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Apulia Regenerative Cotton Project: la moda italiana diventa più sostenibile.

By : Aldo |Giugno 11, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Apulia Regenerative Cotton Project: la moda italiana diventa più sostenibile.

Il settore della moda e quindi quello tessile sono tra gli ambiti con un impatto maggiore sulle risorse del pianeta.

Pertanto, negli ultimi anni è cresciuta la richiesta di materie e processi sostenibili da parte dei consumatori.

    

Partnership

Il 5 giugno si è celebrata la Giornata Mondiale dell’Ambiente e l’EFI ha colto al balzo l’occasione per lanciare un innovativo progetto green.

É nata una collaborazione con la Circular Bioeconomy Alliance (CBA) il Gruppo Armani e la Sustainable Markets Initiative’s Fashion Task Force.

Questo programma si chiama Apulia Regenerative Cotton Project e i suoi lavori sono coordinati dall’EFI*, il CREA** e PRETATERRA.

Tale attività è parte dell’iniziativa Biocities dell’EFI di Roma con la quale si promuovono pratiche sostenibili applicate all’ambiente e la vita urbana.

 

*Istituto Forestale Europeo
**Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e per l’analisi dell’Economia Agraria

   

L’etica del manifesto

Il progetto è incluso nel Regenerative Fashion Manifesto, una realtà che garantisce un impegno dei brand associati, verso la moda rigenerativa.

Questa è un’industria biobased e “climate and nature positive” ossia basata su un cambiamento concettuale a monte della filiera del prodotto.

   

Dunque, le marche che aderiscono al Manifesto si impegnano nella scelta di materiali provenienti da territori precedentemente degenerati. Così facendo riqualificano l’armonia delle popolazioni locali e la loro natura.

In altri casi si parla di pratiche di bioeconomia per potenziare le comunità locali sostenendone la prosperità.

Pertanto, il Gruppo Armani integrerà e rafforzerà la sua strategia di sostenibilità basata su tre pilastri principali “Persone, Pianeta, Prosperità”.

   
Il programma pilota

Il programma si basa sullo sviluppo della produzione di cotone agroforestale e sarà un piano pilota in questo settore.

L’obiettivo è quello di sviluppare il primo sito di cotone rigenerativo agroforestale sperimentale (in Europa), per aumentare la sostenibilità della moda italiana.

Di certo non si tratta di semplice moda ma di tecnologie e metodi scientifici che garantiscono valori tracciabili, resilienti e la sicurezza delle risorse. 

   

In pratica si vuole dimostrare come la sostenibilità possa portare svariati vantaggi nei suoi 3 punti cardine. Dunque, con tale progetto si possono migliorare i servizi ecosistemici, migliorando in primo luogo diversità del paesaggio, il risparmio idrico e la fertilità del suolo.

Di conseguenza si riduce l’impronta di carbonio del processo in esame, quindi il suo impatto ambientale.

   

Fasi di sviluppo

Il piano si sviluppa in più fasi, intraprese a maggio (2023) con la creazione di una piantagione iniziale di 1 ettaro.  Successivamente, dal 2024, è prevista l’espansione graduale che mira alla copertura complessiva di 5 ettari.

Di seguito, i primi 5 anni del progetto saranno seguiti per mezzo di monitoraggi scientifici con i quali saranno valutate le proprietà del cotone.

Ovviamente si verificherà con regolarità l’impatto ambientale di tale produzione, tenendo conto che si tratta di un primo esperimento europeo.

   

Infine, si può affermare che non sia casuale la scelta dei territori pugliesi per un progetto simile. Infatti, la regione gode di un clima mite, di terreni che ospitano più varietà di colture agricole e di importante storia nel settore.

Inoltre, è opportuno ricordare che il cotone sarà reintrodotto, perchè la Puglia vanta una lunga tradizione risalente al XII secolo, abbandonata negli ultimi 50 anni.

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La filiera italiana dell’idrogeno: gli investimenti dell’innovazione.

By : Aldo |Maggio 18, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su La filiera italiana dell’idrogeno: gli investimenti dell’innovazione.

Il cambiamento verso il futuro, l’innovazione e la sostenibilità condividono un obiettivo comune, quello di migliorare la vita di tutti.

Le risorse e le vie per attuare dei processi di transizione ci sono, ma ci vuole la mentalità giusta per cambiare concretamente il presente.
     

L’idrogeno in Italia

Il settore dell’idrogeno viene considerato con un crescente interesse dall’Italia e pertanto rientra nei vettori energetici che rappresenta un modello di energia pulita.

Al momento è l’unico combustibile che brucia producendo vapore acqueo, perciò è definito “green” e sarà uno dei principali protagonisti della transizione energetica.
     

In primo luogo, l’Unione Europea ha deciso di puntare su questo elemento per ridurre le emissioni di CO2 entro il 2050.

Di seguito anche l’Italia ha accelerato gli studi su tale risorsa per poi avviare finanziamenti importanti per sviluppare una filiera tutta sua. Si tratta di un investimento di ben 3.64 miliardi di euro.

        

Lo studio H2IT

L’osservatorio H2IT ha pubblicato i nuovi dati riguardanti i movimenti di questo nuovo settore italiano, confermando la sua crescita positiva.

L’analisi è stata sviluppata in collaborazione con Associazione italiana idrogeno, la Direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo. Alla base 55 imprese, maggiormente PMI tra le quali spiccano anche grandi nomi.

               

Lo studio riporta che la filiera è abbastanza eterogenea per quanto riguarda le dimensioni delle imprese coinvolte.

Tra queste spicca un gruppo con una mission dalle alte potenzialità di innovazione in grado di collaborare in molteplici settori anche a livello internazionale.

La situazione è simile anche per quanto riguarda i brevetti: la metà delle nostre aziende è pronta per l’industrializzazione dei loro progetti.

          

Settori

Come anticipato, i settori in cui l’idrogeno è stato considerato come risorsa verde sono vari, alla pari delle collaborazioni che risultano una tecnica vincente.

In Italia l’idrogeno spazia tra:

 

  • produzione (campo in cui è attivo il 53% del campione);
  • servizi (49%);
  • mobilità (45%);
  • utilizzo (31%),
  • integrazione dei sistemi (29%);
  • Energy Company (29%),
  • trasporto e stoccaggio (25%);
  • sicurezza e certificazione (15%).

Inoltre, per il 71% di tali realtà, un centro di ricerca interno per l’idrogeno è praticamente necessario per l’innovazione; ovviamente si tratta maggiormente di privati.

Negli ultimi 5 anni, 1 azienda su 3 ha ottenuto il brevetto e si è registrato un aumento di occupazione nelle tecnologie produttive dell’H2 all’85%.

           

Collaborazioni

In questo sistema la collaborazione tra 2 o più realtà sembra essere il punto vincente per spingere il più possibile la filiera.

Lo studio infatti dichiara che per il 64% delle imprese, questo modello ha funzionato; ottima anche la partnership con le Università (60%). Per chi va oltre e sceglie collaborazioni con tavoli di lavoro nazionali / internazionali ha avuto un successo del 49%. 

               

Come ogni nuovo settore in crescita, si prospetta anche un aumento dei posti di lavoro altamente specializzati e di una nuova formazione per i giovani.

Per concludere, è lecito ricordare che il nord Italia registra la gran parte dei brevetti, delle aziende e dell’occupazione nel settore.  Ma non per questo, è esclusa la crescita di tali tecnologie anche al sud nei prossimi anni.

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Pompei si riscopre sostenibile: la cittadinanza attiva è la chiave.

By : Aldo |Marzo 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Pompei si riscopre sostenibile: la cittadinanza attiva è la chiave.
Parco Archeologico di Pompei

Pompei, città teatro di uno degli eventi più ricordati nella storia italiana e non solo, oggi è anche un caso di eco turismo.

Da anni è uno dei siti archeologici più importanti al mondo, ed ora da una lezione di sostenibilità italotedesca.

     

Il sito

Pompei, fondata intorno all’VIII secolo a.C.  venne conquistata dai Romani nel III secolo a.C. che contribuirono allo sviluppo della città.

Nei secoli cresce sempre più con una conseguente urbanizzazione, passando da municipium a colonia nell’89 a.C.. Poi nel 79 a.C. con l’eruzione del Vesuvio, la grande città venne “cancellata” lasciando una zona arida che non venne ritrovata per 1700 anni.

Proprio nel 1748 iniziarono i primi scavi per volere di Carlo III di Borbone e nonostante i lavori poco costanti, negli anni si riscoprì la città.

Così nel 1997 diventa uno dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO insieme ai siti di Ercolano e Oplonti, registrando oltre 3 milioni di visite nel 2016.

     

L’evoluzione

Dal 2021, il sito è in mano all’archeologo Gabriel Zuchtriegel,  italotedesco, che ha trovato la chiave per valorizzare sotto vari aspetti gli scavi.

Precisamente, il direttore del parco ha studiato la comunità e il territorio circostante per poter massimizzare l’esperienza turistica e quotidiana nella città romana.

Allo stesso modo però deve affrontare i problemi legati ai cambiamenti climatici e quindi gestire un piano di tutela dell’intera area.

Così, da secoli Pompei vive alla ricerca di un equilibrio tra la conservazione delle opere e la tutela dell’ambiente circostante ad esse.

     

La novità sostenibile

Per quanto detto, il direttore ha scelto di rendere  la città antica più sostenibile per via della cittadinanza attiva e delle nuove tecnologie.

L’idea è proprio quella di coinvolgere non solo i turisti, ma i cittadini della comunità che vive intorno ai 50 ettari dell’area in esame.

Si tratta di vari progetti che includono temi quali risparmio energetico, riduzione degli sprechi, agricoltura e laboratori per bimbi e adulti.

A differenza di altri direttori, Zuchtriegel si chiese cosa potesse fare lui per il territorio che lo ospitava e da quel punto sviluppò il programma.

     

I progetti

I piani sono molteplici e di vario tipo ma vertono tutti sul rendere “verde” il sito archeologico.

Per quanto riguarda il risparmio energetico, si parla di pannelli solari invisibili installati negli scavi.
Ossia, i prodotti della Ahlux Italia, hanno la forma dei coppi di terracotta, ma producono energia elettrica per illuminare gli affreschi.

Nello specifico, questa tecnologia permette di generare luce “rinnovabile” senza danneggiare l’aspetto paesaggistico dell’area. Per ora questi pannelli sono installati sulla Casa dei Vettii, su un thermopolium e sulla Casa di Cerere.

    

Un altro programma è quello dell’eco pascolo di ovini per la bonifica dei prati. Si tratta di un accordo sperimentale che vede partecipe un gregge di 150 pecore di una cooperativa agricola della zona.

In pratica pascolando, le pecore mangiano l’erba (bonificando l’area) e successivamente fertilizzano lo stesso prato con le loro feci. Tale processo consente un’ottima crescita della vegetazione e allo stesso tempo evita la produzione di rifiuti.

     

Sempre sul piano agricolo, è stato pensato un programma per la coltivazione di 60 ettari di spazi verdi con vitigni coltivati con metodi pompeiani.

La sua caratteristica è legata alla collaborazione con le scuole limitrofi al sito che hanno aderito ad attività didattiche all’interno degli scavi. Infatti, i bambini possono creare e curare orti proprio in mezzo alla città antica e sotto gli occhi sorpresi dei turisti.

Inoltre, la collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’università di Salerno, garantisce un monitoraggio continuo dell’area per mezzo di droni.

     

Il sistema accurato permette di creare un database specifico legato alla manutenzione del parco ma soprattutto di segnalare danni o pericoli ove presenti.

Questo metodo serve proprio per intervenire nel minor tempo possibile e mantenere l’intero sito in sicurezza, anche in vista dei cambiamenti climatici.

     

La storia presente nel nostro Paese non deve frenarci dalla creazione di programmi innovativi e sostenibili. Il caso di Pompei rappresenta esattamente la volontà di una popolazione di migliorare la propria città includendo anche uno scavo di 2000 anni.

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Nokia torna in pista con un modello di telefonia sostenibile.

By : Aldo |Marzo 06, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Dopo anni, la Nokia torna sul commercio con una nuova visione del mondo della telefonia.

Un nuovo logo e nuovi modelli cambieranno le sorti del colosso.

    

Il nuovo modello

G22 è il nuovo smartphone della Nokia, unico al mondo nel suo genere. Si tratta del primo telefono al mondo pensato per essere riparato facilmente, rendendolo molto più sostenibile di tanti altri telefoni.

É dotato di un display da 6,5”, memoria interna che può variare tra i 4 e i 128 GB, 3 fotocamere esterne e una interna.

Ovviamente, quelli elencati non sono i connotati di un pezzo di alta gamma ma d’altronde non era quello l’obiettivo della Nokia.

Questo lo si può intuire anche dal prezzo, di soli 189 euro, una cifra tra le più basse nel mercato dei nuovi smartphone.

Ulteriori caratteristiche che lo rendono particolare sono la scocca in plastica riciclata al 100% e la possibilità di ripararlo direttamente a casa.

 

iFixit

Il nuovo prototipo è accessibile ad un’ampia clientela sia per il prezzo che per la possibilità di una durata maggiore.

Grazie alle tecnologie di iFixit (comunità globale volta a promuovere la riparazione dei dispositivi elettronici), si potrà aggiustare il telefono in pochi minuti.

Che si tratti di uno schermo danneggiato, il cambio della batteria o la porta di ricarica piegata, nulla sarà più costoso.

iFixit ha messo appunto un kit di riparazione (probabilmente del costo di 5 euro) che permetterà di poter risolvere delle problematiche comuni in maniera efficiente.

         

I vantaggi

In primo luogo, non si dovrà portare il telefono in assistenza, quindi si risparmieranno soldi e tempo, inoltre si aiuta anche l’ambiente.

Infatti, tra le soluzioni più sostenibili è compresa la riparazione del dispositivo. Poiché ad oggi solo l’1% degli smartphone nel mondo viene riciclato, la possibilità di riparare il proprio, in casa, rende il G22 un modello all’avanguardia.

 

Oltretutto, le tecnologie impiegate consentono alla batteria di durare addirittura 3 giorni, prolungando la vita dello stesso telefono.

Tale peculiarità permette di ridurre le emissioni di CO2 del 26% annuo, senza tenere conto di tutti gli altri passaggi della produzione.

      

Produzione europea.

La Nokia ha un’ulteriore sorpresa nel campo della sostenibilità.

L’azienda avrebbe deciso di portare la produzione in Europa. Il colosso è di proprietà dell HDM Global che ha annunciato tale cambiamento; una scelta di rilievo soprattutto per quanto riguarda il benessere della Teerra.

Questo perchè l’83% delle emissioni riconducibili alla vita di un dispositivo, sono riconducibili alla fase di produzione e trasporto.

   

Per tale motivo, la decisione di spostare le fabbriche in Europa nei prossimi anni garantirebbe un minor impatto sul pianeta.

Altresì, Ben Wood, Chief Analyst di CCS Insight dichiara:

 

… al di fuori del periodo di garanzia, circa metà degli intervistati e possessori di smartphone hanno dichiarato l’interesse a poter riparare il proprio dispositivo a un costo ragionevole e autonomamente in caso di rottura.

 

Sembra così, che l’idea della Nokia possa far breccia nei cuori dei più attenti alla sostenibilità e non solo.

Sicuramente se riuscisse in questa impresa, si cambierebbero le sorti del settore della telefonia, dimostrando quanto le tecnologie siano di aiuto per raggiungere un futuro sostenibile.

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Arrivano a Roma i cestini per la carta “intelligenti”; l’AMA guarda al futuro.

By : Aldo |Febbraio 07, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

In vista di grandi eventi e obiettivi da raggiungere, Roma apporta dei cambiamenti nella città.

     

L’iniziativa

A Roma approdano i cestini della carta “intelligenti” grazie ad un comodato d’uso dell’AMA che cerca di portare una ventata d’aria fresca nella capitale.

L’idea è quella di migliorare la città, che troppo spesso ha ricevuto e riceve critiche per la mancata cura e pulizia di strade e marciapiedi.

Oltre ad essere tra le 9 centri urbani italiani scelti per il programma europeo delle Smart Cities, Roma è prossima al Giubileo. Questo significa che i riflettori saranno puntati sulla città che si dovrà presentare nel migliore dei modi e perchè no, anche all’avanguardia.

  

I cestini intelligenti

I cestini sono stati ideati con un’elevata cura dei dettagli, coniugando sostenibilità, sicurezza, igiene, raccolta differenziata e tecnologia.

Di fatto sono stati creati 2 prototipi che differiscono solo per la capienza. L’impianto di largo Gaetana Agnesi (altezza ingresso Metro B Colosseo), ha una capacità di 240 litri mentre quello nell’area di Fontana di Trevi 120 litri.

   

Tecnologia e sostenibilità sono alla base di questi sistemi. Infatti, il cestino è controllato per mezzo di un’app che segnala quando deve essere svuotato. Il tutto è alimentato da all’energia solare  poiché l’impianto è dotato di un pannello fotovoltaico che fornisce l’energia necessaria anche per la pressa. Presenti anche led e sensori.

Un altro aspetto tecnologico è la pressa interna (azionata dall’energia solare), capace di compattare i rifiuti, riducendone la massa fino a 5 volte.  

  

I nuovi cestoni sono composti di acciaio zincato e “anti intrusione” per evitare spiacevoli episodi avvenuti più volte nella capitale. Per quanto riguarda l’igiene, è stato pensato un pedale per aprire il bidoncino, permettendo ai cittadini di non toccarlo con le mani.

La gestione

Ulteriori dettagli del cesto sono correlati al lavoro svolto dagli addetti dell’AMA, che potranno svuotare il contenitore più facilmente e velocemente.

L’iniziativa avrà una fase di sperimentazione di 4 mesi dei nuovi modelli che  hanno una capacità pari a quella di 7 cestini e questo farà la differenza.

    

Il vicedirettore Generalre dell’AMA, Emiliano Limiti, afferma che si collocheranno a Roma, circa 10 mila nuovi raccoglitori. Sarà un processo di rinnovamento, efficientamento verso una maggiore pulizia e sostenibilità.

L’ente ha curato al massimo i dettagli è ha annunciato che tutta la carta conferita nei nuovi cestini verrà riciclata, nell’impianto dei rifiuti raccolti in strada.

   

Roma dovrà aspettarsi tante iniziative e cambiamenti come questi, visti gli impegni presi con l’Europa.
Tutto ciò che potrà rendere migliore la Capitale, sotto ogni punto di vista, sarà una modifica positiva per il futuro. Migliorerà anche la vita dei  suoi cittadini e dei milioni di turisti che la scelgono come meta ogni anno. 

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torello

“Torello” trasforma 200kg di rifiuti in bioenergia in soli 15 minuti.

By : Aldo |Febbraio 05, 2023 |bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

I rifiuti aumentano e di pari passo aumenta la richiesta di tecnologie avanzate per smaltirli.
Sea Marconi ha lavorato per questo.

Torello

L’impianto, lungo 7 m e largo 1,5 m è in grado di trasformare rifiuti in bioenergia e bioprodotti riducendo costi e tempi.

La sfida di Torello o BioEnPro4TO è quella di riciclare 200kg di rifiuti convertendoli in energia elettrica e biofertilizzante, nell’arco di soli 15 minuti.  Di fatto, la sua caratteristica è quella di poter superare gli impianti tradizionali, che impiegano 90 giorni per lo stesso identico processo.

Il macchinario creato dalla Sea Marconi è stato avviato ad ottobre e presentato il 31 gennaio alla Lavanderia a Vapore di Collegno.

Secondo il fondatore della Sea Marconi, Vander Tumiatti, Torello potrebbe essere “una soluzione integrativa per la produzione di biogas”. Questo sarà possibile per tempi e costi abbattuti grazie alla termochimica e per il fatto che “non ha bisogno di grandi investimenti o infrastrutture”.        

 

Struttura e funzioni

BioEnPro4TO è essenzialmente un progetto di ricerca di elevato livello di maturità tecnologica (TRL7) che può trasformare rifiuti in energia e altro.

Converte parte organica dei rifiuti solidi urbani, le biomasse primarie o residuali (sfalci), i fanghi di depurazione delle acque reflue civili e materiali plastici.  Tutto ciò può diventare energia elettrica, termica, acqua sterilizzata, biostimolanti, biogas, biofertilizzanti, syngas, biochar.

È un sistema che tende all’impatto zero, soprattutto per le tecnologie utilizzate nella sua creazione.

Non a caso, gli scarti subiscono un processo di conversione termochimica, fondamentale per la trasformazione in energia, perchè scalda ma non brucia.

Tra l’altro, l’impianto è capace di comprendere 1500 tonnellate di rifiuti (per anno) garantendo 7500 ore di lavoro all’anno.

Impieghi

I benefici che Torello può offrire sono vari ed essenziali, come la riduzione dei rifiuti in discarica o la produzione di energia verde.

Con tale macchinario si potrebbero risolvere anche i problemi legati al trasporto di rifiuti, una questione molto sentita soprattutto nei centri più piccoli.

Infatti, sono proprio le piccole e medie comunità (fino a 250 mila abitanti) le prescelte per l’utilizzo del sistema.

Ne è un esempio Torino Ovest, dove si gestiscono 112,5 mila tonnellate di RSU (Rifiuto Solido Urbano) e circa 20 mila tonnellate di organico.

Oppure il Comune di Collegno, costretto a portare le sue mille tonnellate di fanghi di depurazione (all’anno) negli impianti di Bergamo e Brescia.

Con un sistema simile si ridurrebbe il bisogno di trasportare determinati materiali e si ridurrebbero i costi di smaltimento e trasporto.  

In aggiunta, l’unità principale di Torello è trasportabile con un camion e può essere installato senza troppe difficoltà.

Finanziamenti

Il programma è stato avviato verso la fine del 2018 grazie ai 6,9 milioni di euro finanziati dalla Regione Piemonte.  Così da creare nuovi posti di lavoro e ha permesso il deposito di 10 brevetti, ai quali hanno collaborato 11 enti, tra aziende e università.

Un’ulteriore punto a favore dell’impianto è il ritorno di investimento che supera qualsiasi altro sistema tradizionale. Si tratta di 1000 euro per tonnellata e un ritorno che potrebbe ammontare al 140%, rispetto al solito 15 o 20%.        

Come sottolinea il fondatore Tumiatti, la volontà è di “produrre di più e meglio, consumando di meno”.

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agrumi

Riciclare le batterie con gli agrumi: è realtà grazie ad AraBat, l’eccellenza italiana.

By : Aldo |Gennaio 26, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Aumentano le eccellenze italiane nel mondo delle tecnologie: spicca la startup pugliese AraBat.    

La startup

AraBat è una startup italiana che ha sviluppato delle tecnologie uniche al mondo, per riciclare le batterie.

Nasce a febbraio 2022 dall’idea di 5 ragazzi pugliesi con dei background simili e lo stesso obiettivo: quello di cambiare il mondo.
     

Come in tanti altri casi, tutto parte da corsi universitari e curiosità verso il mondo della tecnologia. Così AraBat e l’Università di Foggia, firmano un accordo di ricerca e partnership scientifica, permettendo ai ragazzi di realizzare il loro progetto innovativo e sostenibile.

Durante lo sviluppo del loro programma, i fondatori hanno lavorato anche su altri fronti, per poter ricevere un maggiore supporto. Dopo vani tentativi di ricerca di un partener italiano, guardano oltreoceano e riescono ad avere l’appoggio del CEO di Linkedin; un incontro che cambierà tutto.

Con tale colloquio, AraBat ha instaurato una partnership internazionale che le garantisce un’importante crescita, ma soprattutto la possibilità di realizzare un impianto industriale in Puglia.

Da qui il team ha vinto una serie di premi per l’innovazione, anche nazionali, che hanno determinato l’ascesa della società.

Tra i tanti, l’avviso pubblico «Estrazione dei Talenti» di ARTI Puglia, il PIN (Premio Nazionale dell’Innovazione) ed il premio Encubator 2023.

 

La questione da risolvere

AraBat è quindi una delle nuove eccellenze italiane nel settore della tecnologia legata alla sostenibilità: nello specifico si occupa di riciclare batterie esauste.

I ragazzi sono riusciti a rivoluzionare il tipico processo idrometallurgico rendendolo ancora più sostenibile ed efficiente. Come? Con gli scarti degli agrumi.

Solitamente le batterie si riciclano per mezzo della pirometallurgia: un sistema costoso ed inquinante, che elimina anche i non metalli (a causa delle alte temperature).
Recentemente è stata scoperta l’opzione idrometallurgica, che invece, usa temperature più basse e acidi per estrarre i metalli richiesti.
Il problema che sussiste però riguarda l’aspetto ambientale. Per quanto possa essere efficiente, l’idrometallurgia continua a creare alte percentuali di inquinanti secondari responsabili di ulteriori rischi per la natura e la salute.

A questo proposito, AraBat ha sviluppato un metodo innovativo, unico al mondo che ha cambiato le sorti del team.

La soluzione innovativa.

Grazie alla collaborazione con il Facility Center dell’Università di Foggia, l’impresa è riuscita a realizzare un meccanismo all’avanguardia e sostenibile.

Il piano si concentra sul miglioramento delle tecniche già in uso nell’idrometallurgia, con la sostituzione di elementi e materiali.
Dopo lunghi studi, AraBat ha deciso di usare acido citrico (debole) presente negli agrumi, al posto degli acidi inorganici forti, per la lisciviazione. L’acido citrico viene combinato con la buccia d’arancia, che per mezzo di essiccazione e macinatura, fornisce una quantità di cellulosa rilevante per altri step della lavorazione.

Infatti, la cellulosa serve per l’estrazione e un miglior recupero dei metalli: così come gli antiossidanti naturali presenti nello scarto organico.

Grazie a tale procedura, la startup è in grado di restituire vari metalli quali, carbonato di litio, idrossido di cobalto, idrossido di manganese e idrossido di nichel ed altri.

 

Economia circolare

L’azienda non si occupa solo del riciclo di batterie anzi, rappresenta a tutto tondo l’idea di sostenibilità perchè impegnata in più campi.

La missione è quella di creare un commercio di materie prime seconde, riciclate. Come abbiamo visto il team si occupa di batterie a ioni di litio esauste (LIB) e RAEE.
Tale procedura permette di sviluppare un mercato competitivo ed un piano di economia circolare, fondamentale al giorno d’oggi.

Inoltre, AraBat è impegnata nella produzione di energia rinnovabile e in attività di consulenza per la green economy.

L’impresa rappresenta a livello mondiale, un sistema industriale circolare unico e originale. Non a caso, il suo impianto di riciclo è stato definito il più sostenibile nel quadro europeo.

Le startup di giovani come questa possono valorizzare il nostro paese e incrementare il suo livello di sviluppo. Che sia per nuove tecnologie, per la sostenibilità o in ambito sociale, le nuove idee fornite dai giovani, dovrebbero essere valorizzate sempre di più.

Perchè come ci insegna questo caso, possono portare il marchio italiano nel mondo, apportando cambiamenti concreti.

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GREENWASHING

Greenwashing: l’Italia crea una task force per eliminarlo.

By : Aldo |Gennaio 24, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

L’Italia si muove con anticipo rispetto all’Unione Europea ma l’obiettivo è lo stesso: eliminare il greenwashing.

Il greenwashing

Il greenwashing o ecologismo di facciata, è una strategia di marketing errata di molteplici aziende che dichiarano il falso nel settore ambientale.

Con essa i brand dimostrano un impegno finto che hanno rispetto l’ambiente, per attirare i clienti che seguono le pratiche sostenibili.
In sostanza mira a presentare un’azienda proattiva nel settore ambientalista di modo che non risaltino gli eventuali difetti del prodotto.

Al contrario, le aziende che usano il green marketing si definiscono responsabili sociali del ciclo di vita dei loro prodotti. Sono brand che usufruiscono di una comunicazione veritiera e trasparente.

Il greenwashing si fonda quindi su capisaldi, che la TerraChoice Environmental Marketing Inc ha studiato negli ultimi anni. Un brand che fa greenwashing pubblicizza i proprio prodotti con: vaghezza ed etichette false (per mezzo di immagini e parole che creano un pensiero errato).

Nasconde la verità mirando all’esaltazione di un solo dato e non dimostra certificati di terze parti correlati alla sostenibilità del prodotto. Solitamente scelgono l’irrilevanza, la menzogna o il minore tra due mali (vantando una caratteristica che non riduce l’impatto ambientale).

Ormai questa strategia è nota a tutti e non di rado sono state accusate delle aziende per aver usato tale strategia di comunicazione.

I fatti

In Europa è stato effettuato uno studio fino a novembre 2020 che ha dimostrato le percentuali di annunci e dichiarazioni poco chiari delle aziende.

Sono stati analizzati 344 prodotti e il 43% di essi riporta informazioni non complete o non totalmente veritiere. Successivamente, è stato appurato che spesso la compagnia non permette di verificare la veridicità della constatazione riportata nel prodotto: si tratta del 57,5% dei casi.
Il 50% delle volte invece, non è chiaro se le informazioni si riferiscano all’intero prodotto, ad una sola parte o ad uno stadio del ciclo di vita.

 

Proposta UE

Proprio per ridurre tali pratiche ingannevoli, il parlamento europeo proporrà a breve una direttiva contro il greenwashing.

Quest’ultima si baserà sulla Product Environmental Footprint (PEF), uno strumento che esamina l’intero ciclo di vita del prodotto.
L’idea è quella di una direttiva comune applicata nell’unione; tuttavia, saranno i singoli paesi a sanzionare le proprie aziende che non rispetteranno la legge.

Le multe, “efficaci, proporzionate e dissuasive”, saranno quindi rivolte a chi dichiarerà il falso o rilascerà informazioni non chiare. L’importo si valuterà attraverso criteri scelti come la gravità della violazione, il ricavato ottenuto con l’inganno e il danno ambientale causato o potenziale.

In Italia

Anche in Italia sembra esserci la necessità di contrastare l’ambientalismo di facciata e a tal proposito è stata creata una task force peculiare.

L’ISPRA ha fondato il suo organo per combattere il greenwashing, per mezzo di uno specifico monitoraggio degli investimenti legati allo sviluppo sostenibile.
In questo caso si mira alla trasparenza e alla finanza green, per eliminare le attività che possono creare un ulteriore impatto negativo all’ambiente.

Il piano studiato insieme al Forum della Finanza Sostenibile, si basa su idee che circolavano già durante la COP26. Infatti, molti hanno esposto la necessità di avere un documento informativo e valido a livello scientifico, scritto da terzi indipendenti e attendibili. 

Quello italiano, è il primo caso in Europa in cui un ente pubblico ricopre un ruolo istituzionale, legato alla finanza sostenibile.

L’ente è attualmente incaricato di assegnare il marchio Ecolabel UE ai prodotti designati.

Non a caso, più volte, operatori finanziari e autorità di vigilanza hanno chiesto informazioni più dettagliate all’istituto per seguire le direttive europee. È proprio questo il ruolo che avrà la task force, guidata dal Direttore generale Maria Siclari.

Questo processo di transizione è comunque in atto da anni. Nel 2021 entrò in vigore la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), che comprendeva 12’000 imprese europee, di cui 210 italiane.

Tutti questi programmi hanno lo scopo di ridurre se non eliminare tutto quello che riguarda l’inganno e quindi il profitto a discapito dell’ambiente. Con tali mosse, si può agire per un futuro migliore e si può combattere il cambiamento climatico in modo più concreto.

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Gli italiani vogliono una maggiore sostenibilità, soprattutto per il packaging.

By : Aldo |Gennaio 22, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment
packaging

Secondo delle recenti analisi, gli italiani sono sempre più attenti alla sostenibilità dei loro acquisti soprattutto se si tratta di alimenti.


Nomisma

Nomisma è una società di consulenza fondata nel 1981 a Bologna, da un team di economisti aiutati da banche e grandi organismi economici.
L’azienda ha condotto recentemente un’analisi di mercato per determinare la linea di pensiero degli italiani per quanto riguarda il packaging sostenibile.
   

I risultati hanno sorpreso l’opinione pubblica in maniera positiva. Infatti, lo studio seguito dall’Osservatorio Packaging del Largo Consumo di Nomisma afferma che sempre più italiani scelgono di acquistare prodotti con un imballaggio “verde”.


L’indagine

L’analisi ha reso partecipi più di 1.000 persone tra i 18 e i 65 anni che hanno fornito vari input per possibili migliorie nel settore.
Le domande sull’economia, l’idea di sostenibilità dei prodotti e i criteri di scelta durante gli acquisti, hanno creato un quadro completo sul pensiero degli italiani.
   

Per il 35% degli intervistati, la sostenibilità resterà una priorità anche di fronte alla crisi economica che viviamo e vivremo nel futuro. Mentre il 57% non è stato così categorico ma ha risposto positivamente, dichiarando che comunque ne avrebbe tenuto conto.

Il 92% delle persone sostiene che scegliere un prodotto con una confezione green, sia un ottimo punto da cui partire. Tuttavia, il 65% degli italiani, segue concretamente questa idea, dichiarando di aver scelto almeno una volta, un prodotto invece di un altro per via dell’imballaggio.
In più, il 19% delle famiglie ha lasciato dei prodotti perchè privi di una confezione sostenibile.

   

Dopo tali responsi, è stato chiesto cosa gli intervistati intendono per “packaging sostenibile” e anche qui, la risposta è stata univoca.

Le 3 caratteristiche necessarie per definire “sostenibile” una confezione sono:

  • l’assenza di overpacking ovvero di un sovra imballaggio,
  • la riciclabilità del 100%,
  • una quantità minima di plastica.

In merito ai materiali, sono preferiti il vetro (67%) e il cartone per le bevande (59%).

Nonostante ciò, il 76% delle persone richiede una maggiore attenzione in merito all’etichette. Un italiano su 5 conferma la necessità di etichette informative più dettagliate che descrivano il livello di sostenibilità della confezione o del prodotto.

    

In questo caso l’etichetta comprenderebbe ulteriori criteri di scelta del cliente, tra questi:

  • l’origine delle materie prime,
  • le modalità di riciclo della confezione,
  • i metodi di produzione,
  • l’impatto ambientale del packaging,
  • le catene di fornitura e di filiera.

In generale

In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, spesso è difficile scegliere la sostenibilità durante gli acquisti. Tenendo conto che l’inflazione incide sui bilanci dell’88% delle famiglie italiane, quest’ultime hanno deciso di cambiare rotta, per risparmiare.
Nel complesso si sprecano meno energia, acqua e cibo, per il quale si stanno riducendo gli sprechi del 58%.

Inoltre si fa attenzione alle offerte o si rinuncia anche al superfluo. 

  

Questo studio è stato presentato durante la 19a edizione di MARCA 2023: evento creato da BolognaFiere tenutosi il 18 e il 19 gennaio.
La manifestazione, unica nel suo genere, riunisce il business e i prodotti di qualità, i “buyer” e i manager di aziende locali e catene internazionali.

   

Lo scopo della presentazione dell’indagine, in una manifestazione simile, era quello di riportare l’opinione pubblica alle aziende partecipanti. Così facendo, società e imprenditori hanno potuto riflettere e prendere spunto per apportare dei miglioramenti nelle loro produzioni.

   

Silvia Zucconi, responsabile market intelligence & business information di Nomisma, afferma:

 “[…] sta crescendo in modo significativo la sensibilità degli italiani verso l’acquisto di prodotti caratterizzati da un packaging che non solo deve presentare caratteristiche di sostenibilità, ma che dovrebbe anche essere un veicolo per trasmettere valori e informazioni utili a supportare la decisione di acquisto”.

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L’UE mira al primato mondiale nel settore delle batterie.

By : Aldo |Gennaio 14, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, menorifiuti, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

 

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie.
Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie.
Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

               

L’accordo.

Proprio due anni fa la Commissione Europea ha presentato una proposta sul regolamento delle batterie per rendere il loro settore più sostenibile.

La normativa è stata accolta ed esaminata dal Consiglio e dal Parlamento Europeo che hanno raggiunto, all’inizio del nuovo anno, un accordo.

Quest’ultimo rientra nell’ambito della strategia per la mobilità sostenibile e definisce una serie di requisiti che i produttori di batterie europei dovranno seguire.

               

E inoltre mira alla riduzione dell’impatto ambientale che ha l’intero ciclo di vita di una batteria; dall’estrazione delle materie prime alla produzione, fino allo smaltimento.

               

I requisiti delle batterie

L’accordo riporta in modo dettagliato quelle che sono le specifiche che vari tipi di batteria dovranno soddisfare d’ora in poi per essere vendute nell’Unione europea.

               

Innanzitutto, la legge varrà sia per la produzione che per l’importazione di batterie in Europa, siano esse per veicoli elettrici, applicazioni industriali e dispositivi portatili.

Per essere precisi, quelle con una capacità maggiore di 2 kWh dovranno riportare la “dichiarazione dell’impronta di carbonio”. Così facendo verrà certificata la quantità di CO2 emessa durante la loro produzione.  
Oltre a questa etichetta, sarà obbligatorio apporre un QR code, con tutte le caratteristiche della batteria (capacità, prestazioni, durata e composizione chimica).

               

Invece le batterie più piccole (per smartphone) dovranno essere facili da rimuovere e sostituire entro il 2030. Infine, la Commissione valuterà anche la possibilità di bandire le pile non ricaricabili.
          
    

 

Riciclo

Per quanto riguarda il riciclo, sono stati fissati molteplici obiettivi correlati alla raccolta del prodotto e il riuso delle materie prime.

Infatti, è stato stabilito, che le batterie usate debbano essere raccolte senza ulteriori costi per il consumatore. L’obiettivo è di raccogliere il 45% delle portatili nel 2023, per poi arrivare al 73% nel 2030.
Per le batterie dei veicoli elettrici si punta al 61% nel 2031.

               

Gli altri obiettivi comprendono le materie prime; il loro recupero permetterebbe di limare dei rapporti di dipendenza tra nazioni, nati per necessità di produzione.

Nel settore è quindi richiesto il recupero e il riutilizzo del, 85% per il piombo, 16% per il cobalto, 6% per litio e nichel.

               

Politiche

Senza dubbio tali requisiti, obiettivi e regole, sono tra i più rigidi al mondo e pertanto potrebbero migliorare tanti meccanismi, anche quelli del mercato.

Non a caso il capo negoziatore dell’Europarlamento, Achille Variati, è sicuro che le norme europee
               

diventeranno un punto di riferimento per l’intero mercato mondiale”.

Dal momento in cui verrà ratificato l’accordo, le aziende produttrici e importatrici di batterie nel mercato Ue, dovranno seguire una “politica di due diligence”. In questo modo si eviteranno rischi sociali e ambientali dovuti alla produzione dell’oggetto.

Tali garanzie saranno fondamentali calcolando che nel 2030, questo mercato crescerà di 14 volte rispetto all’attuale.

               

Ad ogni modo, il concordato mira anche a cambiare i rapporti tra Paesi nel mondo.
Proprio Cina, Giappone e Corea del Sud sono i maggiori produttori di batterie. In questo caso l’Europa cercherà di ribaltare gli equilibri in tema di sostenibilità, frenando l’enorme potere dell’industria asiatica.

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