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Finanziamenti e vantaggi del bonus per l’agricoltura sostenibile.

By : Aldo |Marzo 28, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Finanziamenti e vantaggi del bonus per l’agricoltura sostenibile.

Ormai si sa, la sfida per la transizione ecologica è presente in qualsiasi ambito e settore produttivo (e non). Tra i tanti, l’agricoltura è uno di quelli più incisivi, su cui c’è un enorme margine di miglioramento per mezzo di politiche e finanziamenti. Ed è così che in Italia è arrivato il bonus per l’agricoltura sostenibile.

L’impatto dell’agricoltura

Le emissioni derivanti dall’agricoltura a livello mondiale rappresentano una gran parte del totale delle emissioni di gas serra. Infatti, l’agricoltura contribuisce approssimativamente al 24% delle emissioni globali di gas serra, con il metano e il biossido di carbonio tra i principali agenti. Inoltre, l’uso massiccio di fertilizzanti nell’agricoltura è un altro fattore importante. Tra questi i principali sono l’azoto, il fosforo e il potassio, i quali contribuiscono alla produzione di gas serra, come l’ossido nitroso ed influenzano negativamente la qualità del suolo e dell’acqua. Parallelamente, l’uso di carburanti nell’agricoltura, soprattutto per l’uso dei trattori e di altre macchine agricole, favorisce ulteriormente la produzione di emissioni, soprattutto di anidride carbonica.

    

La situazione italiana non è così differente da quella internazionale, calcolando che contribuisce per circa il 19% alla produzione di emissioni totali del Paese. In gran parte derivanti anche dai fertilizzanti con un forte impatto sulla qualità ambientale: in particolare sulla salubrità del suolo e delle falde acquifere. Senza dimenticare poi l’utilizzo dei carburanti usati nel settore.

Per questo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha pensato all’erogazione di fondi per la transizione ecologica in questo ambito. Si tratta di un bonus della cifra totale di 193 milioni di euro. 

 

Il bonus per l’agricoltura sostenibile

Il bonus presentato dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica prevede il finanziamento e il supporto della transizione ecologica nell’ambito agricolo. Si tratta di 193 milioni di euro che saranno investiti in impianti di biogas, trattori a biometano e biofertilizzanti. Ossia in tutti quei processi, sistemi o macchinari che sono ad oggi i più impattanti del settore.

   

Il bonus prevede un contributo in conto capitale pari a un massimo di 600 mila euro, che copre il 65% delle spese sostenute. La particolarità del bonus riguarda la sua partizione: infatti il 40% delle risorse spetterà al sud al quale saranno indirizzati 77,2 milioni di euro. Tuttavia, verranno finanziati progetti che mirino allo sviluppo di nuove tecniche, nuovi sistemi necessari alle pratiche agricole ma che riducano il loro impatto sull’ambiente. Dunque, si parla di programmi che possano salvaguardare il suolo, l’acqua ma anche l’atmosfera e la biodiversità.

   

Le categorie di intervento oggetto di incentivo sono di tre tipologie:

  • le “Pratiche ecologiche” nei campi e lo sviluppo di poli consortili per lo sfruttamento del digestato;
  • la sostituzione di trattori obsoleti con quelli alimentati a biometano;
  • interventi per l’efficienza degli impianti già esistenti per la produzione di biogas.

Gli interventi

Tra gli interventi previsti si possono citare quelli legati agli impianti a biogas. I progetti che mirano al loro sviluppo hanno la grande maggioranza delle risorse, ben 124 milioni di euro. Attualmente in Italia se ne contano circa 1.803 con una produzione di 2,5 miliardi di m3 di gas rinnovabile. Quest’ultimo è poi destinato alla produzione elettrica e termica rinnovabile e al consumo di biometano per i trasporti.

  

Per quanto riguarda i biofertilizzanti sono stati stanziati 54 milioni di euro, specificamente per la produzione e l’utilizzo di concime organico e l’adozione di macchinari più efficienti. Inoltre serviranno per la creazione di poli consortili dedicati al trattamento centralizzato del digestato. Il digestato non è altro che un materiale prodotto dal processo di digestione anaerobica di biomasse vegetali, scarti di allevamento e sottoprodotti animali. Essendo ricco di nutrienti come azoto, fosforo e potassio è un ottimo biofertilizzante.

   

E infine i trattori, per i quali sono stati devoluti 15 milioni di euro, per la sostituzione di quelli vecchi con quelli nuovi e più efficienti. Il bonus è previsto solo per mezzi alimentati a biometano e dotati di strumenti per l’agricoltura di precisione. Tecnica (quest’ultima) che permette di usare i trattori come supporto all’operatore che garantiscono maggiore sostenibilità e maggiore efficienza operativa.

 

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New York: il consigliere Gennaro propone una legge contro le capsule per il bucato.

By : Aldo |Marzo 25, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su New York: il consigliere Gennaro propone una legge contro le capsule per il bucato.

Abbigliamento e fast fashion, fibre sintetiche, bassi prezzi e produzioni che hanno un elevato impatto sull’ambiente. Ormai non c’è dubbio che le microplastiche ritrovate in mare siano correlate principalmente al nostro abbigliamento e quindi al suo lavaggio. Ora però la lotta si è ampliata alle famose pods.

   

Microplastiche nel mondo

Le microplastiche derivanti dal lavaggio di tessuti rappresentano un’importante e preoccupante fonte di inquinamento ambientale su scala mondiale. Le stime affermano che, circa il 35% delle microplastiche presenti nei mari e negli oceani derivino direttamente dal rilascio di fibre plastiche durante il lavaggio dei tessuti. Questo fenomeno è particolarmente diffuso in tutto il mondo che purtoppo consente alle microplastiche di infiltrarsi nei cicli naturali dell’acqua diventando una minaccia per tutti gli esseri viventi, uomo compreso.

    

A livello europeo, non cambiano le percentuali previste per l’intero pianeta. Anche qui, il particolato correlato alle microfibre di plastica costituisce fino al 30% delle microplastiche rilevate nei sedimenti marini e costieri dell’Unione Europea. Questo problema è stato riconosciuto dall’UE, che ha adottato misure per contrastare l’inquinamento da microplastiche, tra cui normative per ridurre l’uso di microplastiche nei prodotti e per migliorare la gestione delle acque reflue contenenti microplastiche. Neanche l’Italia si sottrae a tale tendenza, poiché il 20% delle microplastiche presenti nel Mediterraneo sono costituite da fibre di tessuto.

    

Si tratta quindi di un problema che va affrontato e risolto urgentemente a livello mondiale, con politiche e nuove norme anche per le grandi aziende tessili. Quello che possiamo fare noi cittadini è semplice: prestare attenzione alle etichette dei vestiti, comprare il più possibile tessuti naturali e non solo. Una mossa importante è quella di scegliere adeguatamente i detersivi, questa è la lotta intrapresa dalla startup Blueland e dal consigliere municipale Democratico James Gennaro.

    

La proposta di legge di New York

Il consigliere municipale Democratico James Gennaro ha presentato una legge dal nome “Pods Are Plastic”. La campagna mira a portare l’attenzione su prodotti di uso comune come le pods, piccole capsule contenenti vari tipi di detersivi usate per i lavaggi in lavatrice. Con tale legge il consigliere vuole ribadire un concetto semplice a volte trascurato, ossia che anche queste pods sono composte di plastica, in particolare di PVA o PVOH (alcool polivinilico).

    

Si tratta di plastica, sintetica a base di petrolio e dunque inquinano tanto quanto gli altri tipi di plastica, come ricordato nello studio dei ricercatori dell’Arizona State University. L’analisi da loro compiuta nel 2021 ha incrementato l’attenzione su questo tema, con grande impegno per sensibilizzare sempre più cittadini. Tuttavia, a questa proposta, le aziende hanno risposto in maniera negativa o con dati riferiti ad analisi della American Cleaning Institute. Quest’ultimo si è fatto portavoce delle aziende, ribadendo che

il PVA si scompone in componenti non tossici, rendendolo un’alternativa più sostenibile alle plastiche tradizionali, quando viene esposto all’umidità e ai microrganismi”.

Tuttavia, secondo lo studio universitario, il 77% del PVA (circa 8mila tonnellate all’anno) che arriva negli impianti di trattamento delle acque reflue viene poi rilasciato intatto nell’ambiente. Questo succede perché spesso non ci sono i microrganismi giusti negli impianti. Oppure il tempo di permanenza del materiale è troppo breve, con un massimo di una settimana, quando sarebbero ideali 60 giorni, per una degradazione del 90%.

   

Le critiche

Alla proposta di legge del consigliere Gennaro, ha risposto lo stesso American Cleaning Institute, che invece lo accusa di aver supportato la sua proposta con dati non veritieri. Ed inoltre afferma che la stessa startup Blueland, abbia creato una campagna di disinformazione sul tema, servendosi proprio della ricerca dell’Arizona State University.

    

Un’altra forte opposizione arriva dall’ U.S. Environmental Protection Agency, la quale ha rigettato ogni richiesta dell’impresa, riguardante la rimozione del PVA dall’elenco delle sostanze chimiche sicure. L’ente nazionale ha affermato che le base dati sarebbero incomplete e che gli studi invece confermino la sicurezza del composto.

   

L’unica cosa su cui concordano tutti i ricercatori è che la sorgente di diffusione di microplastiche più vicina ai cittadini è la lavatrice. I dati sono certi e nel 2019 si paralava di ben 1,5 milioni di microfibre di plastica per kg di tessuto lavato. Microparticelle che poi arrivano in mare ogni anno, con un peso specifico tra i 200.000 e le 500.000 tonnellate.  Nel frattempo, Blueland si fa strada nella sostenibilità con la produzione di prodotti di detersione in compresse vegane, prive di PVA, parabeni, fosfati, ammoniaca, candeggina, ftalati e tanti altri elementi chimici nocivi per l’ambiente.  

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Ecopneus: il progetto sul riciclo dei PFU che premia le scuole.

By : Aldo |Marzo 21, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ecopneus: il progetto sul riciclo dei PFU che premia le scuole.

La formazione dei ragazzi è la soluzione più efficace per crescere delle persone che abbiano una consapevolezza del loro ruolo nel mondo e di quello che li circonda. Per questo sono molto importanti progetti ed iniziative scolastiche che riguardino tutti gli ambiti della vita di una persona, dall’aspetto personale, sportivo a quello di educazione civica, come il progetto Ecopneus.


Il problema dei PFU

I Pneumatici Fuori Uso (PFU) rappresentano un’importante categoria di rifiuti nell’ambito dell’economia circolare. Nel mondo, si stima che vengano generati circa 1,5 miliardi di PFU ogni anno, con una percentuale significativa proveniente dall’Europa. Secondo i dati più recenti, l’Europa produce circa il 25% dei PFU mondiali, pari a circa 375 milioni di pneumatici all’anno. In Italia, invece, se ne generano approssimativamente 180.000 tonnellate annue rappresentando circa il 12% del totale europeo.

Queste cifre sottolineano la necessità di nuove ed efficaci strategie di gestione dei rifiuti, del loro riciclo e riutilizzo per uno smaltimento corretto e sostenibile dei PFU. Ad oggi ci sono varie tecniche di riciclo di questo materiale tra le quali:

  • Triturazione e granulazione, che consentono il loro impiego nell’edilizia o nel settore stradale o ancora per la produzione di tappeti per parchi giochi e pavimentazioni in gomma;
  • Riciclo del tessuto in fibra, sempre usata per tappeti, materassi o isolamento acustico;
  • Riciclo dell’acciaio e della fibra di nylon, materiali estratti dagli pneumatici, recuperati e usati in altri settori.

In particolare, la prima soluzione è stata al centro di un grande progetto nelle scuole italiane volto alla sensibilizzazione sul tema del riciclo dei PFU. Il programma è stato promosso dalla società Ecopneus che ha conferito premi “unici” alle scuole.

   

Ecopneus

Ecopneus è una società senza scopo di lucro, responsabile del rintracciamento, della raccolta, del trattamento e del recupero degli Pneumatici Fuori Uso (PFU) in Italia. Venne fondata dai principali produttori di pneumatici nel paese, ed è obbligata secondo l’articolo 228 del Decreto Legislativo 152/2006 a gestire una quantità di PFU equivalente a quella immessa nel mercato nell’anno precedente, seguendo il principio della Responsabilità Estesa del Produttore. Inoltre, si occupa del loro tracciamento e della rendicontazione verso le autorità, oltre a promuovere l’uso della gomma riciclata e sensibilizzare sul riciclo. Il suo obiettivo è quello di garantire il recupero di circa 200.000 tonnellate di PFU all’anno.

    

Attualmente, conta 50 soci, ossia aziende di produzione o importazione di pneumatici che si sono volontariamente affiliate a Ecopneus.  La società venne incaricata di questo ruolo nel 2011, poiché mancava un sistema nazionale strutturato per la gestione completa dei PFU. Quindi con questo investimento si assistì ad un grande cambiamento, visto che ogni anno in Italia circa 350.000 tonnellate di pneumatici, equivalente a oltre 38 milioni di pneumatici per auto, raggiungono la fine della loro vita utile.

    

Da quel momento la filiera è organizzata su un modello innovativo che racchiude una rete di aziende qualificate, incaricate di tutte le operazioni necessarie. Quindi dalla raccolta al trasporto dei PFU agli impianti specializzati per il trattamento e il recupero, garantendo il raggiungimento degli obiettivi ambientali al minimo costo. Ecopneus però è anche impegnata molto nella sensibilizzazione sul tema e proprio dal 2012 porta avanti questo programma anche nelle scuole per mezzo di differenti iniziative.

 

I progetti educativi nelle scuole

Ecopneus in collaborazione con Legambiente, hanno creato un programma di sensibilizzazione sul tema dei PFU diffuso in tutta Italia. Ad oggi ha coinvolto 11 regione italiane, circa 12.000 studenti e 4.200 docenti e inoltre ha donato ben 11 superfici sportive per la riqualifica delle palestre. In più ha dotato le suole di nuove infrastrutture sostenibili e performanti che rappresentano spazi sportivi e di aggregazione. I beneficiari di tali opere sono i giovani studenti e gli atleti delle associazioni sportive territoriali. Questa volta, hanno partecipato le scuole secondarie di primo e di secondo grado dell’Umbria. Gli educatori di Legambiente hanno aiutato i ragazzi ad approfondire i temi del riciclo in generale e della gomma riciclata da PFU nello specifico.

    

A vincere la XII edizione del premio sono state le classi dell’Istituto Comprensivo Pianciani-Manzoni di Spoleto con il video Nuova vita ai PFU-Ecopneus sei un eroe e quelle del Liceo Linguistico Gandhi di Narni Scalo con il video Destinazione Futuro. I lavori dei ragazzi erano incentrati sul corretto riciclo del materiale in esame e sono stati giudicati dai tecnici del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, di Ecopneus e Legambiente. La società, quindi, premierà le due scuole, con un campo da basket 3×3 in gomma riciclata, per promuovere anche la legalità e la tutela ambientale.

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L’esempio virtuoso del biodinamico abruzzese.

By : Aldo |Marzo 14, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Home |Commenti disabilitati su L’esempio virtuoso del biodinamico abruzzese.

Si sa che l’Italia è impegnata a mantenere salde certe tradizioni, che non riguardano solo l’aspetto culinario ma anche produttivo. Il Paese che vanta secoli di storia detiene anche grandi esempi di virtuosità legati al settore sostenibile. Ecco il caso della biocantina Orsogna.

    

Il virtuoso Abruzzo

L’Abruzzo è una regione che si distingue per il suo forte impegno ambientale per mezzo di importanti progetti e politiche. Non a caso oltre il 30% del territorio è parte di riserve naturali e aree protette, tra cui

  • il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise;
  • il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga;
  • il Parco Nazionale della Majella.

Tale attenzione è determinata anche dall’elevata percentuale di biodiversità che presenta tra flora e fauna, che va oltre il 40%. Inoltre, la regione spicca per la sua riduzione significativa delle emissioni di CO2 del 20% negli ultimi dieci anni.  Un ulteriore settore rilevante per il territorio è quello della produzione biologica, che rappresenta oltre il 10% della produzione agricola totale. Questa specialità è talmente importante e che negli ultimi 5 anni, il 15% delle aziende agricole hanno adottato pratiche biologiche. Tale scelta influisce non solo sulla produzione e sul consumo di alimenti di qualità, ma ha un forte impatto anche nell’economia locale, favorendo inoltre il turismo ecologico. Quest’ultimo è cresciuto del 25% valorizzando la natura, le tradizioni e la produzione e favorendo sviluppo sostenibile della regione.

    

L’Abruzzo si sta rinnovando attraverso un nuovo modo di pensare il consumo del suolo e la produzione di cibo, rispettando gli ecosistemi, incrementando la sostenibilità del territorio stesso.

   

Il caso della Bio Cantina Orsogna

La virtuosità della regione è dovuta anche o principalmente alle scelte delle aziende, che decidono di approcciarsi alla produzione in maniera innovativa. Tra i tanti nomi però spicca quello della Bio Cantina Orsogna, un esempio di eccellenza nell’ambito della sostenibilità.

    

Nel 1964 35 viticoltori idearono la Cantina Sociale del paese per unire le loro produzioni agricole. Sin dall’inizio, la produzione vinicola era una delle attività principali della zona, non a caso si contavano più di 40 grandi cantine cooperative. La rilevanza della cooperativa è evidente poiché si impegna non solo nelle sue attività ma si sviluppa su un concetto complessivo di produzione. Per questo è sempre stata attiva nella salvaguardia ambientale, la conservazione delle conoscenze e la produzione di vini di qualità.

    

Nel 1995 è iniziato percorso di conversione al biologico ha coinvolto il 100% della superficie vitata nel 2022 contava 1400 ettari, mentre il 45% è dedicato all’agricoltura biodinamica (Demeter) dal 2003. Grazie a tale impegno e dal 2022 tutti i vignaioli della cooperativa sono stati certificati per la biodiversità degli agroecosistemi (Biodiversity Friend®).

    

La produzione

È chiaro che si tratti di una realtà che ha a cuore il suo territorio e non solo. Perché questo tipo di dedizione e di approccio alla produzione con una filosofia totalmente nuova è frutto di una grande attenzione anche verso le generazioni future. Precisamente la cooperativa segue la “filosofia agricola” ispirata al pensiero di Rudolf Steiner, il quale creò una visione quasi spirituale della produzione di alimenti.

    

Una filosofia che introduce nella cura della vigna, una serie di riti, attenzioni e pratiche per la creazione del miglior prodotto. Si tratta di un modello “biodinamico” che unisce pratiche per la coltivazione al concetto di energia vitale del suolo. Un nuovo modo si pensare l’agricoltura che tuttavia non si ferma alle nuove generazioni, perché la cooperativa è disposta a formare i viticoltori della zona che possano comunque portare avanti le tradizioni con la loro esperienza e la loro manodopera.

     

Un’altra eccezione di questa realtà è il suo successo, perché al contrario di quello che si possa ipotizzare, la Bio Cantina produce tra i 2 e i 2,5 milioni di bottiglie all’anno. In particolare, vende Trebbiano d’Abruzzo, Malvasia, Moscato, Passerina, Cococciola, Pecorino, Chardonnay, Montepulciano e Sangiovese. In più, lavora con fermentazioni spontanee, grandi vasche interrate o anfore d’argilla per la Malvasia.

   

Si tratta a tutti gli effetti di una produzione a ciclo chiuso, autosufficiente e sostenibile, poiché niente viene sprecato o lasciato a se. Oltre alle pratiche già note, come l’utilizzo del letame per la concimazione del suolo, la pratica del sovescio, il pascolo di ovini nei vigneti, si punta a innovare ancora di più il sistema. Infatti l’idea della cooperativa è quella di coltivare piante erbacee tra le viti, per ridurre al minimo la monocoltura intensiva (pratica diffusa e altrettanto negativa per gli ecostistemi).

   

Il tutto è pensato per produrre alimenti, vini ed altro riducendo al minimo l’impatto umano sulla terra. In questo caso, la Bio Cantina Orsogna ne è un modello impeccabile.

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La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

By : Aldo |Marzo 11, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

La sostenibilità è un argomento sempre più importante dei nostri giorni, dalla quotidianità dei cittadini agli investimenti delle aziende. Di recente però, questo tema ha raggiunto un grande settore nell’ambito dello sport europeo, la UEFA.

L’impatto del calcio

Il calcio ha una grandissima influenza sulla società e l’economia internazionale. È probabilmente lo sport più seguito e popolare con oltre 4 miliardi di fan in tutto il mondo, un gioco che unisce tutti ed elimina qualsiasi tipo di barriere linguistiche, culturali e socioeconomiche. In questo modo contribuisce alla coesione sociale e comunitaria (nonostante ultimamente si siano verificate situazioni spiacevoli sotto questo punto di vista).

Tale portata è riflessa, anche in modo ampliato, all’economia globale, non a caso le entrate mondiali legate a questo sport hanno toccato i 30 miliardi di dollari annui. Tale processo è definito attraverso le grandi competizioni, come le famose “Coppe” della FIFA, la UEFA, la Champions Legue, l’Europa Legue e tanto altro. Questi eventi hanno un enorme impatto sociale, mediatico, turistico e dunque economico perché i tifosi si spostano, conoscono nuovi luoghi, frequentano ristoranti e alloggiano in hotel, compreranno gadget ed altro.

Sebbene sia una macchina gigante con alle spalle un mercato infinito, non sono solo questi gli ambiti in cui ha un impatto rilevante. Infatti, il calcio, con le sue molteplici attività, iniziative ed altro ha un grande impatto anche sull’ambiente: emissioni di carbonio, consumo di risorse naturali, trasferte, sono solo alcuni dei fattori analizzati.

Il “calcio” all’ambiente

Come citato pocanzi, sono tantissime le attività correlate al calcio, che hanno degli effetti più o meno negativi sul pianeta. In primis si parla di trasferte, che rappresentano il 40% dell’inquinamento ambientale correlato alla mobilità dei tifosi, mentre una partita europea produce ben 4,2 tonnellate di emissioni di CO2 (750 ton l’anno). Senza contare quanto spazio occupano le infrastrutture degli stadi che determinano una maggiore urbanizzazione e all’uso intensivo del suolo, con conseguenti impatti sulla biodiversità e sulle risorse idriche. E poi ovviamente i consumi di energia e tutti i servizi necessari a supportare migliaia di persone ogni weekend negli spalti.

Ovviamente tutto ciò non vuol dire che il calcio abbia solo lati negativi, ma allo stesso tempo ha un’influenza talmente importante che, se potesse apportare dei cambiamenti potrebbe fare veramente la differenza.

Già alcune società hanno iniziato a investire nelle energie rinnovabili per alimentare i propri stadi ma serve di più. Ed è per questo che la UEFA ha presentato il nuovo progetto, per cambiare il settore calcistico e migliorare la sua sostenibilità.

Carbon footprint calculator

Proprio il 6 marzo la UEFA ha presentato il progetto al quale lavorava da ben 2 anni: il cabron footprint calculator. Si tratta del primo calcolatore di impronta carbonica dedicato a tutte le organizzazioni calcistiche europee, uno strumento che le guiderà ad una maggiore sensibilizzazione e approccio alle innovazioni green nel settore. Il programma è stato introdotto dal direttore Social and Environmental Sustainability Michele Uva, durante una conferenza all’Emirates Stadium di Londra, che ha descritto tutte le novità e le iniziative di tale progetto.

Come prima cosa bisogna sottolineare che l’iniziativa promuove un software gratuito che permetterà a tutti i club e federazioni di seguire un metodo unico e certificato, per calcolare la propria impronta. Il programma è basato sul GHG Protocol, un metodo di calcolo certificato a livello internazionale che aiuta aziende, società, amministrazioni ed enti nel conteggio della CO2 emessa. La particolarità di questo progetto riguarda il coinvolgimento delle squadre stesse come l’Arsenal, la Roma e il Manchester City, le Federazioni calcio francese, olandese, austriaca, la Premiere League ma anche l’ONU e l’UNFCCC.

Per quanto riguarda le principali voci di emissioni di CO2 considerate, si citano:

  • la costruzione di nuovi stadi;
  • gli spostamenti di squadre e tifosi;
  • l’elettricità consumata durante gli eventi;
  • la gestione dei rifiuti.

Si tratta di poche voci ma significative, soprattutto quella legata agli spostamenti che sappiamo non essere proprio attenti all’ambiente e ai consumi di energia. Anche perché tutto questo non vale solo ed esclusivamente per i grandi club, ma anche per tutto il mondo dilettantistico o professionale ma di categoria inferiore. Infatti, si conta che ogni settimana 40 milioni di ragazzi in Europa giochino a calcio: questo significa che si spostano, muovendo famiglie e staff. Se poi ci aggiungiamo anche i 450 mila tifosi l’anno per la UEFA, il quadro della situazione è abbastanza chiaro.

In conclusione

Il progetto mira a cambiare l’impegno del calcio, per far si che la sua grande influenza possa anche portare un beneficio ambientale e quindi un miglioramento della vita di tutti. L’idea è quella di calcolare le emissioni di CO2 della finale di Champions, per poi moltiplicare quella quantità per il prezzo di una tonnellata di anidride carbonica (attualmente tra i 50 e i 60 euro, ndr). Così facendo si raccoglierebbe una somma destinata a finanziare progetti sostenibili, nelle squadre di territori più difficili o di piccole squadre, per aiutarle a migliorarsi. Quindi in occasione dei Campionati europei in Germania, è stato aperto un fondo per aiutare  i club dilettantistici che investono sull’ambiente. Un piano da 7 milioni di euro che conta già 1700 richieste.  

  

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Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.

By : Aldo |Marzo 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.
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Che l’Europa si stia muovendo per una neutralità climatica è evidente. Norme, iniziative e obblighi sono all’ordine del giorno e dovrebbero essere anche per i suoi Stati membri. In Italia, per esempio, si è palesata la volontà di monitorare maggiormente le condizioni delle regioni in questo senso. Ecco perché è nato il database CIRO.

    

Neutralità climatica

La sfida della neutralità climatica rappresenta un obiettivo cruciale per il quale, il mondo intero, considera urgente la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e mitigare i cambiamenti climatici. In Italia, il percorso verso la neutralità climatica è iniziato con l’adozione di diverse iniziative chiave, tra cui l’approvazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile nel 2017 e l’impegno nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) nel 2020.  Questi testi fissano obiettivi ambiziosi, sebbene la strada verso la neutralità climatica sia ancora lunga e con grandi sfide da affrontare.

    

Ad oggi, l’Italia ha fatto progressi importanti in questo senso con una riduzione delle emissioni di CO2 del 27% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi stabiliti e superare le sfide legate alla decarbonizzazione di settori dell’economia fondamentali, come l’energia, i trasporti e l’industria. Tale transizione richiederà un enorme sforzo e impegno costante da parte di tutti, dal governo ai cittadini per mezzo di nuove politiche, abitudini e adeguati finanziamenti.

    

Il database CIRO

Italy for Climate ha scelto otto “temi” per valutare le prestazioni climatiche delle Regioni italiane, tra cui emissioni, energia, rinnovabili, edifici, industria, trasporti, agricoltura e vulnerabilità. Questi ambiti sono considerati fondamentali per valutare i progressi verso la neutralità climatica dei territori ma non solo. Sono necessari per comprendere gli effetti delle azioni intraprese finora a livello locale, ma anche i rischi derivanti dal riscaldamento globale a seconda dell’area e delle comunità.

     

Per rendere questo monitoraggio possibile è stato inventato CIRO (il database delle Regioni sul clima) il quale ha identificato due o più “indicatori chiave” per ciascun tema. Così facendo è in grado di mostrare una panoramica aggiornata e dettagliata dei cambiamenti nel tempo. Italy for Climate, per questo programma si è avvalsa dei dati di istituzioni italiane autorevoli nel settore dell’ambiente, dell’energia e della mobilità, tra cui Ispra, Istat, Enea, Gse, Terna, Aci, Mims, Mipaaf. In tal modo le istituzioni sono capaci di migliorare le condizioni del proprio territorio con nuove pratiche per affrontare la sfida della neutralità climatica. Le 8 tematiche evidenziate dall’istituzione, comprendono ben 26 indicatori su cui nasce CIRO.

   

Le emissioni

Gli indicatori considerati per valutare le emissioni in una regione includono le “Emissioni pro capite di gas serra”, che considerano i livelli di consumo energetico, l’uso di fonti fossili, e le attività industriali e agricole, e gli “Assorbimenti”, che misurano le emissioni di gas serra assorbite dai sistemi naturali, soprattutto forestali, in rapporto alla superficie regionale. Valori negativi indicano che le emissioni superano l’assorbimento, come nel caso della Sicilia.

    

Per l’energia Energia e le rinnovabili

In questo caso si valutano i consumi energetici regionali considerando:

  • i consumi finali pro capite, che rappresentano il fabbisogno energetico individuale e includono contributi da tutti i settori,
  • il mix energetico primario ossia la percentuale di energia derivante da fonti, sia fossili che rinnovabili, per soddisfare il fabbisogno energetico regionale.

Secondo dei dati già 14 regioni italiane sono coal free (quindi non consumano più carbone).

Mentre per le fonti energetiche rinnovabili, l’Italia si concentra sullo sviluppo dell’eolico, del solare e dell’idroelettrico. Tra i suoi indicatori sono compresi:

  • La quota di consumi energetici da rinnovabili;
  • Nuovi impianti rinnovabili;
  • Comunità energetiche rinnovabili (attivate nel 2022). Il Veneto si distingue per la maggioranza di 13 nuove.

Per le infrastrutture e trasporti

Per gli edifici si ha una suddivisione in 4 parti quali:

  • Emissioni pro capite di gas serra degli edifici;
  • Consumi di energia degli edifici;
  • Quota di consumi elettrici negli edifici;
  • Quota di edifici in classe A.

In questo caso per mancano i dati della Campania e della Sardegna. Insieme alle infrastrutture, i trasporti rappresentano un punto cruciale della transizione. Infatti, in questo caso gli indicatori riguardano:

  • Emissioni pro capite di gas serra dei trasporti
  • Numero di automobili (ogni mille abitanti)
  • Passeggeri trasportati dal trasporto pubblico locale
  • Quota di auto elettriche nelle nuove immatricolazioni

Per il settore industriale, agricolo e la vulnerabilità 

Anche nell’industria ha il suo dovere e deve portare le sue modifiche e a tal proposito si parla si individuano i seguenti criteri:

  • Emissioni di gas serra dell’industria per valore aggiunto: tonnellate di CO2 equivalente emesse per milione di euro di valore aggiunto dei settori manifatturiero e edile:
  • Consumi di energia per valore aggiunto: tengono conto di tutte le fonti fossili e rinnovabili (come le biomasse), oltre che dei consumi elettrici.

Per concludere si cita anche il settore dell’agricoltura che come già evidenziato ha un grande impatto nell’ambito delle emissioni. Anche qui ritroviamo le emissioni pro capite seguite dai “capi bovini allevati (ogni 1000 abitanti)”, la “quota di agricoltura biologica” e “l’utilizzo di fertilizzanti” (kg di azoto per ettaro). E infine si descrive la vulnerabilità, per descrivere quali aree e regioni siano più soggette a danni ed effetti del cambiamento climatico in base al tasso di consumo del suolo e delle perdite della rete idrica e la quota di popolazione esposta al rischio alluvione.

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Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

By : Aldo |Marzo 05, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

Il problema dello scarto alimentare è un tema che riguarda tutti quanti in modo concreto. Tra gli scarti domestici e quelli delle aziende agricole, si contano migliaia di tonnellate di prodotto con grandi potenzialità che non vengono sfruttate. E per questo che in Italia la ricerca in questo senso sta aumentando per una maggiore circolarità.

    

Gli scarti agroalimentari

Gli scarti alimentari rappresentano un grave problema a livello globale, con importanti implicazioni ambientali, economiche e sociali. Nel mondo si stima che oltre il 33% di tutti gli alimenti prodotti vada sprecato, ossia circa 1,3 miliardi di tonnellate l’anno. Questi scarti contribuiscono in maniera significativa all’aumento delle emissioni di gas serra, alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Inoltre, rappresentano un enorme spreco di risorse idriche e di terre coltivabili. In Italia la situazione non è diversa poiché stima che ogni anno vengano prodotti circa 5,1 milioni di tonnellate di scarti agroalimentari, che corrispondono a circa il 15% del totale della produzione alimentare nazionale.

   

Ridurre tali scarti è una sfida cruciale da affrontare e risolvere il prima possibile per garantire la sostenibilità del nostro sistema alimentare e preservare le risorse naturali per le generazioni future. A questo proposito sono già in azione strategie di miglioramento della gestione delle filiere alimentarie di sensibilizzazione dei consumatori. Tuttavia, queste pratiche dovrebbero essere supportate dall’implementazione di politiche pubbliche mirate possono che contribuiscono a mitigare questo problema globale.

   

Gli scarti dei carciofi

Per affrontare tale problema c’è chi si è focalizzato sugli scarti di un ortaggio specifico, il carciofo. Ma perché proprio i carciofi? In Italia, l’annuale produzione e consumo di Cynara cardunculus (dati Ismea 2020), si aggira intorno alle 378 mila tonnellate. Purtroppo, però, gli scarti derivanti da questa produzione rappresentano oltre il 60% del totale raccolto, fino ad un 75% nelle lavorazioni industriali. Tali cifre evidenziano un grave problema che necessita soluzioni efficaci e sostenibili.

   

Se si pensa poi alla totale produzione di ortaggi, si può solamente immaginare quanto materiale venga eliminato nell’industria, e quanto potenziale esiste tra gli scarti. Proprio per rimediare a tale problema sono nate startup o grandi aziende hanno investito nella ricerca per poter migliorare ed efficientare la loro produzione.

   

La farina Karshof

Circular Fiber è una startup fondata da Luca Cotecchia e Nicola Ancilotto. I due hanno deciso di lavorare la parte erbacea più dura dei carciofi per produrre la Karshof. Si tratta di una farina funzionale ad alta digeribilità, priva di glutine, a basso contenuto di zuccheri ma ricca di fibre (60%), proteine (13%) inulina e cinarina. L’idea è nata dalla tesi di laurea di 5 studenti del master MBA al MIB Trieste School of Management ed è parte del progetto Terra Next di Fondazione Cariplo. Quest’ultimo sostiene l’innovazione nell’ambito della bioeconomia e dell’agricoltura rigenerativa.

    

Il programma prevedeva la formazione di una filiera del carciofo per sfruttare tutto lo scarto possibile. Purtoppo però l’idea è stata abbandonata in poco tempo vista la deperibilità del prodotto che non consente la sua lavorazione in zone lontane dal luogo di produzione. Tale difficoltà ovviamente riguarda l’intera produzione agroalimentare, che spreca fino al 30% della materia prima nell’UE. La  situazione descritta determina enormi perdite economiche oltre ad essere responsabile del 26% delle emissioni di gas serra.

    

Produzione e investimenti

Quindi i due founder di Circular Fiber hanno pensato ad una serie di succursali vicine alle aree di coltivazione e raccolta dei carciofi. Nonostante il progetto sia conveniente e possa effettivamente cambiare il settore, esiste un problema più grande legato ai macchinari. Perché un impianto per la lavorazione degli scarti dell’ortofrutta può costare anche 1.5 milioni di euro a modulo. Questi ultimi sono fondamentali per la trasformazione dello scarto in farina o comunque per produrre altri materiali; quindi, per poter affrontare tale sfida sono necessari anche dei grandi investimenti.

    

I sistemi necessari sono costosi a causa delle caratteristiche dello scarto stesso. Infatti, per produrre la Karshof, serve arrivare ad una fibra secca al 7% di umidità, mentre il carciofo parte da un tasso dell’80%. Per raggiungere le giuste condizioni servono degli essiccatori potenti come quelli del tabacco che eliminano il 75% di umidità in pochi minuti, ma proprio questi sono molto costosi. Circular Fiber ha avuto la possibilità di integrare tali moduli grazie all’investimento di un grande trasformatori della zona, che di recente è entrato nella società. Di certo, non tutti i coltivatori e produttori d’Italia hanno questa fortuna e dunque un diverso utilizzo degli scarti resta una possibilità remota.

    

Spostamenti e sostenibilità

Come anticipato, oltre a tutte le difficoltà citate, in questo settore manca una filiera. Pertanto l’idea dei fondatori di Circular Fiber è quella di far si che la materia possa essere trasformata in zone limitrofe per evitare trasporti lunghi, costosi e inquinanti.

    

Il progetto è quello di produrre farina direttamente nei luoghi di coltivazione e lavorazione dei carciofi, creando così un consorzio di riferimento che consentirà anche di lavorare scarti di altri alimenti.  Così facendo si ridurrebbero gli spostamenti, il tempo e le emissioni di CO2 e i costi legati al carburante e all’energia.

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La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

By : Aldo |Marzo 04, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

La riforestazione è una strategia di compensamento sempre più in voga per varie ragioni, che siano la facilità nel finanziare tali operazioni o i vantaggi ambientali, economici e sociali che ne derivano. Di certo è un sistema necessario per affrontare il cambiamento climatico, rappresenta infatti una soluzione rilevante. Tuttavia, c’è chi si domanda se si tratti ancora di un metodo efficace, che possa effettivamente determinare una riduzione delle emissioni di CO2 dall’atmosfera in modo significativo.

   

Il compensamento

Con la ricerca e lo studio dei cambiamenti climatici, sono nate tante soluzioni per limitare i loro danni e per rallentare la loro avanzata. Infatti, più si va avanti e più si hanno idee per frenare questo imponente cambiamento. Uno tra i tanti, legato alla riduzione delle emissioni di carbonio in atmosfera è il compensamento del carbonio.

   

Il compensamento del carbonio è un approccio fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico. È una strategia che mira a ridurre le emissioni di gas serra per mezzo di varie procedure, tra cui la più scelta, la riforestazione. Un processo per cui si piantano alberi in specifiche zone del mondo, per assorbire CO2 dall’atmosfera, immagazzinandolo nel legno o nel suolo.

    

Sebbene sia una pratica nata per diminuire i gas serra nell’atmosfera, è un sistema che consente di apportare rilevanti benefici all’ambiente. Per esempio, promuove la biodiversità e ne preserva gli ecosistemi, mitiga gli effetti dell’erosione del suolo e contribuisce a ripristinare e proteggere gli habitat naturali.

    

La riforestazione

La riforestazione è una pratica che negli ultimi anni ha subito una crescita significativa e forse in alcuni casi è quasi diventata una moda. Tuttavia, è una strategia di cui si discute già da vari decenni, in diversi contesti scientifici ed ambientali. Di certo ha acquisito ancora più valore e risonanza con l’accentuarsi della perdita di biodiversità e con l’incremento degli effetti del cambiamento climatico. Così nel 1992, con la ratifica della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si include la riforestazione nei meccanismi di mitigazione.

  

Da lì, nell’arco di qualche anno, le aziende di tutto il mondo hanno accolto l’occasione di investire in maniera massiccia in tale strategia. Di seguito sono nate società e startup che hanno facilitato le procedure di questi investimenti e hanno fatto diventare la riforestazione una “cosa” per tutti. In altre parole, chiunque può adottare alberi in tutto il mondo favorendo la crescita di nuovi habitat e non solo. Perché spesso le aziende che si occupano di questa pratica investono anche per quanto riguarda l’ambito sociale ed economico di zone e persone che si occuperanno dei futuri alberi.

   

Insomma, la riforestazione al giorno d’oggi è un’attività alla portata di tutti, in cui si investe sempre più. Ma c’è chi crede che non sia più la strategia più efficace di compensamento per molteplici ragioni che andremo ad analizzare.

    

L’indagine di Runsheng Yin

Il professore Runsheng Yin di economia forestale presso la Michigan State University (USA), ritiene che questo modello di compensamento sia ormai sopravvalutato. Precisamente crede che alcuni meccanismi sovrastimino il loro potenziale di rimozione del carbonio di quasi tre volte. Il docente ha pubblicato di recente un libro in cui spiega cosa sta accadendo proprio in questo settore dal nome Global Forest Carbon: Policy, Economics and Finance. Con il testo curato da Taylor&Francis Group, Yin, afferma che i massicci investimenti fatti in questo senso non sono efficaci come si crede.

   

Quindi, sottolinea la necessità di modificare il metodo di calcolo del valore dei carbon credit. Un sistema che tutt’oggi insinua dubbi sulla sua efficacia e trasparenza, ma sul quale molte aziende confidano, poiché rappresenta un modo facile e veloce di investire nell’ambiente senza troppi pensieri. Infatti, come riporta uno studio pubblicato su Science, la maggior parte dei programmi di conservazione forestale presi in esame dagli autori non riduce in realtà la deforestazione in modo significativo. Mentre quelli che effettivamente hanno un potere di riduzione delle emissioni, presentano delle percentuali molto inferiori rispetto a quella prevista e dichiarata al principio.

   

Successivamente, illustra i risultati di un suo studio sul processo di sequestro e stoccaggio del carbonio di una foresta presentando una “sopravvalutazione” del meccanismo studiato. Infatti, attraverso l’indagine ha verificato che la quantità di crediti di carbonio ottenibili da un terreno sono sovrastimati di almeno 3 volte. Questo perché non si tiene conto degli alberi che verranno tagliati perciò del tempo necessario al carbonio immagazzinato di rientrare in atmosfera ed è importante considerare la finalità di legno come prodotto. Se viene impiegato in altri oggetti o se viene bruciato può reimmettere emissioni nell’atmosfera. Perciò è necessario che il carbonio resti immagazzinato nel legno per un periodo abbastanza lungo da considerarlo “permanente”, perché il credito sia efficiente.

   

Lo studio così mette in discussione modelli non controllati che non considerano le possibili trasformazioni del legname, una volta abbattuti gli alberi. Si tratta di un nuovo concetto che potrebbe portare ad un miglioramento dei sistemi di carbon credit e dunque di un efficientamento del compensamento di CO2 nel mondo.

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UE. Approvata la Nature Restoration Law e introduce sanzioni per gli ecocidi.

By : Aldo |Febbraio 29, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su UE. Approvata la Nature Restoration Law e introduce sanzioni per gli ecocidi.

Quando si tratta di sanzioni e leggi contro i crimini si aprono delle grandi diatribe su cosa è sensato, esagerato, giusto o irrilevante. Sebbene sia un tema molto delicato poiché spesso non si capisce a pieno il testo delle direttive, l’Europa ha deciso di affrontarlo anche nel campo ambientale.

    

I responsabili degli ecocidi

L’ecocidio è un concetto che esprime la distruzione su vasta scala degli ecosistemi naturali, causata principalmente dalle attività umane. Questa rovina può manifestarsi attraverso la deforestazione massiccia, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la perdita di biodiversità e l’alterazione irreversibile degli habitat naturali.  Non c’è dubbio che i responsabili di tali azioni siamo noi, la specie umana, ma è opportuno fare delle precisazioni. Di solito, i soggetti che possono essere giudicati come responsabili di tali scempi sono proprio le grandi aziende e le industrie. Questo perché sono loro che hanno un imponente impatto sul pianeta e che perseguono il profitto a spese dell’ambiente, sfruttando le risorse naturali senza criteri adeguati.  In secondo luogo, sono responsabili anche i governi che promuovono politiche che non tengono conto dell’ambiente e non applicano regolamentazioni efficaci contribuendo all’ecocidio.  

   

Nella storia si sono verificati numerosi ecocidi alcuni dei quali continuano a verificarsi da decenni. Tra questi la deforestazione dell’Amazzonia, la catastrofe nucleare di Chernobyl, del 1986 o l’inquinamento delle grandi città industriali. Anche nell’Unione Europea, i crimini ambientali hanno avuto un impatto significativo su diversi fronti e in varie regioni. Si possono citare, la deforestazione delle foreste primarie in Romania e Polonia, l’inquinamento dell’aria di grandi città come Londra, Parigi e Milano. E ancora le pratiche agricole intensive, principalmente in Francia, Spagna e Germania, e la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee a causa dell’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici.

   

Proprio per evitare che tali fatti avvengano con maggiore frequenza o che possano verificarsi senza sanzioni, l’Europa ha preso provvedimenti. La notizia arriva da Strasburgo, dove il 27 febbraio il Parlamento Europeo ha approvato la nuova legge contro l’ecocidio e a favore il ripristino della natura.

   

La nuova direttiva

È recente la notizia dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo della nuova direttiva contro i crimini ambientali. Per la prima volta si parla di “ecocidi” poiché nel crimine commesso sono presenti una vittima (la natura, gli esseri viventi e la loro salute) ed un colpevole (l’uomo). Con questa nuova definizione aumenta il potere e la responsabilità del diritto penale ambientale che dovrebbe essere distinto da quello amministrativo.

   

È un passo importante quello di martedì 27 febbraio poiché, la criminalità ambientale è la quarta attività criminale più grande al mondo. Per di più la sua crescita è due, tre volte più rapida rispetto a quella dell’economia mondiale ed il motivo principale di tale crescita è la malavita. Ossia, i crimini ambientali, sono tra le principali fonti di reddito per la malavita organizzata insieme al traffico di droga, armi ed esseri umani. Nonostante la direttiva 2008/99/CE avesse introdotto il principio secondo cui i reati ambientali avrebbero dovuto essere combattuti e puniti, non ha raggiunto i suoi obiettivi, dunque la nuova norma potrebbe essere la soluzione definitiva.

    

Crimini, politiche e sanzioni.

Lo scopo della nuova direttiva è quello di progredire verso l’istituzione di un codice di diritto penale dell’Unione in materia ambientale. Di preciso, è una legge sul ripristino della natura che obbliga i Paesi Ue a riportare in buone condizioni il 20% delle aree terrestri e marine degradate entro il 2030, e per tutti gli ecosistemi entro il 2050.

   

Nel testo è presente la lista di tutti i reati ambientali, colpevoli di decesso o gravi danni alla salute delle persone. Tra questi:

  • gli incendi boschivi su larga scala;
  • la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e dei medicinali, tra cui i materiali radioattivi;
  • il riciclaggio delle navi e i loro scarichi di sostanze inquinanti;
  • l’installazione, l’esercizio o lo smantellamento di un impianto in cui è svolta un’attività pericolosa o in cui sono immagazzinate o utilizzate sostanze, preparati o inquinanti pericolosi;
  • l’estrazione e la contaminazione di acque superficiali o sotterranee;
  • l’uccisione, la distruzione, il prelievo, il possesso, la commercializzazione di uno o più esemplari delle specie animali;
  • l’immissione o la messa a disposizione sul mercato dell’Unione di legname o prodotti provenienti dalla deforestazione illegale;
  • qualsiasi azione che provochi il deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;
  • la produzione, l’immissione sul mercato, l’importazione, l’esportazione, l’uso, l’emissione o il rilascio di sostanze che riducono lo strato di ozono, e di gas fluorurati a effetto serra;
  • l’estrazione, lo sfruttamento, l’esplorazione, l’uso, la trasformazione, il trasporto, il commercio o lo stoccaggio di risorse minerarie.

Mentre per quanto riguarda le sanzioni ci sarà una maggiore rigidità. Innanzitutto, saranno puniti i singoli trasgressori, inclusi i rappresentanti e i membri del consiglio di amministrazione delle aziende. Questi ultimi potranno essere condannati fino a 10 anni di reclusione a seconda della gravità del reato. Inoltre, i colpevoli dovranno ripristinare l’ambiente distrutto e risarcire i danni con ammende che potranno arrivare fino al 5% del fatturato mondiale dell’azienda (anche fino a 40 milioni di euro).

  

Per di più, nella direttiva sono stati introdotti dei punti molto importanti che riguardano obblighi e misure di protezione. Pertanto, sono state definite misure precauzionali che obbligano gli Stati membri ad adottare le azioni necessarie per ordinare la cessazione immediata di condotte illecite, senza aspettare i tempi di un processo penale. Un’importante tutela riguarda invece chi denuncia reati ambientali o assiste nelle indagini, che saranno protetti a livello Europeo. Dopo l’entrata in vigore della norma, gli stati dell’Unione Europea avranno 2 anni di tempo per recepirla.

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Pericolo PFAS: grazie ad un fascio di elettroni potremmo bonificare le aree contaminate.  

By : Aldo |Febbraio 23, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Pericolo PFAS: grazie ad un fascio di elettroni potremmo bonificare le aree contaminate.  

La contaminazione di aree o habitat è un problema che ci riguarda semrpe visto che dipendiamo dalla natura per tantissimi aspetti. Purtoppo però, i primi a contaminare l’ambiente siamo noi con le nostre attività, dunque dopo anni di produzioni e abitudini siamo costretti a trovare delle soluzioni ai danni che noi stessi abbiamo creato. L’esempio affrontato nell’articolo riguarda la contaminazione di PFAS delle fonti di acqua potabile e le soluzioni innovative scoperte di recente. 

    
I PFAS

I PFAS, abbreviazione di polifluoroalchiliche, sono una classe di composti chimici oggetto di crescente preoccupazione a livello globale per la loro pericolosità. Sebbene siano impiegati dagli anni ’50, in una vastissima gamma di applicazioni industriali e commerciali, sono la causa di gravi danni alla salute del pianeta. I processi naturali faticano a degradarle dunque, la loro persistenza nell’ambiente e la capacità di accumularsi nei tessuti biologici li rendono una minaccia per la salute umana e l’ambiente.

   

Di preciso, la contaminazione da PFAS è diventata un problema diffuso in tutto il mondo e riguarda principalmente l’acqua potabile, il suolo e gli alimenti. Tutto ciò è causato dagli impianti industriali che li producono dalle discariche, dai rifiuti e i roghi chimici. In Italia diverse città, soprattutto del nord Italia, hanno registrato livelli preoccupanti di PFAS nelle loro risorse idriche, sollevando seri dubbi sulla sicurezza dell’acqua potabile. Anche se ci si muove per la bonifica delle fonti di acqua potabile, resta comunque difficile la gestione efficace e duratura della contaminazione da PFAS.

   

Le tecniche di bonifica

Le tecniche impiegate per la bonifica delle fonti di acqua potabile contaminata da PFAS sono varie. Una di queste è la filtrazione, che avviene grazie all’uso di filtri a carbone attivo che intrappola i PFAS nell’acqua. I filtri funzionano con un processo di adsorbimento, catturando le molecole nocive, mentre l’acqua passa attraverso il filtro stesso. Una seconda tecnica è l’ossidazione chimica che coinvolge differenti agenti chimici e processi fisici volti alla distruzione dei PFAS nella matrice considerata. O ancora i usano ozono e perossido di idrogeno che trasformano quelle molecole in composti meno dannosi o completamente inerti. Oppure si usano membrane a nanofiltrazione e l’adsorbimento su resine ioniche, che possono rimuoverle selettivamente ed efficacemente dall’acqua.

    

Tuttavia, oggi possiamo aggiungere a questa lista, una nuova tecnologia che non prevede il filtraggio o l’utilizzo di agenti chimici. La notizia arriva dai ricercatori del Fermi National Accelerator Laboratory, che hanno usato un fascio di elettroni per distruggere i tipi più comuni di PFAS nell’acqua.

    

La soluzione elettroni

Proprio i ricercatori del Fermi National Accelerator Laboratory sono riusciti a creare con successo una nuova soluzione a questo grave problema. Di preciso, hanno usato un fascio di elettroni per distruggere i tipi più comuni di PFAS come i PFOA e i PFOS. Si tratta di un’innovazione promettente che consente anche di bonificare e mettere in sicurezza grandi volumi d’acqua ad alta concentrazione.

    

In questo caso il laboratorio ha usato campioni d’acqua contaminata forniti dalla 3M, una multinazionale produttrice di molteplici prodotti industriali. La matrice in esame era sigillata in contenitori di vetro borosilicato con un sigillo di alluminio fissato sul vetro con una guarnizione in gomma (priva di PFAS). A quel punto i ricercatori hanno irradiato i campioni con un fascio di elettroni per poi spedirli nuovamente all’azienda 3M. Quest’ultima ha poi verificato che le molecole nocive fossero state distrutte senza rilasciare altri componenti pericolosi.

     

Come annunciato in precedenza, l’esito dell’esame è stato positivo poiché il fascio di elettroni li ha eliminati del tutto. Tale risultato determina la possibilità di bonifica di grandi aree soggette alla contaminazione da PFAS. È ovvio che serva ancora del tempo per fare ulteriori test, usare altri componenti e per ampliare il lavoro, ma si tratta di un’ottima soluzione ad un grave e ingente problema.

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