Le sorelle Casati, legate al valore della sostenibilità, promuovono uno stile di vita rispettoso dell’ambiente anche nella loro quotidianità. Guardano al futuro puntando a consolidare la presenza sul mercato italiano e ampliarsi in Europa, proponendosi come punto di riferimento per il riciclo nel settore tessile.

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COP29. Emissioni non pervenute, fondi insufficienti e ancora tanti “inviti”.

By : Aldo |Novembre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su COP29. Emissioni non pervenute, fondi insufficienti e ancora tanti “inviti”.

Arrivati alla conclusione di questa 29 esima conferenza, la situazione globale è cambiato poco. Gli interessi dei vari stati non sembrano coincidere e in certi casi le sfide climatiche non preoccupano proprio.
Al netto di tutto quello che è stato discusso nelle due settimane di conferenza, i risultati generali non fanno ben sperare. Ecco i punti sviluppati e i nuovi accordi.

 

Il “clima” della COP

COP29, Baku 2024, il clima dei negoziati non è mai stato così teso, con una bozza di accordo che ha suscitato forti critiche da parte di rappresentanti dell’Unione Europea e di paesi sviluppati. Dopo le prime proposte messe in tavola dai vari delegati, Woepke Hoekstra, capo della delegazione UE, aveva definito il testo “sbilanciato” e “inattuabile”. Questo perché il documento non affrontava adeguatamente la riduzione delle emissioni di gas serra rispetto agli impegni presi a Dubai l’anno precedente. Anche l’Australia ha espresso preoccupazioni simili.

Dall’altra parte, i leader africani del Gruppo dei 77 più Cina hanno evidenziato l’assenza di un importo specifico che i Paesi ricchi dovrebbero versare ai Paesi in via di sviluppo. Evidenziando tale questione hanno chiesto un contributo annuale di almeno 1,3 trilioni di dollari così da trattare con cifre concrete e non ipotetiche.  Invece il ministro italiano dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha insistito sulla necessità di non fermarsi solo alla finanza, ma di discutere anche sulla mitigazione.

A questo punto la bozza presentata prevedeva due opzioni ministeriali contrastanti:

  • La prima stabiliva un obiettivo collettivo per la finanza climatica, richiedendo ai Paesi sviluppati di fornire almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno in sovvenzioni a fondo perduto.
  • La seconda, proponeva un aumento della finanza globale per il clima a un importo non specificato (X trilioni) per tutti i Paesi, inclusi quelli in via di sviluppo.

Tuttavia, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito che le posizioni iniziali delle delegazioni sarebbero dovute cambiare per raggiungere un accordo il prima possibile. Nonostante, la presidenza azera era alla ricerca di un compromesso prima della conclusione della conferenza, l’assenza di una forte leadership americana e le tensioni tra Nord e Sud globale hanno reso incerta la possibilità di un risultato positivo. Ovviamente, la Cina avrebbe avuto un ruolo cruciale nel determinare l’esito dei negoziati.

Nuovi accordi e patti consolidati

Gli ultimi aggiornamenti sui negoziati della COP29 sono arrivati e sembrano puntare ad un accordo significativo.

Sicuramente il primo obiettivo è quello richiesto dai Paesi in via di sviluppo come essenziale per affrontare la crisi climatica. Infatti, si tratta di raggiungere 1.300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima entro il 2035. Nello specifico la bozza prevede che i Paesi sviluppati contribuiscano con 250 miliardi di dollari all’anno, un aumento rispetto al precedente impegno di 100 miliardi.


Successivamente si può evidenziare un importante cambiamento con l’inclusione di nuovi donatori nella bozza. Questo significa che i Paesi in via di sviluppo sono “invitati” contribuire senza compromettere il loro status, permettendo così anche a nazioni come Cina e India di partecipare come donatori. Nonostante ciò, l’accordo riconosce la necessità di risorse pubbliche e finanziamenti altamente agevolati, in particolare per i Paesi più vulnerabili.

Critiche e dubbi

Le decisioni prese durante la COP29 hanno sollevato dubbi e critiche, soprattutto per quanto riguarda gli impegni finanziari dei Paesi sviluppati nei confronti di quelli in via di sviluppo. Nonostante i progressi, l’importo proposto di 250 miliardi di dollari è stato giudicato insufficiente per affrontare le sfide climatiche globali. Le stime indicano che i Paesi in via di sviluppo necessiteranno tra 5.100 e 6.800 miliardi di dollari entro il 2030, con ulteriori costi di adattamento annuali stimati tra 215 e 387 miliardi di dollari, ma non sono stati fissati impegni vincolanti per colmare questo divario.

Altre critiche riguardano l’eliminazione di riferimenti importanti, come le emissioni storiche e il PIL pro-capite, che avrebbero potuto garantire una maggiore equità nella distribuzione degli oneri. Anche sul fronte dei diritti umani, i riferimenti alle categorie vulnerabili restano vaghi, senza indicazioni concrete su come garantire loro accesso prioritario ai fondi.

Esponenti come Ali Mohamed, capo delegazione del gruppo africano, hanno definito l’importo proposto gravemente insufficiente, avvertendo che porterà a perdite inaccettabili. Gli esperti chiedono che gli obiettivi finanziari siano aumentati per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi. La conferenza ha messo in evidenza il divario tra le aspettative dei Paesi in via di sviluppo e gli impegni dei Paesi sviluppati, in attesa di un documento finale che potrebbe delineare nuove direzioni per i negoziati.

Proteste

Anche quest’anno non sono mancate proteste proteste e campagne per evidenziare le profonde ingiustizie climatiche e la necessità di azioni più decise contro le aziende di combustibili fossili. Tra queste, la campagna #PaybackTime, sostenuta da celebrità come Jude Law e promossa da Global Witness, ha puntato il dito contro le multinazionali del settore energetico, accusate di generare enormi profitti a scapito del Pianeta. Con un guadagno di 4 trilioni di dollari nel 2022, queste aziende sono state esortate a contribuire ai costi dei danni climatici, che colpiscono in modo sproporzionato i Paesi in via di sviluppo. L’iniziativa ha incluso l’uso provocatorio del dominio cop29.com per denunciare i dirigenti delle aziende fossili, evidenziando la loro responsabilità diretta nella crisi climatica.

Parallelamente, movimenti come Fridays for Future e Greenpeace hanno organizzato manifestazioni per chiedere una transizione energetica più ambiziosa e per denunciare l’iniquità nei finanziamenti climatici. I manifestanti hanno sottolineato il paradosso di promuovere azioni climatiche mentre si continuano a sostenere nuove infrastrutture per carbone, petrolio e gas. Le proteste hanno anche evidenziato l’esclusione di gruppi vulnerabili e comunità indigene dai benefici delle politiche climatiche.

Figure simboliche come Greta Thunberg hanno criticato la mancanza di coerenza tra le promesse dei leader e le azioni concrete, definendo la COP29 un’occasione mancata. Eventi simbolici, come un “funerale climatico” organizzato da rappresentanti di Paesi insulari come Vanuatu e Tuvalu, hanno ricordato i rischi imminenti legati all’innalzamento del livello del mare, richiamando l’urgenza di un cambiamento.

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COP 29. Affermazioni e primi risultati, sembrano non dare speranze.

By : Aldo |Novembre 14, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su COP 29. Affermazioni e primi risultati, sembrano non dare speranze.

La COP29, si è aperta a Baku, Azerbaijan, puntando i riflettori sui complessi equilibri tra la necessità di azioni concrete e gli interessi geopolitici legati all’industria energetica. Quindi la conferenza rappresenta un momento cruciale per discutere politiche e misure ambientali essenziali per contenere il riscaldamento globale. Tuttavia, la presenza di molteplici attori del settore fossile ha sollevato tanti sull’effettiva volontà di operare un cambio di rotta.

Le Priorità

L’istituzione di un mercato globale dei crediti di carbonio è una delle principali priorità della COP29. Questo sistema consentirebbe ai Paesi di comprare e vendere diritti di emissione di CO₂ per raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni. Nonostante ciò, tale meccanismo è oggetto di critiche, poiché è visto come una forma di “neocolonialismo ambientale”. Infatti, le comunità dei Paesi in via di sviluppo, coinvolte spesso senza tutele, rischiano gravi impatti a causa di progetti di compensazione delle emissioni. Il suddetto sistema, inoltre, potrebbe facilitare il “greenwashing” da parte delle grandi aziende inquinanti dei Paesi più ricchi. Questi ultimi utilizzerebbero i crediti per compensare le proprie emissioni senza un reale impegno nella loro riduzione. Pertanto, trovare un accordo equo ed efficace che incentivi investimenti concreti nelle energie rinnovabili rimane complesso. Senz’altro il dibattito tra i delegati sottolinea quanto sia controverso bilanciare interessi economici e obiettivi ambientali.

Finanza climatica e il “Loss and Damage Fund”

Alla COP29, la finanza climatica è uno dei temi più discussi, con un’attenzione particolare al “Loss and Damage Fund”, un fondo progettato per supportare le nazioni più vulnerabili di fronte agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Questo fondo mira a fornire assistenza economica per compensare i danni e sostenere piani di adattamento nei Paesi che, per mancanza di risorse, non possono far fronte da soli alle catastrofi climatiche. António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha sottolineato l’urgenza di attivare rapidamente il fondo, avvertendo che un ritardo nelle azioni di supporto potrebbe avere conseguenze globali.

Le Banche Multilaterali di Sviluppo (MDB) si sono impegnate a destinare circa 170 miliardi di dollari per sostenere progetti di sostenibilità, con la maggior parte dei fondi indirizzata a Paesi a medio e basso reddito. Tuttavia, restano incertezze sulla trasparenza e l’effettiva tracciabilità di questi finanziamenti, sollevando preoccupazioni sulla capacità di tali risorse di produrre un reale impatto per le comunità più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici.

I Piani di adattamento

Alla COP29, i piani di adattamento sono stati messi in primo piano come risposta urgente alla crescente vulnerabilità delle nazioni esposte agli eventi climatici estremi. Adattarsi significa creare infrastrutture resilienti, gestire in modo sostenibile le risorse naturali e sviluppare sistemi agricoli capaci di affrontare condizioni climatiche imprevedibili. Nonostante la discussione di diversi progetti in questa direzione, rimangono dubbi sulla capacità dei Paesi con economie più fragili di implementare efficacemente tali strategie senza il supporto costante delle nazioni più ricche.

La conferenza sottolinea inoltre l’importanza di approcci integrati e su misura, che considerino le specificità locali e le risorse disponibili nelle comunità più a rischio. Gli studi preparatori alla COP29 indicano che, senza piani di adattamento ben strutturati, molte regioni potrebbero trovarsi di fronte a difficoltà crescenti e potenzialmente insostenibili in un futuro non troppo lontano.

Il Sondaggio Amref

Un sondaggio recentemente condotto da Amref Health Africa ha evidenziato una preoccupazione diffusa riguardo agli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute pubblica, con l’83% degli intervistati che considera la crisi climatica una delle principali minacce per la salute. Questo risultato riflette la crescente consapevolezza, in particolare tra le popolazioni africane, dei danni causati da eventi climatici estremi come siccità e alluvioni, che colpiscono in modo più severo le comunità più vulnerabili. La ricerca ha anche sottolineato la necessità di politiche sanitarie più incisive e investimenti nel settore della sanità pubblica per affrontare le sfide emergenti legate al clima.

Questi dati evidenziano l’urgenza di integrare le questioni sanitarie nelle discussioni sui cambiamenti climatici e nella pianificazione delle politiche future. La salute deve essere considerata un aspetto cruciale nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, con un focus particolare sulla protezione delle comunità più esposte.

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Ecomondo 2024. Risultati delle politiche italiane, i premi e gli ospiti.

By : Aldo |Novembre 11, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ecomondo 2024. Risultati delle politiche italiane, i premi e gli ospiti.

Alla fine di ogni anno, è tempo di fare un bilancio per valutare gli obiettivi raggiunti, identificare aree di miglioramento e considerare eventuali cambiamenti. Questo processo è fondamentale per famiglie, scuole, industrie, società e nazioni, poiché consente di ricalibrare le proprie strategie e migliorare la qualità della vita. In Italia e in altri paesi europei, il settore del riciclo e della sostenibilità si riunisce per fare il punto della situazione durante Ecomondo, che si tiene dal 5 all’8 novembre presso la Fiera di Rimini.


Ecomondo

Ecomondo è uno degli eventi di riferimento in Europa per chi opera nel settore ambientale, attirando ogni anno un vasto pubblico di professionisti da tutto il mondo. La fiera si basa sulla presentazione di tecnologie innovative per la gestione dei rifiuti, il riciclo e la sostenibilità esplorando anche tematiche trasversali. Dunque, sono comprese sezioni sul cambiamento climatico, l’energia rinnovabile, la bonifica del suolo e la bioeconomia.

I principali obiettivi della fiera sono la promozione dell’innovazione, la facilitazione del networking, l’informazione e la formazione. L’evento offre anche uno spazio di confronto sulle normative ambientali europee e internazionali, presentando le ultime novità su regolamentazioni e incentivi. In aggiunta, organizza appuntamenti di rilievo come conferenze specialistiche e tavole rotonde con esperti del settore. Solitamente lo scopo di questi incontri è quello di discutere su temi quali la gestione delle risorse idriche, le strategie per la riduzione dei rischi idrogeologici e l’economia circolare urbana.

Ecomondo include premi e riconoscimenti per i progetti più innovativi, offrendo visibilità a startup, aziende e organizzazioni che si distinguono per il loro impegno verso soluzioni sostenibili.

I risultati del 2024

A Ecomondo 2024, svoltasi dal 5 all’8 novembre, l’Italia ha registrato risultati significativi nella sua transizione ecologica e nell’economia circolare. Il Paese ha ridotto le proprie emissioni di CO₂ di oltre il 6%, contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030. Senz’altro si conferma come leader in Europa nell’economia circolare, con un PIL di 3,6 euro per ogni chilogrammo di risorsa consumata. Questo è un risultato rilevante poiché che supera di gran lunga la media dell’Unione Europea.

Anche quest’anno il tasso di riciclo dei rifiuti (del 72%), è stato il più alto in Europa un ulteriore segno della forte spinta verso la sostenibilità. Inoltre, più del 44% dell’energia elettrica prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili. In particolare si tratta di un contributo significativo di energia solare ed eolica (50 TWh), che rappresentano circa il 20% del fabbisogno nazionale. La produzione biologica è anche in crescita, dimostrando il consolidamento dell’agricoltura sostenibile nel Paese. Tuttavia, persistono delle sfide, come il crescente consumo di suolo con una media di 19,4 ettari al giorno, e l’urgenza di sviluppare una mobilità sostenibile (solo il 4,2% delle nuove auto è elettrico).

I partecipanti

L’edizione del 2024 ha segnato un successo straordinario per la green economy italiana, con una crescita del 5% nelle presenze rispetto all’edizione precedente, e un incremento del 10% nel numero di espositori, che quest’anno sono stati 1.620, distribuiti su 166.000 metri quadrati di superficie espositiva. L’evento ha visto la partecipazione di 650 buyer provenienti da 65 Paesi e ha generato 3.550 incontri di business matching. Inoltre, sono stati organizzati oltre 200 eventi, tra conferenze, workshop e seminari, che hanno approfondito temi fondamentali della sostenibilità.

Oltre alla crescente partecipazione di operatori internazionali, provenienti da 121 Paesi, l’edizione ha coinvolto anche 2.800 studenti delle scuole superiori, in un impegno condiviso per il futuro delle professioni green. L’edizione 2024 di Ecomondo ha inoltre beneficiato delle storiche collaborazioni con partner istituzionali e settoriali come CONAI, Utilitalia, Assoambiente, Confindustria, la Commissione Europea e molte altre realtà internazionali, che hanno contribuito a consolidare la manifestazione come uno degli appuntamenti chiave per la green economy a livello globale.

I premi

Ovviamente la fiera ha premiato l’innovazione sostenibile, conferendo due prestigiosi premi: il Premio Lorenzo Cagnoni per l’Innovazione Green e il Premio Sviluppo Sostenibile. Il primo è stato assegnato alle tre start-up più innovative dell’evento, selezionate tra oltre 150 partecipanti, inclusi 20 internazionali, con un incremento del 21% di nuove aziende rispetto al 2023. Queste start-up si sono distinte per le soluzioni avanzate nel campo della green economy, affrontando sfide ambientali con progetti all’avanguardia. Il Premio Sviluppo Sostenibile, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con Ecomondo, ha riconosciuto le migliori pratiche di eco-innovazione sia nel settore pubblico che privato, premiando le imprese e le amministrazioni che hanno combinato sostenibilità e competitività, supportando così la transizione ecologica. Entrambi i premi hanno sottolineato l’importanza delle tecnologie ambientali per il futuro, stimolando lo sviluppo di soluzioni innovative sia a livello nazionale che internazionale.

 

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“La Città della Gioia” sarà il nuovo polmone verde di Roma.

By : Aldo |Novembre 06, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “La Città della Gioia” sarà il nuovo polmone verde di Roma.

Le nostre città sono stracolme di cemento. Questo grigio si prende sempre più aree, anche le più remote per sopperire alle necessità demografiche, a volte anche quando non serve. Siamo sempre più stretti tra smog e edifici che i piccoli parchi o le aiuole quasi assomigliano alle oasi del deserto. È per questo e tanti altri motivi che i giardini, i parchi e le microforeste sono fondamentali nei grandi centri abitati. Ma in generale è essenziale rendere la città a portata d’uomo senza dimenticarsi dell’importanza della natura. Ecco il nuovo progetto dell’Ex Fiera di Roma.

Il verde urbano

I progetti di verde urbano mirano a migliorare la qualità della vita nelle città italiane attraverso la creazione e gestione di spazi verdi come parchi, giardini e aree boschive. Questi spazi offrono benefici ecologici e sociali: mitigano il cambiamento climatico, favoriscono la biodiversità, migliorano la salute e il benessere dei cittadini, e arricchiscono l’estetica urbana, aumentando il valore immobiliare.

In Italia, dal 2013 la Strategia Nazionale del Verde Urbano ha stabilito linee guida per pianificare queste aree, portando a risultati concreti: le città italiane hanno una media di 30 m² di verde per abitante, con punte elevate in città come Torino. Nel Sud Italia sono stati approvati oltre 770 progetti di rigenerazione urbana per riqualificare aree vulnerabili, e il 70% delle città italiane ha avviato iniziative per incrementare il verde pubblico. Inoltre, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede ulteriori investimenti in rigenerazione urbana e verde, con un valore stimato dei servizi ecosistemici di 338 miliardi di euro.

La “Città della Gioia”

Si chiude il bando per la riqualificazione dell’ex Fiera di Roma con un progetto centrato sul concetto di “verde attivo,” che promuove la biodiversità e uno stile di vita sano a misura di famiglia. L’inizio dei lavori per la costruzione della “Città della Gioia” è previsto per il 2025. Grazie a tale progetto l’area in questione, si trasformerà in una città a misura di bambino, inclusiva e immersa nel verde. Si chiamerà “Città della Gioia”, la transizione ecologica alla circolarità dei materiali, alla riduzione delle emissioni di carbonio, all’adattamento climatico, e alla valorizzazione della qualità urbana e del tessuto sociale.


Lo sviluppo del masterplan avverrà attorno a due piazze pubbliche: Piazza del Sole a nord, lungo viale Tor Marancia, e Piazza degli Eventi a sud, su via Georgofili. In questa area è prevista anche l’istituzione di un centro della conoscenza e della crescita consapevole, in collaborazione con l’Università di Roma Tre. Così facendo sarà possibile per i giovani e per l’intera comunità avere un punto di riferimento.

La novità del progetto “Città della Gioia” è quella di mettere al centro i bambini, creando una città innovativa e inclusiva, pensata per il loro benessere e la loro crescita. Tale masterplan presenta un modello urbano in cui le necessità dei più piccoli diventano il focus della pianificazione. In tal modo, si prioritizzano la cura, il gioco e la socialità, con spazi progettati per favorire l’inclusione e l’apprendimento attraverso il gioco. Il tutto è possibile grazie ad aree sicure e stimolanti che promuovono la creatività e il benessere per ogni fascia di età e abilità.

Il progetto è stato ideato da un team composto da ACPV ARCHITECTS, Arup, Asset e P’arcnouveau, quattro studi di architettura e ingegneria di rilevanza internazionale.

 

La sostenibilità del progetto

Senza dubbio, il verde è uno degli elementi distintivi del programma, coprendo il 50% della superficie, aumentando la permeabilità del suolo di circa 3,9 ettari, pari a metà dell’area complessiva.  A livello tecnico, il progetto prevede che l’80% della superficie utile, ossia oltre 35.000 mq, sia sia destinato a residenze, di cui più di 7.000 mq riservati all’housing sociale. Mentre il restante 20% (circa 8.800 mq), sarà adibito ad un uso non residenziale, diviso tra servizi direzionali (6.800 mq) e spazi commerciali (2.000 mq). Nello specifico, 27.000 mq saranno lasciati agli spazi verdi pubblici e altri 12.500 a quelli privati per attività all’aperto correlate a sport e socializzazione.

Non a caso il progetto mira a rigenerare l’ex area della Fiera attraverso la decarbonizzazione, la resilienza climatica e l’economia circolare. In questo caso, la sostenibilità del masterplan è rafforzata dalla forte integrazione della natura, che rende il nuovo quartiere un “corridoio ecologico” con viali alberati e ampi parchi, collegando armoniosamente le aree residenziali con piazze pubbliche e spazi per eventi, che diventano luoghi di incontro e cultura per la comunità.

Certamente, il coinvolgimento attivo della comunità e l’attenzione alla biodiversità e alla permeabilità del suolo rendono questo progetto un esempio di rigenerazione urbana che coniuga natura e innovazione, offrendo una nuova visione per il futuro delle città.

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La startup finlandese Aviogel ha trovato una nuova soluzione per combattere gli incendi.

By : Aldo |Novembre 04, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La startup finlandese Aviogel ha trovato una nuova soluzione per combattere gli incendi.

Al giorno d’oggi la parola d’ordine è “soluzione”. Scienziati e ricercatori, infatti, lavorano di continuo alla ricerca di nuove soluzioni per problemi globali che devono essere almeno mitigati, se non risolti. A volte sembra essere una corsa contro il tempo, in altri casi, pare esserci tutto il tempo del mondo. Tuttavia, non si può mai mollare la presa e tra le ultime scoperte è arrivata quella che riguarda il problema degli incendi. Si parla del lavoro della startup finlandese, Aviogel.

Incendi in Europa

Gli incendi boschivi in Europa derivano in gran parte da attività umane, e solo il 4% causato da eventi naturali come fulmini. Ovviamente, le condizioni climatiche estreme, come siccità, alte temperature e venti intensi, aumentano il rischio di incendi. Purtoppo le regioni mediterranee sono le più vulnerabili a questo tipo di fenomeni: per esempio in Italia, gli incendi prevalgono in estate al sud, mentre al nord si verificano anche in inverno e primavera per via della siccità.  Il 2023 ha registrato una delle stagioni più gravi di incendi in Europa, con paesi come Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Slovenia pesantemente colpiti. Di certo i cambiamenti climatici hanno aumentato la frequenza e l’intensità di tali eventi fino al punto che anche Tunisia e Cipro hanno richiesto assistenza internazionale per fronteggiare le fiamme.

In generale, per prevenire gli incendi si promuovono pratiche di gestione forestale, sistemi di previsione ambientale avanzati, campagne di sensibilizzazione pubblica e regolamentazioni per le attività a rischio.
Nonostante ciò, spesso e non si riesce ad evitare che il fenomeno si sviluppi, dunque è necessario intervenire in modi diversi. Si può spegnere un incendio con mezzi aerei, squadre specializzate e cooperazione internazionale, utilizzando anche droni e tecnologie satellitari per il monitoraggio.

Pertanto, questa emergenza richiede un approccio integrato che combini prevenzione, educazione e interventi tempestivi per limitare i danni ambientali e sociali. Un esempio è la nuova tecnologia delle sfere idrogel.

Spegnere un incendio con l’idrogel

La tecnologia delle sfere idrogel biodegradabili rappresenta una soluzione innovativa per la lotta agli incendi boschivi. Queste sfere, progettate per essere rilasciate da mezzi aerei, assorbono acqua o altri liquidi, aumentando il loro peso e migliorando la precisione dei lanci, anche da quote più elevate. Tale caratteristica rende gli interventi antincendio più sicuri ed efficienti, poiché riduce il rischio per i piloti. Inoltre, le sfere idrogel trattengono l’acqua limitando l’evaporazione prima che essa raggiunga le fiamme, così facendo, aumentano l’efficacia dello spegnimento.

Un’ulteriore innovazione di questa tecnologia è la presenza di semi nelle sfere. Infatti, oltre alla funzione antincendio, le sfere rilasciano semi e nutrienti nelle aree colpite, avviando immediatamente un processo di riforestazione. Questa doppia funzione consente agli interventi aerei di contrastare l’emergenza seminando le basi per la rinascita dell’ecosistema locale, spesso non considerata.

La startup Aviogel

Aviogel è una startup innovativa impegnata nella sostenibilità e nella protezione ambientale. Nasce nel 2024, con sede a Helsinki, da William Carbone, Stéphanie Jansen-Havreng, Sevan Daniel Gerard con l’obiettivo di affrontare le sfide legate alla gestione delle risorse naturali con un approccio che integra ricerca scientifica e pratiche eco-sostenibili. La sua missione, infatti, è quella è contribuire a un futuro più verde e sostenibile, proponendo soluzioni volte a migliorare la qualità della vita e proteggere il pianeta, sensibilizzando il pubblico all’importanza di comportamenti responsabili verso la natura.

Aviogel è presente in numerosi progetti riguardanti la sostenibilità, incentivando un uso più consapevole delle risorse naturali, offrendo programmi educativi e laboratori per la sensibilizzazione sulla tematica ecologica. Inoltre, collabora con enti pubblici e privati per sviluppare strategie efficaci nella gestione ambientale, puntando non solo alla tutela dell’ambiente, ma anche al benessere delle comunità locali. Questo è possibile grazie alla creazione di opportunità economiche basate su pratiche sostenibili. Aviogel rappresenta così un esempio di come innovazione e sostenibilità possano unirsi per rispondere alle sfide ambientali moderne.

Combattere i cambiamenti climatici

Con l’aggravarsi della crisi climatica, che intensifica la frequenza e la portata degli incendi boschivi, il team di Aviogel evidenzia l’urgenza di soluzioni capaci di spegnere le fiamme, e non solo. Infatti, è necessario anche di contribuire alla rigenerazione degli ecosistemi danneggiati, pratica poco considerata o quasi mai svolta. E proprio grazie a un investimento di 300 mila euro ottenuto dal fondo italiano Scientifica Venture Capital, Aviogel può ora accelerare lo sviluppo della sua tecnologia per combattere gli incendi promuovendo la resilienza degli ecosistemi. Dunque, la startup finlandese, troverà nella fase di industrializzazione il prossimo traguardo fondamentale per estendere il proprio impatto su vasta scala. Questo processo si svilupperà all’interno dei laboratori all’avanguardia di Scientifica a L’Aquila, un centro di oltre 4.000 m², creato per aiutare le startup a trasformare le idee in prototipi e facilitare il rapido ingresso sul mercato grazie a un contesto ricco di risorse e competenze avanzate.

Sicuramente Aviogel rappresenta più di una sola innovazione, poiché è caratterizzata da una grande lungimiranza, secondo Riccardo D’Alessandri, managing partner di Scientifica Venture Capital. Esattamente tale caratteristica ha portato alla vittoria della startup. Per l’appunto si evidenzia l’approccio sinergico e lungimirante del team, che non si limita ad una semplice innovazione tecnologica, ma offre un concetto che include benefici concreti e misurabili alla comunità e alla tutela degli ecosistemi.

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Le batterie bidirezionali delle auto elettriche possono essere una nuova fonte di energia.

By : Aldo |Ottobre 30, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Le batterie bidirezionali delle auto elettriche possono essere una nuova fonte di energia.

Le tecnologie e le innovazioni ci consentono di portare avanti lo sviluppo e solitamente anche la crescita delle popolazioni. Inoltre, le nuove scoperte ci indicano la via migliore per poter continuare a vivere in questo pianeta riducendo il nostro impatto. Dunque, spesso, le nuove tecnologie oltre ad apportare delle migliorie in settori specifici, diventando delle soluzioni che ci permettono di alleviare il “nostro peso” sul mondo. Un esempio è la nuova scoperta sulle batterie bidirezionali.

Le batterie bidirezionali

Le batterie bidirezionali sono un sistema innovativo per la ricarica dei veicoli elettrici (EV) che consente sia di ricaricare la batteria dalla rete elettrica sia di restituire energia alla rete stessa. Questa tecnologia, conosciuta come V2G (Vehicle to Grid) e V2H (Vehicle to Home), trasforma il veicolo in un “accumulatore” mobile in grado di immagazzinare e rilasciare energia. Tale tecnologia si basa su convertitori di potenza avanzati che consentono il flusso bidirezionale di energia. Questo è possibile grazie ad un caricatore specifico che converte la corrente continua (DC) della batteria in corrente alternata (AC).


Queste batterie hanno molteplici modalità di ricarica, tra cui le principali V2G, che consente di restituire energia alla rete, V2H, che alimenta direttamente l’abitazione, e V2L, che fornisce energia a dispositivi elettrici dal veicolo.

I vantaggi delle batterie bidirezionali sono vari e spaziano principalmente tra i 3 pilastri della sostenibilità. A livello economico, vediamo come i proprietari possono ridurre i costi energetici ricaricando durante le fasce orarie più convenienti e vendendo energia in eccesso. Nel settore ambientale, ottimizzano l’uso delle fonti rinnovabili contribuendo a ridurre l’impatto ambientale. Mentre per quanto riguarda il sociale, favoriscono la condivisione dell’energia tra veicoli all’interno di una comunità, stabilizzando la rete elettrica locale e migliorando la gestione dei picchi di domanda.



In sintesi, queste batterie non solo migliorano l’efficienza energetica dei veicoli elettrici, ma offrono anche opportunità significative per il risparmio economico e la sostenibilità ambientale.

Specialità e caratteristiche

Le batterie bidirezionali, grazie a un sistema di collegamento a due vie e a nuove configurazioni dei convertitori di potenza, possono indirizzare l’energia elettrica verso la batteria o la rete elettrica, a seconda delle necessità. Di conseguenza, quando c’è energia in eccesso, queste batterie possono restituirla alla rete. Tale innovazione, si integra perfettamente con i sistemi di energia rinnovabile. Ad esempio, in una giornata soleggiata, un impianto fotovoltaico può produrre più elettricità del necessario per i consumi domestici. A questo punto è possibile immagazzinarla direttamente nelle batterie dei veicoli elettrici e utilizzarla successivamente per alimentare la casa nei giorni in cui è richiesta. Per questo motivo, le ricariche bidirezionali stanno acquisendo sempre più attenzione dai produttori automobilistici, che stanno implementando questa tecnologia nei loro modelli.

Il report di Transport&Environment prevede che in futuro queste ricariche potrebbero addirittura diventare il quarto fornitore di energia in Europa. Si stima che lo sviluppo delle ricariche bidirezionali possa portare a un risparmio complessivo di oltre 100 miliardi di euro in dieci anni. Così facendo consentirebbe ai proprietari di veicoli elettrici di ottenere fino al 52% di risparmio sulla bolletta elettrica annuale, con riduzioni fino a 780 euro all’anno. Questo ovviamente sarà possibile a seconda della localizzazione geografica, della presenza di pannelli solari e delle dimensioni della batteria del veicolo.

Lo studio

Lo studio condotto dagli istituti di ricerca Fraunhofer ISI e ISE per T&E evidenzia l’importanza delle ricariche bidirezionali, che possono fungere da “batterie su ruote” e i potenziali risparmi economici tra il 2030 e il 2040. Tuttavia, iniziano con l’avvertire tutti che senza standard comuni a livello europeo, questa tecnologia potrebbe non svilupparsi in modo efficace, limitando i benefici ambientali ed economici. Nonostante ciò, le auto elettriche con sistemi di ricarica bidirezionale possono assorbire energia nei momenti di surplus e restituirla quando la domanda aumenta, ma il loro potenziale rimane inespresso senza un’interoperabilità garantita. Secondo il report, l’adozione del V2G (vehicle-to-grid) potrebbe ridurre i costi annui del sistema elettrico dell’UE di oltre 9 miliardi di euro nel 2030 e arrivare a 22 miliardi nel 2040, con risparmi totali superiori a 100 miliardi di euro nel decennio.

A questo punto, l’integrazione con le energie rinnovabili è fondamentale: collegando le auto elettriche alle abitazioni o ai luoghi di lavoro, si può ridurre il fabbisogno di sistemi di accumulo fino al 92% entro il 2040. Specialmente in Italia, queste auto potrebbero rappresentare quasi tutta la capacità di accumulo necessaria per stoccare l’energia rinnovabile in eccesso. Infatti, la tecnologia V2G potrebbe consentire alla flotta europea di veicoli elettrici di contribuire fino al 9% del fabbisogno energetico annuale dell’UE entro il 2040. In questo modo, diventerebbe il quarto fornitore di elettricità in Europa e il secondo in Italia, favorendo un significativo risparmio economico per i consumatori e contribuendo alla stabilizzazione della rete elettrica e alla riduzione delle emissioni di CO2.

In conclusione

In conclusione, La ricarica bidirezionale delle auto elettriche rappresenta una svolta fondamentale per la transizione energetica. Non solo permette di ridurre le emissioni e la dipendenza dai combustibili fossili, ma offre anche la possibilità di utilizzare le batterie dei veicoli come veri e propri accumulatori di energia rinnovabile, contribuendo a stabilizzare la rete elettrica.

Transport & Environment sottolinea come questa tecnologia possa prolungare la vita delle batterie e ridurre la necessità di costruire nuove infrastrutture di stoccaggio. Tuttavia, per sfruttare appieno il potenziale della ricarica bidirezionale è necessario un quadro normativo europeo chiaro e uniforme, che definisca standard comuni per garantire l’interoperabilità tra i diversi veicoli e sistemi di ricarica.

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ONU: allarme gas serra. La temperatura potrebbe salire di 3,1 gradi.

By : Aldo |Ottobre 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su ONU: allarme gas serra. La temperatura potrebbe salire di 3,1 gradi.

Da più di 50 anni si parla di cambiamenti climatici ed emissioni di gas serra. Ci siamo evoluti con noi le tecnologie, per sostenere la nostra crescita esponenziale. Sembra che ogni giorno, avvenga una nuova scoperta per migliorare la situazione; eppure, sembra andare sempre peggio. Quanto possiamo resistere in queste condizioni? Quanto potremmo permetterci di negare l’evidenza sotterrando la testa nella sabbia? Ancora poco, pochissimo, anzi siamo già in netto ritardo e l’ONU ce lo ricorda lanciando un nuovo allarme.

Il ruolo dell’ONU

L’ONU rappresenta un pilastro fondamentale nella battaglia globale contro il cambiamento climatico. In qualità di più grande organizzazione intergovernativa al mondo, fornisce un forum unico per la cooperazione internazionale su questa sfida esistenziale. Attraverso i suoi numerosi organi e agenzie specializzate, l’ONU coordina gli sforzi globali, conduce ricerche scientifiche, sviluppa politiche e promuove accordi internazionali come l’Accordo di Parigi. L’impegno dell’organizzazione è volto a mobilitare i governi, le imprese e la società civile per ridurre le emissioni di gas serra, promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici e sostenere i Paesi più vulnerabili.

L’ONU ha iniziato a trattare il cambiamento climatico in modo strutturato dagli anni ’80, in seguito all’emergere di prove scientifiche sul riscaldamento globale e sui suoi rischi. Nel 1988, è stato fondato l’IPCC, con il compito di valutare scientificamente i cambiamenti climatici. Successivamente, nel 1992 è stata adottata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), che mira a stabilizzare i gas serra. Da allora, attraverso incontri annuali come la COP, l’ONU coordina azioni e trattati internazionali per mitigare il cambiamento climatico, dimostrando un impegno crescente e globale su questo fronte.

Gli ultimi dati

Le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto un nuovo record nel 2023, aumentando dell’1,3% rispetto all’anno precedente e collocandosi a 57,1 GtCO2e. Questo allarmante dato, evidenziato nell’ultimo rapporto UNEP, ci allontana sempre più dagli obiettivi dell’Accordo di Parigi e ci pone sulla traiettoria di un riscaldamento globale catastrofico di 3,1°C entro la fine del secolo. Nonostante gli sforzi internazionali, la dipendenza dai combustibili fossili persiste, alimentando l’aumento delle temperature e intensificando gli eventi climatici estremi. Secondo l’ONU, per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C, è necessaria una riduzione drastica delle emissioni: del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019. Il rapporto sottolinea l’urgenza di un’azione immediata e coordinata a livello globale.

È indispensabile un impegno concreto da parte di tutti i Paesi per accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabile, proteggere le foreste e promuovere pratiche sostenibili. La finestra di opportunità per evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico si sta rapidamente chiudendo. È fondamentale che i governi agiscano con determinazione e intraprendano misure ambiziose per decarbonizzare le economie e costruire un futuro sostenibile.

La cooperazione necessaria

L’allarme lanciato dall’UNEP è chiaro: le emissioni globali di gas serra stanno accelerando il cambiamento climatico, mettendo a rischio il futuro del pianeta. Per contenere l’aumento della temperatura entro i limiti stabiliti dall’Accordo di Parigi, è urgente una trasformazione profonda e rapida del nostro sistema energetico. Eventi internazionali come il G20 e la COP29 offrono un’opportunità unica ai governi di prendere decisioni coraggiose e di collaborare per un futuro più sostenibile. Infatti, è fondamentale che i Paesi aumentino l’ambizione dei propri obiettivi climatici. Ma soprattutto è cruciale che attuino politiche concrete per ridurre le emissioni, come la transizione verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.

L’Italia, come tutti gli altri Paesi, ha un ruolo rilevante nel raggiungimento di questo traguardo. Sicuramente, deve accelerare la decarbonizzazione dell’economia e rafforzare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato l’urgenza di agire ora. Nonostante le sfide geopolitiche, è necessario superare le dipendenze dai combustibili fossili e investire in soluzioni sostenibili. In conclusione, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità. Solo attraverso una cooperazione internazionale ambiziosa e determinata potremo costruire un futuro più sicuro e prospero per le generazioni future.

Le carenze finanziarie e morali

Inger Andersen, a capo dell’UNEP, ha affermato che i mezzi, i finanziamenti e la tecnologia necessari per ridurre le emissioni sono già disponibili. Tuttavia, secondo la direttrice esecutiva, manca la volontà politica, soprattutto nei Paesi del G20 (esclusi quelli africani) che sono responsabili del 77% delle emissioni globali. L’ONU ha ribadito che le energie rinnovabili rappresentano un’opportunità fondamentale per invertire la tendenza. Investendo maggiormente in energia solare ed eolica, si potrebbero ottenere riduzioni delle emissioni pari al 27% entro il 2030 e al 38% entro il 2035. Inoltre, bloccare la deforestazione e la distruzione delle foreste porterebbe ad un ulteriore riduzione del 20% delle emissioni.

Agire ora non solo permetterebbe di mantenere vivo lo scopo di salvare il pianeta, ma si tradurrebbe anche in un notevole risparmio economico a lungo termine. Secondo le stime dell’ONU, raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero entro la metà del secolo richiederebbe un investimento aggiuntivo compreso tra 0,9 e 2,1 trilioni di dollari all’anno fino al 2050. Tuttavia, i costi dell’inazione sarebbero molto più elevati a causa degli eventi meteorologici estremi, delle perdite agricole e di altri disastri.

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Il fotovoltaico cresce a dismisura. Ecco i nuovi traguardi.  

By : Aldo |Ottobre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il fotovoltaico cresce a dismisura. Ecco i nuovi traguardi.  

Che le fonti di energia rinnovabili siano il futuro, è ormai chiaro. La loro diversità consente il loro utilizzo in un’ampia gamma di ambienti e situazioni, togliendo qualsiasi dubbio sulla loro efficienza. Inoltre, le tecnologie avanzano e gli strumenti utilizzati per tale produzione sono sempre più sofisticati e promettono grandi risultati in un tempo inferiore alla tecnologia precedente. Non a caso è recente la notizia della loro potenza, efficienza e importanza, con un focus specifico sui rilevanti traguardi raggiunti dal solare.

La nuova certezza

Il solare ora è più forte che mai e questo lo dimostra l’ultimo report IEA-PVPS Trends 2024.
Nel 2023, il settore fotovoltaico ha raggiunto un nuovo record, con 456 GW di nuova capacità installata a livello globale. Tale novità contribuirà a ridurre le emissioni di CO2 di 0,92 gigatonnellate, equivalenti al 2,5% delle emissioni globali legate alla produzione energetica. Precisamente, la capacità produttiva di celle e moduli fotovoltaici ha toccato i 1.032 GW/anno per entrambe le categorie, un traguardo importante nel settore. Anche per quanto riguarda la produzione, ci sono dati rilevanti. Non a caso la produzione di celle solari ha raggiunto i 644 GW, segnando un incremento del 63% rispetto ai 394 GW del 2022.

In questo ambito, la Cina è lo stato che ha consolidato la sua posizione dominante. Tale traguardo lo ha raggiunto con una quota del 91,8% e una produzione di 591 GW di celle fotovoltaiche, su una capacità produttiva totale di 930 GW/anno. Addirittura nella prima metà del 2024, la Cina aveva già prodotto 310 GW. Per quanto riguarda i moduli fotovoltaici, la capacità produttiva globale ha superato per la prima volta il terawatt, arrivando a 1.032 GW/anno. La produzione effettiva è stata di 612 GW, con un aumento del 62% rispetto ai 324 GW del 2022. I prezzi dei moduli hanno raggiunto un minimo storico di circa 0,14 USD/W nel 2023 e sono scesi sotto i 0,10 USD/W nel 2024.

Il report evidenzia che la crescita della capacità manifatturiera sta superando quella del mercato fotovoltaico globale, creando un divario tra domanda e offerta e portando a una continua diminuzione dei prezzi. Se il divario non sarà colmato e le scorte non saranno liquidate, si prevede che i prezzi rimarranno ai livelli attuali.

Gli ultimi esperimenti

EDP ha avviato un importante progetto pilota di automazione nel settore delle energie rinnovabili. Per la prima volta a livello mondiale, ha utilizzato la tecnologia Hyperflex di Comau per la costruzione di un parco fotovoltaico. Questo progetto, denominato AutoPV, coinvolge l’automazione di 3 MW su un totale di 122 MW presso il parco solare di Peñaflor, in Spagna. Tale tecnologia ottimizza la fase di installazione dei pannelli solari, prevedendo l’uso di una fabbrica mobile e robot che collaborano con gli operatori umani per svolgere le attività più pesanti, come il trasporto e il montaggio delle strutture. Questo sistema innovativo consente di ridurre i tempi di assemblaggio dei pannelli fino al 50%, rendendo l’intero processo più rapido, efficiente e sicuro. Così facendo si rende l’energia solare sempre più competitiva e sostenibile.

Questo test rappresenta un passo avanti fondamentale per EDP, che punta a integrare tali tecnologie a livello globale, migliorando la sua capacità di costruzione di parchi solari in tutto il mondo. soprattutto perché, la società produce il 98% della sua energia da fonti rinnovabili, con oltre 4 GW di capacità solare installata, e mira a raggiungere obiettivi ambiziosi di sostenibilità

Gli obiettivi principali sono due:

  • eliminare completamente la produzione di energia a carbone entro il 2025, a essere completamente green entro il 2030;
  • raggiungere la neutralità climatica (net zero) entro il 2040.

Questi passi avanti delle aziende, fanno sì che la transizione energetica possa avvenire nel minor tempo e con la massima efficienza possibile. Senz’altro il cambiamento deve derivare anche da tali enti o quasi dovrebbero esserne i portavoce. Tali ambizioni fanno solo sperare in un  vero cambiamento di rotta.

Il solare in Italia

L’Italia attualmente si trova al centro di una rivoluzione energetica, con l’energia solare che emerge come protagonista indiscussa. Negli ultimi anni, il Paese ha visto un’esplosione nella diffusione di impianti fotovoltaici, tanto da posizionarsi tra i leader mondiali in questo settore. I dati parlano chiaro: si produce oltre 20 TWh di energia all’anno grazie al sole, un traguardo ottenuto grazie a una serie di fattori che hanno contribuito a questo successo. Tra questi gli incentivi statali, per la promozione dell’installazione di impianti fotovoltaici attraverso sgravi fiscali e misure agevolative. A questo si aggiunge la riduzione dei costi delle tecnologie, che ha reso gli impianti più accessibili sia per le famiglie che per le imprese. Infine, la crescente consapevolezza ambientale, alimentata dalle preoccupazioni per il cambiamento climatico, ha spinto sempre più cittadini e aziende a orientarsi verso fonti di energia rinnovabile.

Le prospettive per il solare in Italia sono altrettanto promettenti. Le stime più recenti suggeriscono che il Paese potrebbe coprire una parte sempre maggiore del proprio fabbisogno energetico attraverso il fotovoltaico. Tuttavia, non mancano le sfide da affrontare. Tra queste, il potenziamento della rete elettrica è una priorità, poiché la diffusione capillare del fotovoltaico richiede una rete adeguata per garantire una distribuzione efficiente dell’energia prodotta. Un altro aspetto fondamentale è l’integrazione con sistemi di accumulo energetico, che consentirebbero di immagazzinare l’energia solare garantendo la continuità dell’approvvigionamento anche durante le ore notturne. Infine, lo sviluppo di nuove tecnologie rimane un fattore chiave per migliorare l’efficienza degli impianti e favorire nuove applicazioni, come l’agrivoltaico, che combina produzione agricola ed energia solare.

In conclusione, l’Italia ha tutte le potenzialità per diventare un punto di riferimento globale nel settore dell’energia solare. Con una politica energetica lungimirante e investimenti strategici, il Paese potrebbe accelerare la sua transizione verso un futuro più sostenibile e indipendente.

 

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World Energy Outlook 2024. Le rinnovabili sono il futuro.

By : Aldo |Ottobre 20, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su World Energy Outlook 2024. Le rinnovabili sono il futuro.

Che le rinnovabili stiano prendono sempre più piede nel mondo, è oggettivo. Tale crescita è spinta sicuramente da molteplici ragioni, tra le quali la limitata disponibilità di risorse, i nuovi conflitti e le tensioni geopolitiche. Soprattutto quest’ultime, fanno riflettere maggiormente sulla sicurezza energetica di ogni paese. Tutto ciò è stato affrontato nel World Energy Outlook 2024, che dimostra quali saranno le sorti del settore, nei prossimi anni.

World Energy Outlook

Il World Energy Outlook (WEO) è una pubblicazione annuale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) che offre un’analisi approfondita e proiezioni sullo scenario energetico globale. Solitamente, l’analisi del WEO si sofferma sulle tendenze in atto nel settore energetico, identificando i principali fattori che influenzano la domanda e l’offerta di energia a livello mondiale. Grazie a questo rapporto si presenta una visione d’insieme delle sfide e delle opportunità che caratterizzano la transizione energetica. Analogamente si analizza l’impatto delle politiche energetiche, delle innovazioni tecnologiche e dei cambiamenti climatici sul sistema energetico. Si tratta, di uno strumento fondamentale per governi, imprese e investitori per comprendere le dinamiche del mercato energetico e definire strategie in un contesto in continua evoluzione.

Mercoledì 16 ottobre è stata pubblicata l’analisi del 2024, la quale ha portato una maggiore luce su quello che sarà il futuro dell’energia. In particolare, si evidenzia l’importanza dei questa risorsa a livello globale e quanto influenza i rapporti internazionali tra Stati. Di certo alcune cose non sono una novità, ma anche quest’anno le rinnovabili sono cresciute ad una velocità inaudita.

Lo studio e i suoi temi

Lo studio discute attraverso vari scenari, le prospettive future e globali dell’energia, con particolare attenzione alla sicurezza energetica, alla sostenibilità e alla transizione verso le energie pulite. Questi quadri dimostrano i percorsi che il settore energetico potrebbe seguire, le azioni politiche per raggiungerli, le loro implicazioni per i mercati energetici. Ma anche la sicurezza, le emissioni e per le vite e i mezzi di sussistenza delle persone.  

In particolare, vengono presentate tre panoramiche riguardanti:

  • politiche dichiarate (STEPS) che si basa sui dati di mercato più recenti, sui costi delle tecnologie e su un’analisi approfondita delle politiche in vigore nei vari paesi del mondo.
  • impegni annunciati (APS) esamina cosa accadrebbe se tutti gli obiettivi nazionali in materia di energia e clima, inclusi quelli di zero emissioni nette, fossero raggiunti pienamente e puntualmente.
  • emissioni nette zero entro il 2050 (NZE), la quale delinea un percorso sempre più stretto per raggiungere le emissioni nette zero entro la metà del secolo, limitando il riscaldamento globale a 1,5 °C.

Geopolitica

In questo periodo storico i rischi geopolitici sono vari forse troppi e pertanto il panorama energetico mondiale sta vivendo una profonda trasformazione. Da un lato, la geopolitica instabile e le tensioni internazionali portano ad una situazione di incertezza e aumentano i rischi per la sicurezza energetica. Dall’altro, l’offerta abbondante di combustibili fossili e la sovraccapacità produttiva delle tecnologie pulite (in particolare per il fotovoltaico solare e le batterie).

Di conseguenza si intensifica la competizione tra le diverse fonti energetiche dove i prezzi dei combustibili restano stabili, mentre quelli delle tecnologie pulite diminuiscono. Sebbene in questo modo risultino sempre più competitive, non sarà semplice mantenere e accelerare la transizione con prezzi più bassi per i fossili. Sicuramente saranno decisive le scelte dei consumatori e le politiche di governo, che avranno un forte impatto sulla lotta ai cambiamenti climatici e sulla sicurezza energetica a lungo termine.


La transizione alle energie pulite

Come anticipato, l’energia pulita sta entrando nel sistema energetico con rapidità senza precedenti. Nel 2023 sono stati aggiunti oltre 560 GW di nuova capacità rinnovabile e gli investimenti in tali progetti, hanno raggiunto quasi 2.000 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di investimenti duplicati rispetto a quelli per nuove forniture di petrolio, gas e carbone. Dopo una breve crescita post-Covid, i costi delle tecnologie pulite stanno nuovamente diminuendo, favorendo un aumento della capacità di generazione rinnovabile da 4.250 GW attuali a quasi 10.000 GW nel 2030.

Nonostante, si resta sempre sotto l’obiettivo fissato alla COP28, si prevede che questo nuovo raggiungimento sarà sufficiente per coprire la domanda globale di elettricità e ridurre la dipendenza dal carbone. Tuttavia, l’accelerazione della transizione è soggetta alle politiche governative e dalle strategie industriali, di cui l’efficienza è ancora incerta. Non a caso dal 2020, sono state introdotte 200 misure commerciali (maggiormente restrittive) legate alle tecnologie per l’energia pulita, rispetto alle 40 dei cinque anni precedenti. Comunque, entro il 2030, le fonti a basse emissioni, comprese quelle nucleari, produrranno più della metà dell’elettricità mondiale.

Il ruolo della Cina

Nel 2023, la Cina ha dominato il panorama delle energie rinnovabili, contribuendo al 60% della nuova capacità globale. La sua produzione fotovoltaica è destinata a superare, entro i primi anni 2030, l’attuale domanda di elettricità degli Stati Uniti, evidenziando la rilevanza di questo stato. Ad ogni modo, persistono incertezze sulla capacità di integrare rapidamente ed efficientemente questa nuova energia nei sistemi elettrici, sia in Cina che altrove. Tale difficoltà è correlata alla lentezza nell’espansione delle reti e dei tempi di autorizzazione.

Molte economie in via di sviluppo sono frenate dall’incertezza politica e dai costi elevati del capitale, mentre nei paesi avanzati le tendenze sono contrastanti. In più alcune aree vedono accelerazioni, altre rallentamenti, come il calo delle vendite di pompe di calore in Europa nel 2024. Inoltre, l’obiettivo di raddoppiare l’efficienza energetica globale, cruciale per ridurre le emissioni entro il 2030, sembra irraggiungibile con le attuali politiche. Anche se esistono tecnologie per ridurre le emissioni di metano dai combustibili fossili, gli sforzi di mitigazione sono stati irregolari.

In conclusione

In conclusione, è chiaro che nonostante il rapido progresso della transizione energetica, due terzi dell’aumento della domanda energetica globale nel 2023 è stato nuovamente soddisfatto dal fossile. In questo modo le emissioni di CO2 hanno raggiunto un nuovo record di 37,5 miliardi di tonnellate. Comunque, lo slancio dell’energia pulita è sufficiente a far raggiungere un picco nella domanda di petrolio, gas e carbone entro il 2030. Da quel momento in poi, l’economia globale potrà continuare a crescere senza aumentare il consumo di combustibili fossili.

Le economie emergenti e in via di sviluppo, come India, Sud-est asiatico, Medio Oriente e Africa, guidano l’aumento della domanda di energia, mentre i cambiamenti strutturali, soprattutto in Cina, stanno contribuendo a rallentarne la crescita complessiva. Grazie all’elettrificazione e alla maggiore efficienza del sistema energetico basato su fonti rinnovabili, la domanda futura potrà essere soddisfatta interamente da energia pulita. Tuttavia, sfide geopolitiche e politiche frenano il progresso, e le emissioni legate ai combustibili fossili restano un problema critico.

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Cosa chiederà l’UE alla COP29 di Baku?

By : Aldo |Ottobre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cosa chiederà l’UE alla COP29 di Baku?

Come ogni anno, si sta avvicinando il periodo di un grande incontro globale, che pone nuovi target, obiettivi e cerca di risolvere delle importanti questioni internazionali riguardanti la sostenibilità, quindi l’ambiente, la società e l’economia. Quest’anno la COP si svolgerà a Baku in Azerbaigian, location che già lo scorso anno ha fatto discutere molti per via di politiche, diritti e processi poco chiari rispetto l’ambiente. Ovviamente a tale evento partecipano centinaia di paesi e l’Europa si presenta con delle idee e richieste ben chiare.

La COP

La COP (Conference of Parties) è un incontro annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Nasce nel 1992 per affrontare il cambiamento climatico come organo decisionale supremo della convenzione e riunisce 198 Paesi per negoziare azioni concrete contro il riscaldamento globale. Il suo obiettivo è quello di promuovere la cooperazione internazionale sul clima definendo politiche globali per migliorare la sostenibilità del mondo.

Nel corso degli anni ce ne sono state varie di grande rilevanza, sia per gli accordi sottoscritti o i nuovi obiettivi fissati come la COP 21, grazie alla quale nascono l’Agenda 2030 e gli Accordi di Parigi. In altri casi, gli incontri sono stati quasi fallimentari o controversi a seconda del Paese che ospitava l’incontro o a causa della poca efficienza dell’evento.

Tra un mese si svolgerò la 29 esima edizione della COP nella capitale dell’Afganistan, Baku. Non sno mancate ovviamente le critiche per la scelta dello stato, vista la situazione dei diritti umani e del contesto politico del paese. In particolare, le autorità azere sono accusate di repressione politica, con arresti di attivisti e giornalisti, e censura delle voci critiche. Tale situaizone preoccupa tutti poiché la chiusura dei media e la limitazione della libertà di espressione potrebbero controllare in modo improprio l’evento. Inoltre, c’è preoccupazione che la conferenza diventi un’operazione di greenwashing per migliorare l’immagine del governo, compromettendo la credibilità della COP e le sue finalità climatiche.

 

L’ideale europeo

L’Unione Europea ha definito la sua strategia per la COP29, che si terrà a Baku, Azerbaijan, a novembre 2024. Sebbene non vi siano novità rilevanti, l’UE conferma il proprio impegno a rispettare l’Accordo di Parigi, mantenendo il riscaldamento globale entro 1,5-2°C rispetto ai livelli preindustriali. L’Unione ribadisce l’obiettivo di eliminare gradualmente i combustibili fossili entro il 2050, con l’obbligo di presentare entro il 2025 nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni (NDC). Tuttavia, alcuni attivisti ritengono che l’Europa dovrebbe accelerare l’uscita dal carbone entro il 2030, dal gas entro il 2035 e dal petrolio entro il 2040.

 

La finanza climatica sarà al centro dei negoziati. I Paesi ricchi, compresa l’UE, hanno faticato a rispettare l’impegno di versare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella transizione climatica. Nonostante le pressioni per aumentare i contributi, l’UE non ha previsto fondi aggiuntivi. Un altro punto di discussione sarà il ruolo della Cina, che non contribuisce ancora, essendo classificata formalmente come “Paese in via di sviluppo”. Tuttavia, data la sua attuale potenza economica, Europa e Stati Uniti spingono per un suo maggiore coinvolgimento, anche se la Cina ribatte che le responsabilità storiche del cambiamento climatico ricadono principalmente sull’Occidente.

Le grandi questioni

In vista della COP29, c’è attesa per eventuali nuovi impegni climatici da parte dei governi europei. Nonostante ciò, alcuni attivisti, come Climate Action Network Europe, sostengono che l’UE debba accelerare il suo piano per raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Così facendo, eliminerebbe il carbone entro il 2030, il gas entro il 2035 e il petrolio entro il 2040. Tuttavia, molti Paesi, come l’Italia, continuano a investire in infrastrutture per i combustibili fossili, sollevando dubbi sulla possibilità di abbandonarle a breve termine.

Il tema centrale della COP29 sarà la finanza climatica. I Paesi ricchi, pur con difficoltà, stanno cercando di rispettare l’impegno di destinare 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo. Ad ogni modo, non sono previsti contributi aggiuntivi, nonostante le richieste dei Paesi più vulnerabili. Un altro grande obiettivo è quello coinvolgere la Cina. Poiché tale nazione ancora non contribuisce ancora in quanto classificata come “Paese in via di sviluppo” nonostante sia oggi una forza economica molto diversa rispetto al 1992. Pechino, però, sottolinea che la responsabilità storica del cambiamento climatico ricade principalmente sull’Occidente, a causa della Rivoluzione industriale.

Quindi l’Europa si presenterà a Baku, con la speranza che la Cina cambi le sue prospettive riguardo lo sforzo finanziario necessario per aiutare i Paesi a rischio. Inoltre, L’Unione è in attesa anche delle elezioni statunitensi del 5 novembre, che con una eventuale vittoria di Donald Trump cambierebbero completamente lo scenario delle politiche climatiche.

La posizione italiana

In tutto ciò, la premier italiana Giorgia Meloni ha espresso in Parlamento la sua posizione riguardo alla decarbonizzazione, affermando che perseguire questo obiettivo a discapito dell’industria sarebbe un errore fatale. Questa idea rafforza il pensiero della parte più conservatrice del settore imprenditoriale italiano. Così facendo però si trascurano, i grandi risultati derivati dagli investimenti in tecnologie verdi rappresentano una fonte di crescita economica e creazione di posti di lavoro. Soprattutto in Europa, Stati Uniti e Cina.  

Tuttavia, la politica italiana sembra operare su due fronti: da un lato, fa dichiarazioni interne rivolte all’elettorato, e dall’altro sottoscrive accordi internazionali che spesso vanno in direzione opposta. Un esempio di questa contraddizione è il contrasto tra le parole di Giorgia Meloni e il documento approvato dal Consiglio dell’UE, che sottolinea i benefici di un’azione climatica ambiziosa per migliorare la vita, l’economia e la sostenibilità. Infatti, nel testo, si afferma che investire in una transizione verde, attraverso istruzione e innovazione, è essenziale e meno costoso rispetto all’inazione.

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Stoccaggio di CO2 in mare: inaugurato l’impianto più grande al mondo in Sicilia.

By : Aldo |Ottobre 13, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Stoccaggio di CO2 in mare: inaugurato l’impianto più grande al mondo in Sicilia.
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La gestione della CO2 è fondamentale per affrontare il cambiamento climatico, dato che i livelli attuali hanno superato i 420 ppm, con un aumento del 50% rispetto all’era pre-industriale. Pertanto giorno dopo giorno si ricercano le migliori soluzione per limitare i danni causati da tale riscaldamento.  Tra queste troviamo la tecnologia di Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS), che prevede la cattura e lo stoccaggio della CO2 in formazioni geologiche profonde. A riguardo, è recente la notizia di un nuovo impianto di stoccaggio in Sicilia, il primo al mondo in mare.

Lo stoccaggio di CO2

Lo stoccaggio della CO2, noto anche come CCS (Carbon Capture and Storage), è una tecnologia fondamentale per la mitigazione dei cambiamenti climatici, poiché consente di catturare l’anidride carbonica emessa da fonti industriali e stoccarla in formazioni geologiche profonde. Questo processo si articola in tre fasi principali: cattura, trasporto e stoccaggio. Durante la cattura, la CO2 viene separata dai gas di scarico attraverso metodi come l’assorbimento chimico, la combustione in ambiente ossigenato o la criogenia. Una volta catturata, la CO2 viene compressa e trasportata verso siti di stoccaggio, dove viene iniettata in giacimenti di gas esauriti o formazioni saline profonde, a profondità di circa 1-3 chilometri.

L’efficacia dello stoccaggio della CO2 è supportata da studi che mostrano come possa ridurre significativamente le emissioni di gas serra. Tuttavia, ci sono sfide legate ai costi elevati e alla disponibilità limitata di siti adatti per lo stoccaggio. Attualmente, l’Europa detiene solo il 5% della capacità globale di CCS, smaltendo meno di 2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ma gli investimenti nella tecnologia stanno crescendo. Nonostante le critiche riguardo alla sua efficacia come soluzione a lungo termine per il cambiamento climatico, il CCS rappresenta un’opzione importante per settori difficili da decarbonizzare, come l’industria pesante e i trasporti.

Lo stoccaggio in mare e Limenet.

Lo stoccaggio di CO2 negli oceani è una soluzione innovativa e promettente per combattere il cambiamento climatico, sfruttando il potenziale degli oceani come serbatoi naturali di carbonio. Attualmente, gli oceani assorbono circa il 25-30% delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo, ma l’aumento delle concentrazioni atmosferiche richiede nuove tecnologie per potenziare questa capacità senza danneggiare gli ecosistemi marini. Tecniche come L’ocean Alkalinity Enhancement consentono di convertire la CO2 in bicarbonato di calcio, non a caso startup come Limenet stanno sviluppando processi industriali proprio in questo ambito.

Si tratta di una startup innovativa italiana, fondata nel 2023, che si specializza nella cattura e nello stoccaggio della CO2 nel mare. Nata come community scientifica, ha sviluppato una tecnologia brevettata in grado di trasformare l’anidride carbonica in bicarbonati di calcio, un processo che consente di immagazzinare la CO2 in modo duraturo e stabile negli oceani per oltre 10.000 anni. Questo tipo di tecnologie possono dare un contributo significativo alla riduzione globale delle emissioni e alla protezione della biodiversità marina, trasformando gli oceani in un attore chiave nella lotta al cambiamento climatico.

La rivoluzione parte da Augusta

Ad Augusta, in Sicilia, è stato inaugurato il più grande impianto al mondo per lo stoccaggio di CO2 in mare, sviluppato dalla start-up italiana Limenet. Questo impianto, capace di catturare e trasformare fino a 800 tonnellate di CO2 all’anno in bicarbonato di calcio, rappresenta un passo avanti nella lotta al cambiamento climatico. 


Il processo si basa su un principio naturale per cui la CO2 reagisce con l’acqua marina per formare bicarbonati, che vengono poi stoccati in modo sicuro negli oceani. In tal modo l’impianto contribuisce a ridurre l’acidificazione marina, rimuovendo la CO2 dall’atmosfera e rigenerando gli ecosistemi marini. Il tutto è possibile grazie ad elementi semplici come acqua di mare e carbonato di calcio, che rappresenta addirittura il 7% dell’intera crosta terrestre. Questa soluzione, ispirata a fenomeni naturali, è stata ideata e sviluppata da Limenet grazie alle ricerche di Stefano Caserini, pioniere nel campo del sequestro di CO2 in mare.

Mentre Stefano Cappello, amministratore delegato e fondatore di Limenet, ha spiegato in un’intervista con Wired, che l’impianto di Augusta permetterà di avviare il funzionamento continuo della tecnologia, con una capacità produttiva di 100 kg all’ora di CO2 stoccata sotto forma di bicarbonato di calcio. L’obiettivo per questo impianto, e per i futuri, è raggiungere economie di scala che riducano i costi di rimozione e stoccaggio della CO2. Infatti, l’azienda ha già avviato la vendita di crediti di carbonio, segnando l’inizio della sua applicazione industriale, con l’obiettivo di ridurre i costi e aumentare la scala produttiva in futuro.

Non è un punto di arrivo

Nonostante l’entusiasmo per le tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, esistono diverse criticità. Una delle principali preoccupazioni è che queste soluzioni possano essere usate come scusa per ritardare la transizione energetica, permettendo alle aziende di continuare a dipendere dai combustibili fossili. Appunto è probabile che l’industria energetica utilizzi queste tecnologie come alibi per prolungare l’estrazione e la combustione di petrolio, gas e carbone, sostenendo che le emissioni potranno essere rimosse in un secondo momento. Questo potrebbe rallentare gli sforzi globali di decarbonizzazione, poiché molte delle tecnologie di cattura della CO2 si sono rivelate meno efficaci di quanto promesso dalle multinazionali.

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Cicloni tropicali anche in Europa: l’arrivo di Kirk.

By : Aldo |Ottobre 10, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cicloni tropicali anche in Europa: l’arrivo di Kirk.

L’autunno è arrivato nell’emisfero boreale e con lui i cicloni e gli uragani che caratterizzano questo periodo dell’anno in specifiche zone del mondo. Lo stato della Florida (USA) per esempio, è già stato colpito da ben due uragani nell’arco di due settimane e gli effetti sono catastrofici. Come sappiamo, con il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature, questi fenomeni diventano sempre più potenti, frequenti e si stanno verificando anche in aree insolite. Un esempio è l’uragano Kirk che arriverà in Europa sottoforma di Ciclone tropicale.

Tempeste, cicloni ed uragani

La differenza tra uragani, cicloni e tempeste risiede principalmente nell’intensità dei venti e nella struttura del sistema. Il termine “tempesta” è generico e si riferisce a vari fenomeni meteorologici, come tempeste tropicali o perturbazioni con venti forti e piogge intense. L’uragano, invece, è un tipo specifico di tempesta tropicale che si forma nell’Oceano Atlantico o nel Pacifico orientale, caratterizzato da venti sostenuti di almeno 119 km/h e da una struttura con un “occhio” al centro. Gli uragani sono classificati in 5 categorie, con la più alta che include venti oltre 252 km/h.

I cicloni tropicali sono fenomeni simili agli uragani, ma si formano in altre aree, come il Pacifico occidentale o l’Oceano Indiano. Quando si spostano su acque più fredde o sulla terra, perdono le loro caratteristiche tropicali e diventano cicloni extratropicali, alimentati dal contrasto tra masse d’aria calde e fredde. Dunque, possiamo dire che, non tutte le tempeste sono uragani, ma tutti gli uragani sono tempeste.

Un ulteriore aspetto da considerare in questo argomento è la variazione di potenza e frequenza di questi fenomeni spesso catastrofici. Infatti, studi recenti, hanno evidenziato un aumento significativo dell’intensità dei cicloni tropicali negli ultimi quattro decenni. Come riportato, la probabilità di eventi di categoria 3 o superiore è aumentata di circa il 15%. Questo incremento è attribuito principalmente al riscaldamento delle acque oceaniche, che ha portato alla formazione di ben 30 cicloni tropicali (record) nella stagione degli uragani atlantici nel 2020.

Cicloni ed uragani in Europa

L’arrivo di Kirk, la prima grande tempesta della stagione autunnale in Europa, si verifica proprio mentre cresce la preoccupazione per un altro uragano che minaccia gli Stati Uniti. Si tratta dell’11 esima tempesta con un nome a formarsi quest’anno, come previsto dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). L’ente infatti aveva annunciato che ci sarebbero state da 17 a 25 tempeste con un nome nel 2024, un numero fuori dalla norma.

In particolare, l’Europa è stata colpita in passato da diversi uragani e cicloni post-tropicali di notevole intensità. Uno dei più famosi è stato l’uragano Vince nell’ottobre 2005, che raggiunse la terraferma in Spagna come tempesta tropicale; fu il primo caso documentato di un uragano atlantico che colpisce la penisola Iberica. Nel settembre 2006, i resti dell’uragano Gordon causarono danni e vittime in Regno Unito, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia e Russia. Più recentemente, nel settembre 2017, l’uragano Ophelia ha portato venti di burrasca e piogge torrenziali su Irlanda e Regno Unito.

Anche l’Italia non è immune da questi fenomeni. Possiamo ricordare quando i resti dell’uragano Leslie hanno portato maltempo estremo su gran parte del Paese nel settembre 2018, con allagamenti, frane e danni ingenti. In particolare, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia sono state le regioni più colpite, con raffiche di vento fino a 180 km/h e accumuli di pioggia localmente superiori ai 300 mm in 24 ore. Un evento ancora più eccezionale si è verificato nell’ottobre 1996, quando un vero e proprio uragano mediterraneo (o “medicane”) ha colpito la Calabria, causando vittime e distruzioni.

Kirk

La tempesta Kirk, originariamente un uragano di categoria 4 nell’Atlantico, ha perso parte della sua intensità trasformandosi in un ciclone extratropicale, ma continua a rappresentare una minaccia per diverse nazioni europee. Dopo aver raggiunto venti fino a 233 km/h, Kirk si sta dirigendo verso l’Europa, dove è arrivata tra l’8 e il 9 ottobre. Nonostante il declassamento, la tempesta porterà forti raffiche di vento, fino a 145 km/h, e piogge intense, soprattutto in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Germania settentrionale. Le condizioni meteorologiche peggioreranno inizialmente nel nord del Portogallo e nella Spagna nord-occidentale, con piogge abbondanti e venti forti tra i 100 e i 150 km/h. Successivamente, la tempesta si sposterà verso la Francia e l’Europa centrale, toccando anche Svizzera e Germania sud-occidentale, portando venti fino a 150 km/h lungo le coste francesi.

La perturbazione è nata come depressione tropicale il 29 settembre al largo delle isole di Capo Verde, evolvendo in uragano il 1° ottobre e raggiungendo la categoria 4 il 4 ottobre. Risalendo verso nord-est, Kirk ha perso energia a causa delle acque più fredde, trasformandosi in un ciclone extratropicale, ma mantenendo una certa intensità grazie alle interazioni atmosferiche. In Italia, la perturbazione non arriverà direttamente, ma il 10 ottobre parte della sua energia residua influenzerà la Liguria e le Alpi, portando temporali, venti forti e mareggiate. Il Centro-Sud, invece, non sarà colpito, con temperature ben al di sopra della media, oltre i 30°C.

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L’UE, vuole rinviare la legge sulla deforestazione tra esultanze e polemiche.

By : Aldo |Ottobre 07, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’UE, vuole rinviare la legge sulla deforestazione tra esultanze e polemiche.

Quando si parla di proteggere la natura ci sono sempre e purtroppo, troppi scontri ideologici, a volte poco condivisibili. Sta di fatto che la protezione della natura e delle sue specie, sia un processo lungo, lento ma di enorme importanza. Tuttavia, spesso e volentieri, “intralcia” gli affari delle aziende di vari settori, tra i quali quello alimentare (il più rilevante). Di recente sembra che l’Europa abbia fato qualche passo indietro rimettendo in discussione la sua propensione ad una forte e corretta transizione ecologica.

 

La deforestazione nel tempo

La deforestazione consiste nell’eliminazione delle foreste o della vegetazione arborea, spesso finalizzata a destinare i terreni ad attività agricole, pascoli o zone urbane. Questo processo ha impatti rilevanti, sia in termini positivi che negativi. Tra i vantaggi si possono annoverare l’incremento dell’agricoltura e lo sviluppo economico in determinate aree, con la creazione di posti di lavoro e un miglior accesso alle risorse alimentari. Tuttavia, gli effetti negativi prevalgono nettamente: la deforestazione causa una grave perdita di biodiversità, contribuisce ai cambiamenti climatici aumentando le emissioni di carbonio e provoca il degrado del suolo, compromettendo la capacità produttiva agricola nel lungo periodo.

In Italia, la regolamentazione della deforestazione ha radici antiche, con il Regio Decreto del 1923 che definiva le prime norme per la gestione delle foreste. Negli ultimi anni, il Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali del 2018 ha modernizzato e semplificato la normativa, affrontando le sfide attuali legate alla sostenibilità e alla tutela ambientale. Queste leggi sono cruciali per salvaguardare le foreste e promuovere pratiche agricole sostenibili, contribuendo a un futuro più ecologico e sano per il pianeta.

Regolamento Ue sui prodotti senza deforestazione (EUDR)

Sul piano politico, la deforestazione è diventata una questione di rilevanza globale, spingendo all’adozione di interventi legislativi. Tuttavia è recente la proposta della Commissione Europea di rinviare di un anno la dibattuta legge sulla deforestazione. Tale iniziativa, ha fatto esultare le grandi aziende, poiché il rinvio ola revisione della legge non alzerebbe i prezzi di produzione. Al contrario gli ambientalisti sono sconcertati e invitano a riflettere sui prossimi passi da fare. Perché?

La legge prevede che i produttori che non rispettano il divieto di commercializzare prodotti legati alla deforestazione non possano vendere nei mercati dell’UE. Il testo venne inizialmente apprezzato per la sua finalità di proteggere le foreste, importanti per l’assorbimento di CO₂. Nonostante ciò venne subito criticato per la complessità della sua applicazione, soprattutto da Paesi esportatori come Brasile e USA. Le aziende devono infatti ricorrere a tecnologie come il monitoraggio satellitare e sistemi di tracciabilità per dimostrare che i loro prodotti non provengono da terreni deforestati dopo il 31 dicembre 2020.

Un’altra particolarità è che la legge si rivolge esattamente alle aziende produttrici di materie prime di uso globale quotidiano quali: caffè, cacao, legname, olio da palma e carne bovina. Tutto serviva a proteggere i polmoni verdi della Terra, la biodiversità e a combattere il cambiamento climatico in modo concreto. Si trattava di un incentivo importante, per porre delle basi solide per una produzione (globale) più sostenibile.

Il rinvio

Nonostante la sua importanza, in alcuni Paesi membri, come l’Italia, si sono registrati tentativi di ritardare l’implementazione delle norme, poiché si teme che le imprese non siano pronte a soddisfare i requisiti richiesti. In molti hanno poi definito “”difficile e molto costoso” il cambiamento richiesto e pertanto è arrivata la richiesta di un rinvio o una revisione del regolamento.  Dunque, a inizio ottobre la Commissione Ue ha ceduto, annunciando l’intenzione di un rinvio di 12 mesi. Questo significa che, se la proposta venisse approvata dai ministri dell’UE e dal Parlamento europeo, la legge entrerebbe in vigore il 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e il 30 giugno 2026 per le piccole imprese.

Le accuse degli ambientalisti

Gli ambientalisti temono che un eventuale rinvio della regolamentazione possa portare a una deforestazione aggiuntiva di 2.300 chilometri quadrati. Infatti, Christian Poirier, direttore del programma per Amazon Watch, ha criticato duramente le grandi aziende e i governi. Li ha accusati di collaborare per evitare le responsabilità legate alla deforestazione zero nella catena di fornitura, sfruttando i piccoli proprietari come pretesto. Mentre Nicole Polsterer, attivista di Fern, ha affermato che Ursula von der Leyen avrebbe ceduto alle pressioni di aziende e Paesi che, pur consapevoli da anni dell’arrivo della regolamentazione, non si erano preparati adeguatamente.

Analogamente Greenpeace UE ha definito la decisione un grave passo indietro per le politiche del Green Deal e Sébastien Risso, direttore delle politiche forestali di Greenpeace, ha espresso rabbia. Il direttore sostiene che il rinvio permetterà la presenza di prodotti legati alla deforestazione sugli scaffali europei per altri dodici mesi. Infine, Virginijus Sinkevičius, eurodeputato lituano ed ex commissario all’ambiente, ha sottolineato che il rinvio rappresenterebbe un passo indietro nella lotta al cambiamento climatico, aumentando il 15% delle emissioni globali di carbonio e compromettendo la credibilità dell’UE nei suoi impegni climatici.

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Seul sceglie la natura e sostituisce un’autostrada con un fiume pedonale.

By : Aldo |Settembre 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Seul sceglie la natura e sostituisce un’autostrada con un fiume pedonale.

Siamo ormai abituati a vivere in città sempre più vaste, ricche di servizi, negozi e di tutto ciò che ci serve. Continuiamo a costruire senza sosta, sfruttando tecnologie avanzate e immaginando città futuristiche, con grattacieli e auto volanti. Nonostante ciò, i luoghi che amiamo di più sono quelli in cui possiamo allontanarci da tutto questo: sentiamo il bisogno di una passeggiata in riva al mare, di un picnic accanto al fiume o di una gita al lago. Così Seul abbraccia la sostenibilità scegliendo il fiume al posto di un’autostrada.

I fiumi: dalle città alle metropoli

I fiumi hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle città, dalla nascita delle prime civiltà alle metropoli moderne. Nelle antiche culture mesopotamiche ed egizie, i fiumi erano essenziali per l’irrigazione, l’acqua potabile e il commercio, favorendo l’agricoltura e la crescita demografica. Durante il periodo medievale, le città si sono sviluppate attorno a corsi d’acqua, che fungevano da risorse strategiche per il commercio e l’industria, come nel caso di Venezia e Firenze.

I fiumi continuano a essere importanti nelle grandi metropoli, non solo per le loro funzioni economiche ma anche come simboli di bellezza e spazi ricreativi. I waterfront urbani attraggono residenti e turisti, migliorando la qualità della vita. Inoltre, la gestione sostenibile dei fiumi è diventata cruciale per affrontare le sfide ambientali attuali, sottolineando il loro valore nel contesto urbano contemporaneo.

Non a caso oggi, è sempre più frequente il fenomeno chiamato “daylighting”. Si tratta dell’iniziativa che propone di “portare alla luce” proprio i fiumi nascosti per rendere l’acqua nuovamente protagonista nelle nostre città. Un esempio famoso di questa trasformazione è il Cheonggyecheon a Seoul, un percorso pedonale di 11 km che è oggi una delle passeggiate più apprezzate della città.

Il progetto Cheong Gye Cheon

Cheong Gye Cheon, un corso d’acqua di Seoul, ha una storia che risale a oltre 600 anni fa, quando la città divenne capitale durante la dinastia Joseon. Inizialmente ampliato per prevenire inondazioni, il canale è stato utilizzato come sistema fognario per circa 500 anni, subendo ripetuti dragaggi a causa dell’aumento della popolazione. Durante l’occupazione giapponese (1910-1945), il fiume si inquinò gravemente e venne coperto con calcestruzzo, trasformandosi in una fogna. Dopo la guerra di Corea, il canale continuò a degradarsi, diventando un simbolo di povertà. Negli anni ’70, fu costruita l’autostrada Cheong Gye Cheon proprio sopra il fiume.

Per questo, nel 2003, l’ex sindaco Lee Myung-bak avviò un progetto di restauro che ha portato alla rimozione dell’autostrada e alla riqualificazione del fiume come area pubblica, completata nel 2005 con un investimento di circa 700 milioni di euro.

Il progetto di Seul

Il progetto di restauro del Canal ChonGae a Seoul mirava a ripristinare un corso d’acqua coperto e inquinato, demolendo circa 4km di autostrada che dividevano la città. Infatti, prima dell’intervento, l’area era occupata da una strada trafficata, con 168.000 auto al giorno, che contribuivano a elevati livelli di inquinamento, compromettendo la salute degli abitanti. In risposta a questa situazione critica, il governo cittadino ha approvato un progetto che metteva l’uomo al primo posto, demolendo l’autostrada e orientandosi verso un approccio più ecosostenibile focalizzato sulla qualità della vita.

L’obiettivo principale era creare una zona pedonale che permettesse alle persone di interagire con l’acqua e mitigare le inondazioni durante i temporali della stagione dei monsoni. La progettazione si è basata sui livelli d’acqua variabili, e il restauro ha rappresentato il primo passo verso una riqualificazione complessiva delle sette miglia di fiume. Inaugurato nell’ottobre 2005, il progetto ha creato un nuovo spazio verde urbano che ha rafforzato il rapporto tra la città e il fiume, attirando continuamente persone.

Grazie al restauro del Cheonggyecheon, sono stati prevenuti allagamenti nella zona per un periodo stimato di 200 anni e si è registrata una riduzione della temperatura di 3-5°C rispetto alle strade circostanti. Questi risultati notevoli sono stati raggiunti riportando alla luce un corso d’acqua che era stato a lungo relegato a canale sotterraneo.

Conclusioni

I corpi idrici nelle aree urbane offrono vantaggi concreti di natura sociale, ambientale ed economica. Sicuramente abbelliscono le città e riducono lo stress mentale dei cittadini, fungendo anche da canali di raccolta in caso di allagamenti, alleviando così la pressione sulla rete idrica. Inoltre, contribuiscono a mitigare le temperature locali. È quindi essenziale che le città integrino questi aspetti nello sviluppo urbanistico, riappropriandosi di elementi naturali spesso trascurati per promuovere un futuro urbano più sostenibile e vivibile.

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Wind Turbine Wall: le nuove frontiere dell’eolico urbano.

By : Aldo |Settembre 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Wind Turbine Wall: le nuove frontiere dell’eolico urbano.

Il cambiamento climatico si sta manifestando in maniera sempre più concreta e noi non possiamo più restare fermi a guardare. È ovvio che non ci sia tempo da perdere e che bisogna puntare tutti insieme alla transizione ecologica. Tuttavia il pensiero di molti è negativo a riguardo, e si pensa che non ci siano troppe speranze per un futuro migliore. Nonostante ciò, lo sviluppo tecnologico ci dimostra che possiamo comunque avere fiducia nelle innovazioni e che le soluzioni per migliorare esistono.

La produzione eolica

L’energia eolica è una delle fonti rinnovabili più promettenti, poiché utilizza la forza del vento per produrre elettricità tramite turbine che trasformano l’energia cinetica in energia elettrica. Questa tecnologia è cruciale per la transizione energetica globale, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili e le emissioni di gas serra. L’energia eolica è pulita, abbondante e non richiede grandi quantità d’acqua, rendendola competitiva rispetto ad altre fonti. A livello globale, la produzione eolica è in forte crescita: nel 2020 ha coperto il 16% dell’elettricità in Europa e ha superato il carbone come seconda fonte energetica dopo il gas naturale. La Cina è leader mondiale nel settore eolico anche grazie ai massicci investimenti.

In Italia, l’energia eolica sta guadagnando terreno come parte della strategia nazionale per la transizione energetica. Gli investimenti nel settore sono in aumento e si prevede che entro il 2050 saranno necessari circa 2000 km² di impianti fotovoltaici e un ulteriore sviluppo dell’eolico. Attualmente, si sta lavorando per integrare maggiormente queste tecnologie nel mix energetico nazionale, contribuendo così a una maggiore sostenibilità ambientale.

Il mini – eolico urbano

L’eolico urbano, a differenza del fotovoltaico, ha ricevuto meno attenzione nel corso degli anni. Sebbene le soluzioni esistano, è complesso trovare un equilibrio tra risorse disponibili, design e spazi utilizzabili. I pochi progetti che hanno cercato di affermarsi sul mercato infatti, si sono concentrati su turbine con capacità da 1 a 10 kW, installabili su tetti piani, torri di comunicazione e strutture ad altezze elevate. Invece, il mini- eolico urbano è una soluzione innovativa per generare energia rinnovabile nelle città, utilizzando piccoli aerogeneratori integrati negli edifici.

Un esempio è il nuovo progetto del designer Joe Doucet si chiama Wind Turbine Wall. Si tratta di un mini-eolico da parete, composto da 25 micro turbine ad asse verticale, progettato per integrarsi nelle strutture urbane. Il prototipo misura 2,4 metri di altezza e 7,6 metri di larghezza, ma può essere adattato per coprire interi edifici. Doucet sostiene che un solo “muro cinetico” potrebbe coprire il fabbisogno elettrico annuale di una casa americana, sebbene l’efficacia dipenda dal luogo di installazione e i dati debbano ancora essere confermati.

Joe Douchet e il suo design

Doucet, designer e imprenditore di fama internazionale, è noto per coniugare innovazione e sostenibilità nelle sue creazioni, come dimostrato dal suo “Wind Turbine Wall”. Con oltre 50 brevetti e numerosi riconoscimenti, tra cui il Cooper-Hewitt National Design Award, continua a esplorare soluzioni di design che migliorano la vita quotidiana. In questo caso, l’approccio di Joe Doucet rivoluziona l’integrazione dell’energia eolica negli edifici, fondendo estetica e funzionalità.

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Tempesta Vaia: dopo 6 anni cosa è cambiato, i problemi e le possibili soluzioni.

By : Aldo |Settembre 22, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Tempesta Vaia: dopo 6 anni cosa è cambiato, i problemi e le possibili soluzioni.

Alla fine di ottobre 2018, la tempesta Vaia devastò i boschi delle Dolomiti con piogge incessanti e venti fino a 208 km/h, in particolare a Passo Rolle. In poco tempo furono abbattuti oltre 14 milioni di tronchi e 41.000 ettari di foreste distrutti.  Strade e sentieri furono bloccati e la rimozione del legname durò svariati mesi e richiese enormi investimenti. L’area distrutta e le sue popolazioni affrontarono difficoltà tecniche e logistiche, con un danno economico complessivo stimato intorno ai tre miliardi di euro.  Fortunatamente, un gruppo di giovani ha pensato a come risollevare i paesi colpiti, in modo innovativo.  

La missione di “Vaia”

Vaia è una startup italiana fondata nel 2019 da Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo, in risposta alla devastante tempesta Vaia che ha colpito le Dolomiti nel 2018. L’azienda si occupa di recuperare il legno degli alberi distrutti per creare prodotti sostenibili. Nello specifico i suoi obiettivi sono la valorizzazione delle risorse locali, l’attivazione delle filiere artigianali e coinvolgimento delle comunità, reinvestimento dei ricavi nei territori colpiti.

La startup si propone di affrontare le sfide socio-ambientali attraverso azioni concrete, come la riforestazione e la creazione di una rete di artigiani locali, contribuendo così a un futuro più sostenibile. Non a caso ha creato dei nuovi prodotti come il “Vaia Cube”, una cassa passiva per amplificare il suono degli smartphone. Questo oggetto non solo rappresenta un’alternativa ecologica, ma simboleggia anche un impegno verso la sostenibilità e la valorizzazione delle risorse locali. Infatti, Vaia si distingue anche per il suo approccio comunitario, cercando di coinvolgere attivamente le persone e sensibilizzarle riguardo alla sostenibilità ambientale.

I problemi odierni

Dopo l’avvenimento, gran parte del legname fu venduto a basso costo all’estero, principalmente in Cina. Senza la protezione degli alberi e delle loro radici, il territorio venne più esposto a frane, valanghe e inondazioni. Inoltre, la situazione si aggravò per l’infestazione del bostrico, una specie di coleottero che attacca gli abeti rossi e ne provoca la morte in poco tempo. Secondo recenti studi, i danni causati dal bostrico hanno ormai superato quelli della tempesta Vaia, colpendo una superficie doppia rispetto a quella del Lago di Garda.

Dunque, gli effetti della tempesta non sono solo ambientali, ma hanno anche rilevanti implicazioni economiche e sociali. Il fenomeno Vaia ha infatti amplificato problematiche preesistenti che affliggono le comunità montane in tutta Italia. Tra le varie questioni si riportala più importante resta lo spopolamento dovuto alla scarsità di opportunità lavorative, allo sviluppo limitato e alla mancanza di servizi. Oltretutto, il recupero del legname caduto si è rivelato costoso e, in alcuni casi, impossibile da realizzare. Di conseguenza sono state sottolineate le difficoltà di coordinamento e gestione tra gli enti responsabili della protezione e della gestione forestale.

A distanza di 6 anni, solo una parte degli alberi abbattuti è stata recuperata, mentre molti restano ancora a terra, lasciando la foresta spoglia e vulnerabile all’infestazione del bostrico. Federico Stefani, co-fondatore della startup, ha evidenziato come, nonostante l’aumento della superficie forestale, la qualità del bosco sia in peggioramento. In più ha evidenziato come gli abitanti, attualmente beneficiari della vendita del legname, rischiano di trovarsi privi di risorse entro 50 anni, poiché il capitale naturale si sta progressivamente esaurendo.

I progetti futuri e le iniziative di Vaia

Vista la missione dei della startup, Stefani sottolinea come la sostenibilità sia possibile solo coinvolgendo l’economia locale e coordinando tutti gli attori del territorio. Per esempio, il primo prodotto di Vaia, il Vaia Cube, è un amplificatore analogico in legno realizzato con alberi abbattuti e lavorato da artigiani locali. Ogni Cube venduto ha permesso di piantare nuovi alberi, raggiungendo 100.000 abeti grazie a oltre mille unità vendute in 38 Paesi. Questo è a tutti gli effetti un piccolo contributo, ma con l’obiettivo di promuovere la rigenerazione e collaborare con amministrazioni e enti forestali. 

In seguito, Vaia ha lanciato il Vaia Focus, un amplificatore per smartphone eco-sostenibile, destinando i ricavi alla ricerca sui ghiacciai in collaborazione con varie organizzazioni. Inoltre, ha riutilizzato teli geotessili per realizzare il materiale protettivo del Focus. L’obiettivo di Vaia è quello di consolidare un modello di business circolare e sostenibile, coinvolgendo 12 laboratori artigianali locali e restituendo dignità alle risorse naturali, come dimostrato dal successo del Cube e del Focus.

La “Foresta degli innovatori”

La startup “Vaia” è arrivata alla sua terza edizione dell’iniziativa “La foresta degli Innovatori”. Si tratta di un evento che si terrà il 21 settembre a Folgaria. Nonostante non tutti possano partecipare di persona, è possibile seguire le dirette di talk, attività e un concerto di Gio Evan sui canali social, con la possibilità di interagire e vivere virtualmente l’atmosfera. Inoltre, chi vuole contribuire a distanza può acquistare una t-shirt e un albero che verrà piantato durante l’evento, con l’obiettivo di piantare oltre 1.000 alberi in un solo giorno. L’evento è gratuito, ma richiede iscrizione, ed è patrocinato dal Parlamento Europeo.

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Con l’IA, Orbisk ci aiuta a quantificare lo spreco di cibo.

By : Aldo |Settembre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con l’IA, Orbisk ci aiuta a quantificare lo spreco di cibo.

L’intelligenza artificiale oscilla tra l’essere una grande scoperta ad una possibile minaccia. Sta di fatto che si tratta di un nuovo modo di usare la tecnologia, tanto atteso quanto respinto.  Sicuramente l’IA può facilitare tanti lavori, tanti studi e tante operazioni quotidiane e necessarie all’uomo. Ma proprio per questo per molti è quasi considerata come una minaccia. Tuttavia tra i progetti positivi che vedono l’intelligenza artificiale come un mezzo per migliorare la vita di tutti e renderla più sostenibile, troviamo l’idea di Orbisk.

L’IA per il futuro

L’intelligenza artificiale (IA) è una disciplina che sviluppa sistemi in grado di svolgere compiti tipici dell’intelligenza umana, come percezione e problem solving. Nonostante diventi sempre più sofisticata, presenta anche delle sfide etiche e di sicurezza che devono essere affrontate durante la sua evoluzione per evitare che diventi una minaccia. Tuttavia, l’IA è applicabile in vari settori, come sanità, istruzione, industria e sta diventando ogni giorno più importante anche per la lotta contro il cambiamento climatico e nell’adattamento ad esso.

Infatti, grazie alla sua capacità di elaborare grandi quantità di dati, l’IA può aiutare a prevedere e monitorare gli effetti del cambiamento climatico con una precisione senza precedenti. Dunque, può essere utilizzata per ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre le emissioni di gas serra e sviluppare soluzioni innovative per affrontare le sfide ambientali. Sembra non esistano confini di utilizzo di questa tecnologia; dall’agricoltura di precisione alle smart grid, dall’analisi dei dati satellitari alla progettazione di edifici sostenibili. Pertanto, investire nel suo sviluppo e nella sua applicazione è fondamentale per garantire un pianeta sano alle future generazioni.

Lo spreco alimentare

Uno tra i tanti settori in cui l’IA può essere impiegata è proprio quello alimentare, visti i grandi problemi mondiali di spreco e allo stesso tempo di malnutrizione. In generale c’è un filo conduttore che unisce cibo, energia, natura e perdite economiche, ossia lo spreco alimentare. Si tratta di un problema crescente in un sistema alimentare globale insostenibile e questo è visibile tramite i dati.

Attualmente, un terzo della produzione alimentare mondiale non viene consumato, con sprechi lungo tutta la filiera, maggiormente nelle case. Secondo gli studi, se non si agisce, entro il 2050 queste perdite raddoppieranno; pertanto, aumenteranno anche i prezzi dei settori affini.  Per esempio, in Italia, si gettano circa 25 kg di cibo a persona all’anno, con un costo complessivo di circa 15 miliardi di euro (un punto di PIL). Nonostante ciò, il 9,4% degli italiani vive in povertà alimentare. Cambiare questo ritmo e optare per un’alime