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Idrogeno e carburante prodotto dalle foglie artificiali: la nuova sfida.

By : Aldo |Maggio 23, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni |Commenti disabilitati su Idrogeno e carburante prodotto dalle foglie artificiali: la nuova sfida.

Gli obiettivi degli ultimi anni legati alla sostenibilità sono considerati delle vere e proprie sfide all’ultima tecnologia.

Abbiamo visto brevetti di tanti tipi ma evidentemente c’è tanto altro da scoprire e ancora tanti progetti da sviluppare.

     

Le “foglie” artificiali

L’Europa definisce la cosiddetta A-LEAF, come un dispositivo in grado di replicare a fotosintesi in modo da produrre combustibili solari, senza sostanze chimiche.

Al momento il prototipo assomiglia ad una bibita in lattina, che funziona come una foglia di un albero qualunque.

La differenza si incontra nell’aggiunta di acqua e CO2, grazie alle quali il dispositivo produce formiato, composto utilizzabile come combustibile solare.
       

Tale tecnologia potrebbe essere utile per stoccare l’energia solare in eccesso oppure per sostituire gradualmente i combustibili fossili. Trattandosi poi di fotosintesi, si ridurrebbe anche la CO2 o comunque si può immaginare un processo carbon neutral.

Inoltre i materiali usati non sono esattamente i migliori nel campo, ma in questo modo la tecnologia può essere distribuita più facilmente in aiuto alla società.

 

La produzione di idrogeno

Il primo passo in tale campo è stato fatto per la produzione di idrogeno. Il programma sviluppato da un gruppo di scienziati del Politecnico Federale di Losanna ha visto la realizzazione di un nuovo elettrodo per celle fotoelettrochimiche.

Questo dispositivo, trasparente e poroso sfrutta il sole e l’umidità atmosferica per generare idrogeno. Il tutto avviene in celle solari che uniscono la raccolta di fotoni (nei semiconduttori) all’elettrolisi dell’acqua nell’aria.  

Le celle fotochimiche (PEC) sono una grande risorsa per la scienza, poiché consentono di perseguire, migliorare ed incrementare gli studi nell’ambito descritto.

        

Al principio però le celle utilizzavano semiconduttori immersi in liquidi; quindi, erano necessari passaggi più complessi per il loro riscaldamento.

Pertanto, il team di Losanna ha pensato bene si sostituire i liquidi con i gas, nello specifico con l’aria e quindi hanno modificato gli elettrodi.

Solitamente sono composti in carbonio grafitico o materiali opachi che limitano la raccolta della luce, al contrario di quelli nuovi.

Si chiamano elettrodi a diffusione di gas, sono trasparenti e porosi, assorbono più luce solare e massimizzano il contatto con le molecole d’acqua contenute nell’aria.

 

Il combustibile solare

Analogamente l’Università di Cambridge ha portato avanti la sua ricerca fino al raggiungimento dell’obiettivo: creare combustibili liquidi dalla luce solare.

Come riportato nel primo paragrafo, si tratta di un processo che non include composti chimici tra gli “ingredienti”: solo acqua, luce del sole e CO2.

Loro, gli attori per la realizzazione di etanolo puro da aggiungere alla benzina per un pieno delle auto: è la prima generazione di combustioni solari.

     

La peculiarità di questo progetto sta nella produzione di carburanti liquidi multi-carbonio, saltando la fase intermedia in cui si crea syngas.

Questo salto è possibile grazie al catalizzatore a base di rame e palladio, in modo che la foglia produca sostanze più complesse. Tra queste, etanolo e n-propanolo.

 

In conclusione

Entrambi i processi devono essere messi alla prova in altre condizioni, soprattutto se si pensa ad un processo impiegato a livello industriale.

Non è semplice diffondere su larga scala dei dispositivi e delle procedure simili, ma sono sicuramente la prova che c’è ancora tanto da studiare.

Intanto, questo come tanti altri è un passo in avanti per un mondo più verde.

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La filiera italiana dell’idrogeno: gli investimenti dell’innovazione.

By : Aldo |Maggio 18, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su La filiera italiana dell’idrogeno: gli investimenti dell’innovazione.

Il cambiamento verso il futuro, l’innovazione e la sostenibilità condividono un obiettivo comune, quello di migliorare la vita di tutti.

Le risorse e le vie per attuare dei processi di transizione ci sono, ma ci vuole la mentalità giusta per cambiare concretamente il presente.
     

L’idrogeno in Italia

Il settore dell’idrogeno viene considerato con un crescente interesse dall’Italia e pertanto rientra nei vettori energetici che rappresenta un modello di energia pulita.

Al momento è l’unico combustibile che brucia producendo vapore acqueo, perciò è definito “green” e sarà uno dei principali protagonisti della transizione energetica.
     

In primo luogo, l’Unione Europea ha deciso di puntare su questo elemento per ridurre le emissioni di CO2 entro il 2050.

Di seguito anche l’Italia ha accelerato gli studi su tale risorsa per poi avviare finanziamenti importanti per sviluppare una filiera tutta sua. Si tratta di un investimento di ben 3.64 miliardi di euro.

        

Lo studio H2IT

L’osservatorio H2IT ha pubblicato i nuovi dati riguardanti i movimenti di questo nuovo settore italiano, confermando la sua crescita positiva.

L’analisi è stata sviluppata in collaborazione con Associazione italiana idrogeno, la Direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo. Alla base 55 imprese, maggiormente PMI tra le quali spiccano anche grandi nomi.

               

Lo studio riporta che la filiera è abbastanza eterogenea per quanto riguarda le dimensioni delle imprese coinvolte.

Tra queste spicca un gruppo con una mission dalle alte potenzialità di innovazione in grado di collaborare in molteplici settori anche a livello internazionale.

La situazione è simile anche per quanto riguarda i brevetti: la metà delle nostre aziende è pronta per l’industrializzazione dei loro progetti.

          

Settori

Come anticipato, i settori in cui l’idrogeno è stato considerato come risorsa verde sono vari, alla pari delle collaborazioni che risultano una tecnica vincente.

In Italia l’idrogeno spazia tra:

 

  • produzione (campo in cui è attivo il 53% del campione);
  • servizi (49%);
  • mobilità (45%);
  • utilizzo (31%),
  • integrazione dei sistemi (29%);
  • Energy Company (29%),
  • trasporto e stoccaggio (25%);
  • sicurezza e certificazione (15%).

Inoltre, per il 71% di tali realtà, un centro di ricerca interno per l’idrogeno è praticamente necessario per l’innovazione; ovviamente si tratta maggiormente di privati.

Negli ultimi 5 anni, 1 azienda su 3 ha ottenuto il brevetto e si è registrato un aumento di occupazione nelle tecnologie produttive dell’H2 all’85%.

           

Collaborazioni

In questo sistema la collaborazione tra 2 o più realtà sembra essere il punto vincente per spingere il più possibile la filiera.

Lo studio infatti dichiara che per il 64% delle imprese, questo modello ha funzionato; ottima anche la partnership con le Università (60%). Per chi va oltre e sceglie collaborazioni con tavoli di lavoro nazionali / internazionali ha avuto un successo del 49%. 

               

Come ogni nuovo settore in crescita, si prospetta anche un aumento dei posti di lavoro altamente specializzati e di una nuova formazione per i giovani.

Per concludere, è lecito ricordare che il nord Italia registra la gran parte dei brevetti, delle aziende e dell’occupazione nel settore.  Ma non per questo, è esclusa la crescita di tali tecnologie anche al sud nei prossimi anni.

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Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

By : Aldo |Maggio 11, 2023 |Efficienza energetica, Home, menomissioni, menorifiuti, Rifiuti |Commenti disabilitati su Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

Un mondo basato sull’economia circolare dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere in tempi più o meno brevi.

La transizione ad un sistema simile non è semplice, ma come sempre ci sono dei piccoli passi che ci aiutano ad ottenere un buon risultato.

         

Una nuova gomma

Un progetto sviluppato dall’ENEA in collaborazione con l’Università di Brescia propone lo sviluppo di una nuova gomma riciclata adatta alle produzioni industriali.

Si tratta di un prodotto creato per via dell’unione di pneumatici fuori uso e scorie di acciaio: un nuovo esempio di economia circolare.

Nello specifico la gomma derivata dal connubio di questi scarti è adeguata alla creazione di tappetini per l’isolamento acustico o antivibranti.

Dai PFU (pneumatici fuori uso) si può ricavare gomma, acciaio e fibra tessile che possono essere utilizzati nel settore delle infrastrutture, strade ed edilizia.

        

Lavorazione

Il processo pensato per ottenere questo nuovo materiale è costituito da passaggi specifici che garantiscono alla gomma delle caratteristiche uniche.

Per prima cosa, si tratta di una lavorazione a freddo che non prevede l’aggiunta di additivi. I PFU vengono ridotti in polvere, che viene integrata con quantità crescenti di scorie di acciaio.

Così aumenta il coefficiente di rigidità, garantendo una buona compattezza e coesione del prodotto che ottiene anche una maggiore conducibilità termica e buone proprietà magnetiche.

In tal modo si rende utile il materiale per applicazioni in cui è necessaria la dissipazione di calore.

         

Vantaggi ambientali e salutari

Questi fogli di gomma con spessore di 1 millimetro possono migliorare le condizioni dell’ambiente che ci circonda e della nostra salute.

Infatti, oltre ad unire due settori lontani, aiuta il riciclo delle scorie soprattutto in Lombardia, dove coesistono molteplici industrie di acciaio per forno elettrico.

Questo è un settore che ogni anno produce 20.4 milioni di tonnellate di acciaio, di cui il 10-15% è composto da scorie nere. Quindi grazie a tale progetto si riduce il rilascio di metalli pesanti e potenzialmente tossici per l’uomo come il cromo, il molibdeno e il vanadio.

In aggiunta si rende sostenibile il settore degli pneumatici, che produce 435 mila tonnellate di rifiuti l’anno, di cui solo il 20% viene rigenerato.

      

Un problema all’orizzonte

Il riciclo di pneumatici è una delle eccellenze dell’economia circolare italiana che porta alla creazione di gomma per impianti sportivi, strade, infrastrutture ed altro.

Purtroppo, l’Europa ha votato per il bando dell’intaso polimerico nelle superfici sportive quindi, gli impieghi prima citati potrebbero venire meno.

Tale decisione deriva dal fatto che il 90% dei campi da calcio in Europa sono stabilizzati con questa gomma.

Tuttavia, Ecopnenus (consorzio che trasforma 200 mila tonnellate di pfu) dichiara che una legge simile potrebbe creare un grande problema, ambientale economico e sociale.

Pertanto, richiede, insieme a Legambiente di rivedere la normativa approvata, poichè il non utilizzo del prodotto, porterebbe ad una maggiore dispersione di pfu nell’ambiente.

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Ridurre l’impatto ambientale degli impianti frigoriferi in poche e semplici mosse.

By : Aldo |Maggio 08, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Ridurre l’impatto ambientale degli impianti frigoriferi in poche e semplici mosse.
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Ogni giorno si scoprono nuove vie per ridurre l’impatto ambientale delle nostre attività e i relativi costi.

Senza dubbio la continua capacità di innovarsi è una qualità positiva per il mondo, la salute e l’economia di tutti.

      

Bitzer Italia

Il leader mondiale per la produzione di compressori (cuore degli impianti di refrigerazione) si interroga da tempo su come essere più green.

Sicuramente, essendo il maggior produttore di compressori nel settore, può migliorare le tecnologie e efficienza dei suoi prodotti ma può fare molto di più.

   

Per questo, Piero Trevisan, Direttore generale di Bitzer Italia ha da poco diffuso un’infrastruttura digitale per i suoi partner che li aiuti a tal proposito.

L’azienda ha condiviso con il BITZER Digital Network (BDN), una piattaforma che consente ai soci di verificare le condizioni ottimali dei prodotti.

      

Dunque, la piattaforma offre una soluzione semplice per monitorare gli impianti grazie ai Moduli IQ, gestendo ed archiviando le loro informazioni e applicazioni.

Inoltre, per mezzo di questo servizio si possono organizzare interventi di manutenzione veloci, dato che certificazioni, specifiche tecniche e altri dati sono nel sito.

      

Impianti più green

L’idea di un portale per aiutare i partener ad essere più in equilibrio con l’ambiente deriva da un’attenta analisi di Trevisan.

Quest’ultimo crede che il momento storico che stiamo vivendo sia così delicato ma allo stesso tempo proficuo al punto che non si possa perdere tempo.

Non a caso, afferma l’importanza in tale periodo, di ridurre i consumi in modo da diminuire i costi massimizzando però l’efficienza dei propri impianti.

Solitamente i costi più alti sono correlati alle spese energetiche, per questo motivo di consiglia di andare oltre i soliti parametri di valutazione, in caso innovamento.

      

Quindi, se un’azienda volesse cambiare e ridurre il suo impatto dovrebbe prima analizzare il carico termico per individuare le soluzioni. Di questo passo si possono ridurre le dispersioni termiche, minimizzando il carico stesso.

In un secondo momento si procede con la massimizzazione dell’efficienza energetica della macchina, che produrrà solamente il freddo necessario.

     

Tali procedure sono più che fondamentali, se non altro perchè il costo dell’energia è un multiplo di qualche mese fa. Infatti, gli investimenti che riducono il consumo energetico hanno un ritorno particolarmente breve, di conseguenza è il momento migliore per investire nelle nuove tecnologie.

     

Le soluzioni

É importante ribadire che senz’altro ci sono delle linee guida per poter rendere l’industria e il prodotto più sostenibili.

Di norma di procede con la riduzione del fabbisogno frigorifero, modificando carichi termici e le dispersioni, isolando in modo ottimale l’impianto.

Si passa poi alla minimizzazione delle possibili emissioni dirette e si sceglie il refrigerante migliore per il caso (controllando anche il GWP). Infine, si minimizzano le emissioni indirette e dunque si ottimizza il consumo energetico dell’impianto.

Tuttavia, ci sono delle soluzioni che saranno individuali e specifiche caso per caso, che possono essere riscontrate dopo un’attenta analisi del problema.

               

É comunque auspicabile che ogni industria a prescindere dal settore in cui opera, faccia dei controlli periodici dei propri macchinari.

In tal modo, si possono risanare più facilmente e velocemente delle situazioni di minor efficienza o di mal funzionamento.

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Goldman Environmental Prize 2023: ecco i 6 vincitori e le loro imprese.

By : Aldo |Aprile 27, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Goldman Environmental Prize 2023: ecco i 6 vincitori e le loro imprese.

Tra iniziative locali e mondiali, piccoli e grandi cambiamenti nella produzione e una nuova consapevolezza, ci si interessa sempre più all’ambiente.

Ma c’è chi ha combattuto da singolo contro grandi imperi ed è riuscito a vincere per il bene del Pianeta.

    

Goldman Environmental Prize

Il Goldman Environmental Prize rende onore ai raggiungimenti e alla leadership dell’attivismo ambientale nel mondo, ispirando tutti quanti ad essere parte del cambiamento.

È stato ideato per sostenere e riconoscere gli sforzi e le azioni dei singoli per proteggere l’ambiente a loro rischio e pericolo. Nello specifico, vengono premiati coloro che difendono la Terra coinvolgendo le comunità locali, creando un movimento positivo e propositivo.

Il titolo nasce dall’idea del filantropo Richard e sua moglie Rhoda Goldman nel 1989, per dimostrare pubblicamente la natura dei problemi ambientali.

I vincitori vengono annunciati durante una cerimonia che si svolge proprio durante la giornata della Terra, nella Opera House di San Francisco.

      

Oggi

Certamente sono cambiate tante cose dalla prima premiazione nel 1990: dopo 33 anni abbiamo risolto e creato tanti problemi. La cosa chiara a tutti è che bisogna proteggere il pianeta come proteggiamo le persone o i beni più preziosi nella nostra vita.

Di conseguenza c’è chi ha preso a cuore quest’idea rendendola la missione della propria vita, andando anche contro le più grandi realtà del mondo.

Pertanto, con la cerimonia si premiano le “persone di origini ordinarie che fanno cose straordinarie per salvare la nostra Terra”.

          

I vincitori del 2023

  • Zafer Kizilkaya ha collaborato con le cooperative pescherecce turche per espandere la rete di AMP in Turchia per 800 km2 nelle coste Mediterranee.
    Queste aree approvate dal governo turco nel 2020, proteggono interi ecosistemi marini, danneggiati dalla pesca illegale e intensiva e dall’eccessivo turismo. Grazie a tale iniziativa il numero di pesci per m2 è decuplicato mentre i redditi dei pescatori sono aumentati del 400%.
  • Chilekwa Mumba in Zambia, ha denunciato la Konkola Copper Mines per danni ambientali causati nella provincia di Copperbelt, stabilendo un importante precedente legale.
    Per la prima volta, un’azienda viene ritenuta responsabile per i danni ambientali per via dalle operazioni gestite da una filiale in un altro paese.
    Mumba ha vinto contro la Vedanta Resources davanti la Corte Suprema del Regno Unito: di seguito venne accusata la Shell Global per l’inquinamento in Nigeria.
  • Diane Wilson ha seguito lo stesso cammino di Mumba, battendosi contro la multinazionale Formosa Plastics. Ha accusato l’azienda di aver scaricato ingenti quantità di rifiuti tossici plastici nella costa del Golfo del Texas.
    Dopo 34 anni, ha vinto la causa e 50 milioni di dollari registrando un grande record. Ha ottenuto il più grande premio in una causa di un cittadino contro un inquinatore industriale nella storia del Clean Water Act degli USA.
  • Alessandra Korap Munduruku allo stesso modo si è scontrata con la società mineraria britannica Anglo American. Quest’ultima stava rovinando un pozzo di biodiversità importantissimo nella foresta pluviale del Brasile.
    L’azienda nel 2021 ha ritirato 27 domande di esplorazione e ricerca nei territori indigeni, anche se già approvate. La protezione venne estese anche al territorio di Sawré Muybu, il più ricco di risorse minerarie della zona.
  • Mentre Delima Silalahi ha intrapreso un progetto burocratico in Indonesia. Si è battuta affinché 17.824 acri di foresta tropicale venissero affidati legalmente a delle comunità indigene di Sumatra.
    Questo perchè la gestione alloctona di tali aree aveva portato ad una monocoltura di eucalipto mettendo in pericolo la biodiversità autoctona.
  • Infine, Tero Mustonen è riuscito ad essere a capo del ripristino di 62 ex siti minerari e forestali in Finlandia. In tal modo ha potuto trasformare delle zone abbandonate in zone umide e habitat ricchi di biodiversità e di materia organica delle torbiere.

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Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

By : Aldo |Aprile 24, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menomissioni, Rifiuti |Commenti disabilitati su Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

L’economia circolare non ha segreti, ma solo tanto potenziale da scoprire soprattutto per proteggere il nostro futuro.

Spesso, in questo settore, il mare è una base esemplare per molteplici progetti di sostenibilità e salvaguardia della natura.

Dai laboratori universitari

Ancora una volta le startup fondate da giovani studenti hanno la meglio.  Nello specifico Relicta è formata da 5 studenti sardi legati dall’amore per il mare e da competenze acquisite nei loro percorsi di studio.

Si sono conosciuti nel 2017, durante il concorso universitario Contamination Lab, dopo il quale hanno unito idee e studi per il grande risultato. Successivamente nel 2020 è stata fondato il gruppo.

L’impresa, infatti, ha creato un materiale che potrebbe cambiare le sorti del mondo o almeno quelle del Mar Mediterraneo.

Si tratta di una bioplastica, che deriva dal mare nel quale può scomparire: è stata chiamata Relicta come l’azienda ed ha riscosso un grande successo.

La bioplastica

Il prototipo di bioplastica ideato da Davide e Matteo Sanna, Andrea Farina, Giovanni Conti e Mariangela Melino si compone di materiali di scarto.

In particolare, sono stati scelti gli rifiuti della produzione ittica quali scaglie e lische di pesce per produrre plastica di due tipi diversi.

Il gruppo ha infatti sviluppato due modelli, uno flessibile e uno rigido per poterli applicare a vari e molteplici impieghi.

Non a caso Relicta può essere è usata come film per il packaging di alimenti, cosmetici e dispositivi elettronici ma anche col sottovuoto.

In quel caso, si applica per prodotti delicati come mascherine chirurgiche, cibi da conservare e medicinali, poiché le proprietà isolanti restano intatte per 12 mesi.

Inoltre, la pellicola è inodore e solubile in acqua, grazie alla sua base naturale e ai processi a cui viene sottoposta la materia prima.

L’economia circolare

Anche Relicta, come tanti altri progetti, nasce dal recupero di “rifiuti”, in questo caso scarti di produzione ittica. Il gruppo di studenti ha pensato di produrre la pellicola con materie derivanti dall’acquacultura che garantisce un grande quantitativo di scarti utili all’azienda.

Pertanto, si rifornisce da una multinazionale di salmone, che utilizza la stessa biopellicola per il suo packaging. Al momento, l’impresa può ottenere 300 g di bioplastica da 1 kg di scarti che vale tra i 0,20 € a 1,5 €, quindi i margini di guadagno sono elevati.

Resta comunque la caratteristica migliore, la sua capacità di decomposizione in acqua nell’arco di 20 giorni. Di questo passo, la bioplastica creata dal mare può scomparire nel mare senza lasciare traccia o produrre danni, favorendo l’economia circolare di cui abbiamo bisogno.   

La startup ha una missione, quella di essere parte della soluzione al grande problema dell’inquinamento scaturito dalla plastica.

Senza dubbio, Relicta può raggiungere il suo obiettivo anche grazie al finanziamento di 500 mila euro. L’investimento arriva dalla Scientifica Venture Capital insieme all’acceleratore di startup Terra Next (nell’ambito della Bioeconomia) e Vertis SGR attraverso il fondo Venture 3 Technology Transfer.

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“Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

By : Aldo |Aprile 18, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su “Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

Come accennato in un precedente articolo, Roma è stata selezionata tra le Città smart incluse nella “Cities Mission” del programma Horizon Europe.

È la città più verde d’Europa e ogni giorno sembra portare alla luce nuovi spazi naturali, fondamentali per la salute umana e la biodiversità.

Roma diventa green

Vari quartieri romani stanno vivendo una rivoluzione green, dimostrandosi al passo con i cambiamenti del secolo.

Precisamente sono stati avviati dei progetti legati agli importanti corridoi ecologici che possono migliorare la salute mentale e fisica dell’uomo e la biodiversità nel centro.

Roma quindi si veste di verde ma con abiti diversi proprio per portare avanti nuovi ideali e piani per la sostenibilità. Si parla del Bosco urbano, lo Zen garden e la Green Island.

Bosco urbano

Un progetto “di evoluzione e rigenerazione urbana” incluso nel programma eUrban, che unisce natura, business e architettura.

Il bosco si posiziona all’ombra della torre EuroSky e del centro commerciale Euroma2, in una piazza tutta da scoprire quasi come piazza Gae Aulenti.

L’area, chiamata “Bosco Transitorio” o “The Moving Forest” è nata in collaborazione con l’Orto Botanico di Roma, miglior alleato per tale piano.

Il disegno prevede la presenza di 400 alberi e oltre 50 arbusti che dovrebbero assorbire circa 250 tonnellate di CO2. Inoltre, consentirebbero il recupero delle polveri sottili e l’abbassamento di 2,3 gradi della temperatura.

Le decine di specie coinvolte spaziano tra grandi varietà andando oltre la macchia mediterranea. Si va dalle roverelle ai corbezzoli, dagli aceri agli olmi, e sono compresi anche meli, ciliegi e pioppi bianchi

 

Il giardino zen e la galleria d’arte.

Vicino al tesoro della piazza nel quartiere finanziario di Roma si possono ammirare un giardino zen e una galleria d’arte contemporanea “en plein air”.

“L’Italian zen garden” è costituito di erbe officinali e aromatiche come timo, calendula e issopo ed è affiancato dall’arte del “The Walkaround Gallery”. Un’installazione pubblica che include 182 opere di 12 artisti internazionali che si snoda per 400 metri nell’area pedonale della piazza.

Questi primi 3 progetti sono stati ideati per conto della Silver Fir Capital con GWM Group per riqualificare il quartiere dei grattacieli. L’idea, in collaborazione con l’artista e co-founder dell’agenzia di comunicazione Arkage, Ria Lussi, crea il connubio perfetto tra architettura, sostenibilità e arte. Senz’altro sarà un’area a favore della biodiversità locale.

 

“Green island” o “Bosco verticale”

Oltre alle 3 novità appena descritte, ce n’è un’altra che richiama il bosco verticale di Milano. Sorge infatti sulla via Ostiense il nuovo rettorato di Roma Tre, definito la “green island” dell’Eur, in piazza dei Navigatori.

La struttura è vicina all’ex velodromo olimpico e si estende per ben 13.200 m2 con una specifica caratteristica: la massiccia presenza di vegetazione.

L’architetto, Gennaro Farina ha unito spazi ampi e aperti con la natura, formando così 16 giardini pensili in tutti i piani. I 4 patii interni (dotati di alberi) rinfrescano lo stabile, mentre i giardini assorbono la CO2 emessa dal traffico.

In pratica, la flora svolge più funzioni riducendo costi ed emissioni per il riscaldamento e il raffreddamento degli ambienti, senza tralasciare l’estetica del palazzo.

Senza dubbio l’edifico rappresenta l’edilizia di ultima generazione, attenta ai nuovi standard di sostenibilità e con una forte impronta ecologica.

 

Il verde e la mental health

Il piano dell’architetto non mira solamente all’ecologia ma anche al benessere dell’uomo; infatti, dopo il covid, molte persone hanno sviluppato un forte legame con la natura.

Pertanto, è sempre più frequente l’associazione della salute fisica e mentale con il verde. Di conseguenza lo stabile presenta dei dettagli ideati proprio su questo connubio, praticamente necessario dopo la pandemia.

Quindi nel nuovo rettorato, lo spazio di lavoro sarà sia interno (come un normale ufficio) che esterno, nelle terrazze ricche di vegetazione.

Gli uffici sono capaci di ospitare ben 1300 persone mentre la struttura gode di 200 posti auto. Il tutto è arricchito dalla lucentezza dell’alluminio trattato con vernici color bronzo, che ricopre il palazzo.

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Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con la stessa struttura.

By : Aldo |Marzo 27, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, menorifiuti |Commenti disabilitati su Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con la stessa struttura.

Il solare rappresenta una delle fonti rinnovabili di energia più comuni e diffuse al giorno d’oggi.

Tuttavia, i due metodi distinti che lo caratterizzano, hanno una base comune che garantisce dei benefici per l’uomo senza creare danni all’ambiente.

    

Termico e fotovoltaico

Prima di tutto è fondamentale ribadire che il termico e il fotovoltaico sono due tecnologie che sfruttano l’energia solare in due modi diversi.

I pannelli solari termici sono in grado di usare l’energia del sole per scaldare l’acqua ad uso domestico o per l’impianto di riscaldamento. Mentre i pannelli solari fotovoltaici sono capaci di convertire l’energia solare in energia elettrica.

In entrambi i casi, la fonte energetica è il sole, quindi i pannelli sono costruiti con delle variazioni a seconda della loro funzione. Tuttavia, negli anni, sono stati studiate varie strutture nelle quali concentrare tali unità per rendere efficace ed efficiente la produzione di energia rinnovabile.

Così sono state costruite delle torri solari, con l’obiettivo di produrre più energia usando il minor spazio possibile.

   

Torre solare

È un sistema di produzione energetica fondato sul concetto della serra e si compone di un parco di unità trasparenti, che circondano la torre stessa.

Alla base è posizionato il collettore: un piano di pannelli di vetro o plastica (aperto all’estremità) dove l’aria viene riscaldata dai raggi solari. In questo modo si crea l’effetto serra necessario.

Il collettore è collegato alla torre, alla quale convoglia l’aria calda e fredda, fino alla sommità insieme affinché si crei una corrente d’aria nel complesso.

Infine, le turbine tra le due strutture vengono attivate dalla corrente d’aria creando energia elettrica.

Il vantaggio deriva dal fatto che il calore può essere trasmesso dal suolo o dall’acqua sottostante i vetri, nelle ore successive (massimo 24 ore).

      

Torre solare a concentrazione

Tra i vari modelli realizzati, spiccano delle varianti che presentano una struttura simile, con qualche differenza nelle componenti o nel funzionamento.

Un esempio è il progetto tedesco HelioGLOW che è riuscito ad ottimizzare il solare a concentrazione. Si tratta di un impianto con un campo di specchi (eliostati) che circondano la base della torre, sulla cui sommità si trova un ricevitore.

Quest’ultimo contiene un fluido termovettore che viene riscaldato grazie ai raggi solari riflessi dagli specchi. Successivamente viene accumulato e inviato verso il generatore di vapore a cui cede il calore.

Il materiale in questione può scaldarsi anche oltre i 1000°C ed è sostenibile, poichè non corrosivo e prodotto per mezzo del riciclo.

Il progetto creato dal Fraunhofer ISE (Institute for Solar Energy Systems) è in grado di aumentare la resa e abbassare i costi di tale strumento.  Inoltre, è considerato come una delle soluzioni più potenti nell’ambito del concentrating solar system (CPS).

    

Torre fotovoltaica

Un secondo esempio arriva dalla Three Sixty Solar, azienda canadese che ha creato la torre che resiste agli uragani di categoria 1.

Difatti, oltre ad essere un’ottima struttura per produrre energia usando il 90% di suolo in meno, è pensata per la massima resa.

I pannelli posti in verticale non hanno bisogno di una pulizia costante (come quelli in orizzontale) nè dai rifiuti, nè dalla neve. Tale caratteristica fa sì che i moduli non subiscano variazione di tensione o corrente.

In più la torre è stata pensata per essere collocata nei paesi in cui il sole non è sempre disponibile, senza apportare cambiamenti dannosi all’ambiente.

La sua principale qualità è la resistenza a condizioni meteo particolari: nello specifico resiste a venti fino a 135 km/h, forti piogge, neve e grandine.  

       

Le torri solari sono l’ennesimo esempio di come la produzione energetica rinnovabile possa comportare benefici all’uomo evitando un impatto negativo sull’ambiente.

Sicuramente ci sono tanti aspetti delle nuove tecniche che devono essere migliorati, ma la soluzione è davanti i nostri occhi.

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IPCC: l’ultimo rapporto non presenta scelte. Agire ora è la soluzione.

By : Aldo |Marzo 21, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su IPCC: l’ultimo rapporto non presenta scelte. Agire ora è la soluzione.

L’atteso rapporto IPCC è arrivato ed ha colpito il mondo intero. Sicuramente i dati non sono positivi, ma la fiducia è riposta nell’uomo e nelle sue soluzioni.

  

Report

Il nuovo rapporto sul riscaldamento globale era atteso da ormai nove anni ed è finalmente arrivato come un pugno nello stomaco.

Il report firmato da migliaia di scienziati è definito come la nuova ed ultima guida (per i governi) per cambiare rotta.

Conclude il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) unito al rapporto di Sintesi (Syntesis Report – SYR), che includono risultati di altri lavori. Tra questi, “Le basi fisico-scientifiche” (2021), “Impatti, adattamento e vulnerabilità” (2022), “Mitigazione dei cambiamenti climatici” (2022).

E di tre rapporti speciali “Riscaldamento Globale di 1.5”, (2018), “Climate Change and Land” (2019), “Oceano e Criosfera in un clima che cambia” (2019).

Questo ciclo di studi si è protratto per otto anni, terminando proprio domenica 19 marzo in Svizzera con l’approvazione del Rapporto di Sintesi.

    

Previsioni

Il report si indentifica come una guida per i governi dei 195 Paesi membri delle Nazioni Unite e manda un chiaro segnale al mondo.

Infatti, conferma che le emissioni di gas serra (originate dalle attività umane) siano le responsabili della crisi climatica che stiamo vivendo. Ma allo stesso tempo dichiara la possibilità di invertire la rotta, per poter mitigare il drastico cambiamento in corso.

Se non si cambia direzione le previsioni sono negative per l’intero pianeta. Ma sono chiari da tempo i possibili effetti del cambiamento climatico e quali siano le condizioni di base per poterli innescare.

    

Misure

Il documento quindi riporta le misure chiave per poter invertire la rotta e limitare i danni di tale fenomeno.

Difatti è affermato con sicurezza che esistono opzioni “multiple, fattibili ed efficaci” disponibili ora, quindi nessuno può tirarsi indietro.

Si tratta di un un’ampia varietà di soluzioni anche a livello intersettoriale: la prima in assoluto riguarda il taglio delle emissioni di CO2.  Tra le varie transizioni serve principalmente quella energetica, dal fossile alle rinnovabili, seguita da altri accorgimenti.

La gestione sostenibile (e protezione) delle foreste e dell’agricoltura, per assorbire CO2 e migliorare i servizi ecosistemici quindi le condizioni di vita di molte popolazioni.

Fondamentale anche lo sviluppo resiliente al clima, poiché le strade sostenibili possono effettivamente garantirci un futuro migliore.

Le tecnologie pulite legate all’energia, minori emissioni di carbonio e quindi un efficientamento dei più importanti servizi ai cittadini, migliorerebbero la vita di tutti. Dunque si punta ad un benessere complessivo, quindi ambientale e sanitario.

Insomma, bisogna considerare tutte le strade possibili, al massimo delle loro capacità, per frenare questo grande problema.

      

Politica

Il lavoro dell’IPCC non è solo un documento scientifico, ma ha infatti ha anche un contenuto politico perché è stato revisionato ed approvato dai delegati di tutti i 195 Stati membri.

É certo che il cambiamento di ognuno di noi possa fare la differenza, ma non c’è dubbio che il grande lavoro debba essere svolto dalla politica.

Non a caso un grande conflitto che non permette una progressione positiva, è proprio quello tra i paesi più ricchi e quelli in via di sviluppo.

I primi, hanno letteralmente scaturito la crisi climatica, mentre i secondi che hanno bisogno di uno sviluppo industriale ne stanno pagando le conseguenze.

Inoltre, è fondamentale la questione degli investimenti portati avanti dai governi rispetto a tali transizioni. Purtoppo ancora non raggiungono i livelli adeguati a trasformare le politiche ambientali, quindi rimane un’altra questione aperta, da risolvere velocemente.

    

Agire ora

Per tale motivo, il report ribadisce l’importanza di “agire ora”. Non si può aspettare un minuto, visto che  questo sembra essere il decennio definitivo, dopo il quale sarà sempre più difficile cambiare rotta.

Quindi è d’obbligo lo stop immediato ai combustibili fossili e il via a dei finanziamenti per le aree più vulnerabili. Se non altro serve dimezzare le emissioni nell’arco dei prossimi 7 anni, per mantenere il target di Parigi di +1,5 gradi.

   

Proprio Guterres avanza: 

“Chiedo agli amministratori delegati di tutte le compagnie petrolifere e del gas di essere parte della soluzione, presentando piani di transizione credibili, completi e dettagliati in linea con le raccomandazioni del nostro gruppo di esperti ad alto livello sugli impegni net zero”.

 

Dunque, anche se la realtà è abbastanza minacciosa, nessuno ha parlato di una vera e propria fine, anzi.

C’è speranza nella collaborazione internazionale, soprattutto nelle soluzioni già presenti per lo sviluppo resiliente, e socialmente accettabili. Serve un vero e proprio salto di qualità nell’azione per il clima, facendo particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili.

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Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

By : Aldo |Marzo 20, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

Dal 2018 esiste il World Clean Up Day che si svolge nel mese di settembre per ripulire la natura dai nostri rifiuti.

Ma qualcuno ha pensato bene di occuparsi anche dei rifiuti “invisibili” e di sensibilizzare il mondo intero.

    

L’evento

Il 18 Marzo si è svolto il Digital Clean up Day, ovvero una giornata rivolta alla sensibilizzazione per quanto riguarda i rifiuti digitali.

Questo evento è stato pensato a seguito di attenti studi correlati alla quantità di dati conservati nei server e l’inquinamento che ne deriva.

Un problema sottovalutato che è stato riportato a galla da World Clean up Day France che lanciò l’iniziativa nel 2020 come di Cyber World CleanUp Day.

Difatti l’invito avanzato è quello di dare una seconda vita ai dispositivi digitali, ripulire le loro memorie e di non inviare mail e messaggi superflui.

Tale iniziativa è stata condivisa (per ora) da 91 paesi in tutto il mondo.

    
Inquinamento digitale in cifre

I dati che girano nella rete sono infiniti, ma essendo numeri e codici chiusi in un mondo invisibile, non vengono presi in considerazione come rifiuti.

In realtà, messaggi, mail, video, foto e lo streaming hanno un costo molto elevato che solitamente viene ripagato a spese dell’ambiente.

In Italia l’evento è stato condiviso dal presidente della no-profit “Let’s do it Itay”, Vincenzo Capasso, che ha condiviso un elenco dettagliato di dati importanti.

Gli esempi riportati riguardano il mondo dello streaming, le e-mail e la messagistica e le emissioni di CO2 legate a tali attività.

     

Infatti, se 70 milioni di abbonati in streaming, riducessero la qualità dei video, si taglierebbero mensilmente 3,5 milioni di tonnellate di CO2 .

Tale cifra è pari al 6% del consumo mensile di carbone negli USA, si tratta quindi di un inquinamento abbastanza rilevante.

Ancora, le e-mail sono un altro fattore importante al centro di questa situazione.

Secondo le analisi il 60% delle e-mail non viene aperto, e di norma ne vengono inviate 62 trilioni in spam. Per questo si consiglia di disiscriversi dalle mailing list per evitare di creare nuovi dati superflui che verranno tenuti nel server per mesi. 

    

Si citano anche le videochiamate: mezzo di comunicazione che favorisce gli incontri a distanza, sempre più in voga soprattutto dopo la pandemia.

È stato stimato che se un impiegato segue 15 ore di riunioni online, con la videocamera accesa, emette 9,4 kg di CO2 al mese. Mentre solo spegnendo la videocamera, si ridurrebbe la stessa quantità di emissioni create dalla carica notturna di un telefono per tre anni.

  

Anche i bitcoin hanno il loro ruolo, poiché il mining, richiede tanta energia quanta quella consumata in Nuova Zelanda in un anno.

     

Consumo energetico

Ovviamente non si parla solo di emissioni di gas serra ma anche del consumo di energia legato a questo settore.

Non a caso tutti questi “rifiuti digitali” si trovano nei backup dei server, che con i servizi di cloud usano costantemente energia elettrica.

Per esempio, Google, usa 15.616 MWh di energia al giorno, che sono più di quelli prodotti dalla diga di Hoover. In pratica Google potrebbe alimentare un paese di un milione di abitanti per un giorno.

Forse il problema più grande sta nel fatto che internet è alimentato principalmente da combustibili fossili. Quindi foto, video, click, email ecc superflui, oltre allo streaming passivo, determinano l’emissione di 870 milioni di tonnellate di CO2 .

    

In conclusione, il mondo del web è immenso e allo stesso tempo invisibile si nostri occhi, ma grazie a tali studi lo conosciamo in maniera più approfondita.

Sarebbe auspicabile quindi che ognuno cambi ulteriori abitudini ma ancor di più che si sensibilizzi il mondo intero su questo argomento così importante.

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