Il Parmigiano Reggiano continua il suo percorso verso una produzione “green”.

By : Aldo |Febbraio 01, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Il Parmigiano Reggiano continua il suo percorso verso una produzione “green”.

La sostenibilità come soluzione alla crisi climatica è il principio che bisogna seguire per proteggere il nostro pianeta e allo stesso tempo i nostri prodotti. Soprattutto se si parla di alimenti DOP, tipici del Made in Italy, come ad esempio, il Parmigiano Reggiano, sempre più innovativo e “green”.

I cambiamenti che preoccupano

Il Parmigiano Reggiano è un formaggio DOP, nato probabilmente tra il XII e il XIV secolo nella zona tra Parma e Reggio Emilia. Si tratta del prodotto Made in Italy più importato e famoso al mondo, una chicca tutta italiana, parte della nostra cultura e tradizione. Tuttavia, come tanti altri alimenti tradizionali, anche il Parmigiano Reggiano deve confrontarsi con i cambiamenti climatici. In particolare, allevatori ed agricoltori si stanno muovendo affinché, i loro prodotti garantiscano qualità e caratteristiche nel tempo, riducendo il loro impatto sull’ambiente.

Sebbene la ricerca di nuove tecnologie e tecniche produttive del formaggio fosse iniziata anni fa, negli ultimi mesi è cresciuta per molteplici ragioni. Una in particolare riguarda la strategia per affrontare i cambiamenti climatici in modo tale che, la produzione dell’alimento possa continuare senza ostacoli di alcun tipo. Questa attenzione è incrementata soprattutto dopo le alluvioni di maggio nella regione dell’Emilia-Romagna, che hanno portato gravi danni nell’area da essi interessata.

Inoltre, tale evento ha sottolineato quanto sia importante la protezione dell’area di produzione del Parmigiano, una zona molto ristretta ma anche molto vicina ai corsi d’acqua. Si tratta di territorio che comprende Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna alla sinistra del fiume Reno e Mantova, alla destra del fiume Po. Nello specifico l’esondazione unita alle condizioni di siccità del periodo di maggio, hanno avuto ripercussioni sulla produzione del latte. Questo processo è dovuto all’alterazione dei foraggi primaverili e quindi ad una scarsa e inadeguata alimentazione del bestiame.

 

I progetti e le soluzioni

Per affrontare i futuri eventi metereologici estremi e ridurre l’impatto del formaggio, il settore in questione ha applicato delle modifiche nei suoi processi produttivi. Perciò sono state attuate molteplici variazioni che consentono di incrementare la sostenibilità di ogni fase produttiva, garantendo la qualità del prodotto e la protezione del bestiame. Come in altri ambiti, anche qui, la sostenibilità non è rilegata solo ed esclusivamente alla riduzione delle emissioni, ma è un concetto generale e complessivo.

    

Negli anni l’intero ambito si è mosso per limitare gli impatti negativi sull’ambiente, con un occhio di riguardo per le emissioni di CO2. Questo è forse il problema più grande, della produzione, il più additato nelle varie discussioni correlate al riscaldamento globale e dunque alla scelta di diete vegetariane e vegane. Tuttavia, essendo questo un alimento simbolo dell’Italia, è difficile pensare di eliminarlo totalmente dalla nostra tradizione culinaria, o di renderlo “plant based”. Nonostante la nuova direttiva Europea non abbia compreso soluzioni per le emissioni delle filiere zootecniche, l’Italia si muove da anni per la loro riduzione. Infatti, secondo l’ISPRA, dal 1990 al 2021 il sistema zootecnico italiano ha ridotto complessivamente le emissioni di gas serra di circa il 15%. Per precisare la zootecnia incide per il 7,8% delle emissioni. Per rimediare a tale problema agricoltori e allevatori hanno approfondito la questione del biogas. I motivi alla base di questa mossa sono principalmente due:

  • Il 45% delle emissioni del settore agricolo dipende dalla fermentazione enterica delle vacche (che dipende dall’alimentazione);
  • La gestione delle deiezioni produce il 20% delle emissioni

Pertanto, la scelta che si porta avanti da anni è quella di sviluppare impianti di biogas alimentati proprio dai reflui zootecnici. Quindi il metano viene recuperato per la produzione di energia evitando la sua dispersione in atmosfera e limitando anche le emissioni di ammoniaca (-26%).

   

Le innovazioni delle singole aziende

Così, le varie aziende produttrici del Parmigiano Reggiano hanno cominciato ad apportare piccole, grandi modifiche per migliorare la loro impronta sul pianeta. Tutte sono coinvolte da anni in una trasformazione tecnologica per assicurare una maggiore qualità e sostenibilità dell’alimento. Questo è stato possibile grazie ad investimenti con lo scopo di fronteggiare siccità, alluvioni e transizione energetica.

    

Come prima cosa, è stata ridotta la quantità di antibiotici nell’alimentazione, del 43% in 10 anni, a seguito di modifiche che hanno migliorato giorno dopo giorno le condizioni di vita del bestiame. Lo dichiara Paolo Gennari, dell’Azienda Agricola Gennari che ha investito nella tecnologia con l’obiettivo di far vivere il bestiame nel benessere. Come? Con un monitoraggio completo e specifico delle varie condizioni di vita dell’animale e della sicurezza dello stabile in cui si trovano. In questo senso è importante monitorare la temperatura e tenerla costante per tutto l’anno, in modo tale che non ci siano grandi sbalzi anche per il corpo della vacca. Tutto ciò è possibile grazie ai grandi ventilatori applicati nelle stalle, limitando lo stress da caldo, l’aumento di infezioni ed emissioni dell’animale. Altrimenti, in estate le mucche bevono di più e mangiano meno, riducendo la produzione di latte. Un’ulteriore attenzione è rivolta alla fornitura di foraggio, sottoposta ad un rigido protocollo per poter essere somministrato alle mucche. Sulla base di tale regolamento l’Azienda Gennari ha deciso di coltivare direttamente 500 ettari di terreno (vicini gli allevamenti), per un’elevata sicurezza dell’alimentazione del bestiame.

    

Una diversa questione è invece legata alla tutela del territorio, come spiega Nicola Bertinelli, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. L’alimento in analisi è prodotto interamente in montagna. Il 20% della produzione totale ossia 850 mila forme, si è concentrata negli 81 caseifici di montagna che coinvolgono 900 allevatori. Dal loro lavoro di producono ben 4 milioni di quintali di latte. Ciò ha reso possibile il mantenimento di un’agricoltura in zone altrimenti abbandonate, invertendo una tendenza di decrescita che aveva colpito il comparto fino al 2014.

    

Mentre nell’azienda Valserena si sperimenta in modo diverso. Nell’impianto che produce 16 forme al giorno, c’è una grande attenzione verso l’irrigazione e la concimazione e si segue l’intera filiera produttiva. Nei 430 ettari di terreno oltre al foraggio, si coltivano pomodori, cereali ed erbe mediche. Inoltre, è prevista l’installazione di pannelli solari e al creazione di aree umide per il riparo e la riproduzione di uccelli, anfibi e mammiferi. Senza contare la semina “su sodo”, una tecnica per la coltivazione di frumento in terreni non lavorati.

     

Insomma, se questi sono gli impegni e le tecnologie delle aziende produttrici del Parmigiano Reggiano, possiamo dire che il prodotto finale è un Made in Italy speciale. Perché non solo, rappresenta la nostra tradizione, la qualità e la bontà dei nostri prodotti, ma l’impegno in una maggiore sostenibilità di produzione, per proteggere il Belpaese.

 

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