A quanto riportato da un’inchiesta, varie aziende e privati non hanno rispettato le leggi riguardo l’uso di sacchetti in plastica biodegradabile.
Una task force di ricercatori inizierà a breve una ricerca per porre fine a tale questione.

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La legge

A settembre è stato scoperto che in Italia 1 shopper su 4 non rispetta la legge in vigore in Italia.
Infatti dal 1° gennaio 2018, la normativa (sulla base della legge europea 2015/720) impone l’uso di sacchetti biodegradabili e compostabili.

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Il decreto scaturì varie polemiche poiché le buste utilizzate per frutta, verdura e altri prodotti freschi, dovevano essere pagate come un prodotto qualunque.

Non fu chiaro subito lo scopo sostenibile della legge che venne approvata, ma in quanto tale è stata seguita da tutti… o quasi.

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L’inchiesta

Aziende e privati hanno scelto il cambiamento non solo per rispettare la legge ma anche per inquinare di meno. Il problema è che coloro che hanno modificato le loro forniture sono tanti ma non tutti, come conferma lo studio degli ultimi mesi.

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La Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite nel ciclo rifiuti, ha confermato che il 25% delle buste vendute non sono biodegradabili.

Nello specifico sono stati individuati ancora in commercio sacchetti in plastica con diciture o certificazioni false. Si tratta di buste in plastica non compostabile o biodegradabile, vendute come tali. Un vero proprio schiaffo all’ambiente e alla salute dei consumatori.

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La ricerca

Proprio per tali ragioni, è stata avviata una ricerca per rintracciare questi sacchetti e determinarne il livello di illegalità.  Il Cnr-Ipcb di Catania e il consorzio Biorepack pronti per analizzare i polimeri presenti nelle buste selezionate, per bloccare queste attività illecite.

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Il difetto di tali “bioshopper” è una concentrazione elevata di polietilene, un polimero molto economico ma non biodegradabile.

La ricercatrice Paola Rizzarelli dell’Cnr-Ipcb spiega;

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“Lo standard europeo EN13432, fissa la percentuale tollerata del polietilene sotto l’1%. Percentuali maggiori potrebbero infatti compromettere la biodegradabilità e la compostabilità degli involucri”.

La ricerca seguirà due fasi di analisi, (quantitativa e qualitativa) per  stabilire la natura chimica del sacchetto e la quantità di polietilene presente.

In questo modo i ricercatori potranno risolvere una questione non indifferente, che minaccia sia la filiera delle bioplastiche che quella del compostaggio.

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A tal fine è stato scelto il CNR di Catania perchè è l’unico in Europa che ha sviluppato un metodo di intercettazione del polimero. Tanto è vero che da tempo, arrivano richieste di analisi da laboratori e privati dell’Unione Europea.

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Senza dubbio i nostri ricercatori saranno in grado si svelare i nomi di chi crea ulteriori danni all’ambiente e alla salute dei consumatori italiani. Nel frattempo, aspettiamo l’inizio degli studi, che avverrà a gennaio 2023, mentre i risultati verranno pubblicati durante il corso dell’anno.

 

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