Rifiuti

Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

By : Aldo |Novembre 05, 2023 |Arte sostenibile, Home, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

Non è raro che per una maggiore sostenibilità si torni alla natura. Spesso molte innovazioni si rifanno a processi e dinamiche naturali, consentendo una nuova valorizzazione di Madre Terra e i suoi sistemi. Purtoppo però, senza degli studi, delle legislazioni o dei monitoraggi opportuni, anche quello che è naturale può causare danni irreparabili.

   

La produzione di gomma

La gomma naturale (o caucciù) deriva dal lattice, estratto da piante tropicali, tra cui la più importante, la Hevea brasiliensis (o albero della gomma). Conosciuta e importata in Europa dal Sud America fin dal Settecento, oggi se ne producono circa 20 milioni di tonnellate all’anno. Si riscontra in percentuali diverse in un’ampia varietà di oggetti, tra cui pneumatici, suole di scarpe, cancelleria, elastici, guaine isolanti per i cavi, elettrodomestici. E ancora profilattici, palloni e palline da sport, guarnizioni di motori, protesi, guanti usa e getta.

   

Recentemente, per una combinazione di vari fattori, la produzione non riesce più a far fronte alla domanda globale. Questo ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di materiali simili, incrementando la produzione di una gomma sintetica, che ovviamente ha un impatto ambientale negativo. Per questo e per le sue fondamentali caratteristiche è difficile allontanarsi dalla produzione naturale, che tuttavia arreca danni al pianeta con ritmi sempre più elevati.

    

La materia prima sta finendo

L’albero della gomma, originario del Rio delle Amazzoni, oggi si trova esclusivamente in Thailandia, Indonesia, Malesia, Cina e Myanmar e in Africa occidentale. Dagli anni ’30 infatti, la sua coltivazione in America Latina si arrestò a causa di un parassita che ne ostacolò la crescita. L’infezione potrebbe arrivare anche in Asia e in Africa grazie all’intensificazione del cambiamento climatico che ha già arrecato danni in Tailandia. Infatti, lunghi periodi di siccità e gravi alluvioni hanno favorito la diffusione di patogeni e malattie delle piante, che hanno ridotto la produzione.

 

Tali meccanismi non sono poi aiutati dal mercato, che negli ultimi anni ha mantenuto basso il prezzo della gomma.  Quest’ultimo è fissato dallo Shanghai Futures Exchange (SHFE), dunque le speculazioni sul valore della gomma, sono spesso slegate dalla realtà nelle piantagioni. Così per incrementare i profitti, gli agricoltori sono indotti a sfruttare eccessivamente gli alberi, incidendo il tronco più a fondo e più volte. Così facendo, hanno esposto le piantagioni ad un progressivo indebolimento e una maggiore vulnerabilità rispetto alle malattie che determinano una minore produttività.

   

Per non parlare della tendenza di convertire le coltivazioni di Hevea in quelle più redditizie, colpevoli delle deforestazioni e perdita della biodiversità.

     

La deforestazione

Purtoppo come spesso accade, questo tipo di attività non sono seguite dalle istituzioni, o non sono regolamentate in modo opportuno. Queste falle del sistema incrementano l’abbattimento di intere foreste, causando danni globali e irreversibili. Nature ne parla nel suo nuovo studio, affermando che dal 1993 le piantagioni hanno distrutto 4 milioni di ettari di foresta del Sud-est asiatico. Nello specifico, la ricerca conferma che le coltivazioni di Hevea brasiliensis, hanno spazzato via un’area due, tre volte superiore a quanto stimato in precedenza. Pertanto, è uno dei principali rischi per gli ecosistemi della regione.

     

Nel 90-99% dei casi, la deforestazione è legata alla produzione di materie prime da esportazione, con filiere non regolamentate o controllate dagli enti predisposti. Risulta dunque fondamentale, lo sviluppo di strategie di prevenzione ad hoc che aiutino a preservare uno dei più importanti ecosistemi del Pianeta.

   

L’analisi dimostra che 1 milione di ettari di tali aree, sono importanti hot-spot di biodiversità. In particolare, le piantagioni di gomma hanno provocato la maggior deforestazione in Indonesia, seguita da Tailandia e Vietnam. Lo studio così afferma che le normative e le iniziative messe in campo dalle nazioni del Sud-Est asiatico sono poco efficienti, perché basate su dati imprecisi. O meglio, dati che sottostimano fortemente il problema.

    

In conclusione

La situazione è dunque complicata poiché, le infezioni, il mercato e il cambiamento climatico, ostacolano la produzione di gomma naturale. Quest’ultima da anni è causa di una crescente deforestazione che mette a rischio l’ambiente delle aree prima citate. Usare a gomma quella sintetica è una soluzione presa in considerazione di recente che tuttavia incrementerebbe l’impatto dell’industria sul pianeta.

    

Per questo si richiedono nuove leggi, maggiori studi e monitoraggi delle coltivazioni. Infine, sarebbe importante rendere tali filiere sostenibili, istituire organi e normative efficienti, per ridurre l’impatto ambientale della produzione descritta.

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Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

By : Aldo |Ottobre 26, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

Nonostante le nuove misure riguardanti i rifiuti, lo smaltimento e il riciclo, c’è ancora tanto da fare. Pertanto, l’Europa si è mossa nuovamente per proporre una nuova direttiva, che purtoppo non piace all’Italia.

   

Il quadro europeo

Ogni anno nell’UE si producono ben 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti di cui più di un quarto (il 27%) è rappresentato da rifiuti urbani. Viste le cifre è abbastanza semplice affermare che i paesi più ricchi tendono a generare più rifiuti per abitante. Questo è confermato dagli studi che hanno descritto una specifica condotta dei vari paesi membri. Per esempio, tra il 2018 e il 2021 i rifiuti urbani per abitante sono diminuiti a Malta, Cipro, Spagna e Romania. Mentre sono aumentati, toccando i picchi più alti in Austria, Lussemburgo, Danimarca e Belgio. I numeri più bassi sono stati registrati in Spagna, Lettonia, Croazia e Svezia.

    

Se invece si restringe il campo ai soli rifiuti da imballaggio, la situazione non sembra migliorare. Secondo le statistiche, nell’ultima decade la situazione è peggiorata passando da 66 milioni di tonnellate di rifiuti da imballaggi nel 2009, a 84 milioni nel 2021. Un aumento di grande rilevanza che ha culminato appunto, con la produzione di 188,7 kg di rifiuti di imballaggio all’anno per ogni europeo. Per quanto analizzato dai ricercatori, questa tendenza non diminuirà, anzi continuerà a crescere a dismisura fino a toccare i 209 kg per abitante nel 2030.

     

Le nuove misure

Per questo la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha appena adottato, una nuova proposta di regolamento. Questa punta a una maggiore facilità d’uso del packaging, con lo scopo di ridurre tutti gli imballaggi inutili e i rifiuti prodotti del continente. La proposta è passata con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni; l’Italia però non l’approva.  La proposta (Packaging and Packaging Waste Regulation) passerà alla votazione dell’Assemblea plenaria per poi iniziare i negoziati finali con il Consiglio Ue tra un mese.

    

La normativa nasce per porre uno stop drastico a questa avanzata; dunque, l’UE propone di puntare tutto sul riuso, il recupero e il riciclo. Le idee riportate sono varie e coprono diversi aspetti:

  • vietare la vendita di determinati sacchetti di plastica leggeri (inferiori a 15 micron);
  • ridurre in generale i rifiuti in plastica degli imballaggi;

Precisamente l’obiettivo è quello di apportare una riduzione graduale: 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040. Arrivando anche a determinare delle percentuali minime del contenuto riciclato delle parti in plastica entro la fine del 2025. Si pensa anche alla possibilità di fissare obiettivi e criteri di sostenibilità anche per le bioplastiche. Ed infine si suggerisce di garantire un numero minimo di riutilizzo dei vari imballaggi per semplificare sempre più il processo di riuso.

    

Altri punti importanti della norma, riguardano ristoranti e caffè e i distributori finali di cibi e bevande d’asporto. Proprio loro dovranno garantire ai consumatori la possibilità di portarsi il proprio contenitore. Mentre si parla anche del divieto dell’uso di PFAs e delle sostanze chimiche eterne (forever chemicals), che possano essere a contatto con gli alimenti. C’è un punto anche per la raccolta differenziata: si chiede Paesi membri di differenziare al 90% dei vari materiali da imballaggio entro il 2029.

  

L’Italia contraria

Germania e Francia hanno accolto la proposta con grande entusiasmo poiché certi processi sono già in atto nelle loro città. Per esempio, nella prima, l’abitudine del riuso è comune e molto diffusa per prodotti quali latte, acqua e birra. Tuttavia, insieme, questi due stati hanno richiesto delle flessibilità in modo da adattarsi nel tempo e deroghe in base alle abitudini dei cittadini. Anche l’Austria esulta ma ricorda l’importanza di osservare le regole sulla sicurezza alimentare.

    

L’Italia invece non ci sta. Si oppone al voto, ricordando le risorse usate e gli sforzi fatti per puntare sul riciclo, di cui è leader europeo. Con le nuove norme invece, si ritroverebbe davanti a politiche di riuso che potrebbero penalizzare diversi settori, dalla ristorazione alla distribuzione. Il pensiero è condiviso dai vari ministeri a Confindustria, Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Confcommercio.

Confcommercio ribadisce che la nuova proposta potrebbe danneggiare la filiera alimentare perché gli imballaggi sono fondamentali per

  • protezione e conservazione degli alimenti,
  • l’informazione al consumatore e la tracciabilità,
  • l’igiene dei prodotti.

Tutti questi punti sono fondamentali perché ne consentono anche la commercializzazione e l’export. Anche il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ricorda che il modello vincente italiano deve essere valorizzato. Pertanto, afferma, che continuerà la lotta per difendere la filiera innovativa e virtuosa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo.

     

Dunque, in attesa dell’Assemblea plenaria prevista dal 20 al 23 novembre, l’Italia continuerà a difendere la qualità del suo made in Italy. Così continuerà ad opporsi per valorizzare anche gli sforzi e gli impegni (anche economici) fatti in questi anni.

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Economia circolare: in Francia nasce il bonus riparazione tessile.

By : Aldo |Luglio 16, 2023 |Emissioni, Home, obiettivomeno emissioni, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su Economia circolare: in Francia nasce il bonus riparazione tessile.
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L’economia circolare si basa su vari principi tra i quali il riciclo e il riuso, due concetti validi in qualsiasi ambito e per qualsiasi prodotto.

Tuttavia, la riparazione è un’azione basilare per poter sviluppare tante altre attività: per questo la Francia sta dando una grande lezione a tutti.

  

Fonds réparation textile

Questo il nome in francese di quello che noi definiamo il “Bonus riparazione”, la nuova iniziativa francese per il settore tessile.

Il fondo in questione è stato creato sulla base di due azioni principali con l’obiettivo di migliorare l’economia circolare del paese.

Il primo punto è il “bonus”, ovvero uno sconto applicato in fattura, per coloro che portano a riparare i propri capi d’abbigliamento o le calzature. Tale sconto sarà diverso in funzione del lavoro da svolgere, per un minimo di €6 ad un massimo di €25. Per esempio, sostituire la pelle consumata di un paio di scarpe fino a €25 o incollare una scuola staccata a €8.

    

Il secondo invece è un’iniziativa che indica le azioni complementari al bonus, si tratta di campagne di sensibilizzazione sul servizio, pubblicizzazione e formazione degli operatori.

L’obiettivo è quello di sostenere gli artigiani del settore, aumentando i posti di lavoro, ma anche quello di ridurre sprechi ed inquinamento dell’industria tessile.

Così si mira a prolungare la durata dei beni di consumo, ridurre i rifiuti e cambiare l’approccio culturale agli sprechi. Inoltre, si vuole aumentare il volume di capi d’abbigliamento e scarpe riparati in Francia del 35% entro il 2028.

   

Con questo nuovo sistema, si crea un grande incentivo per i cittadini francesi, i quali potrebbero pian piano cambiare abitudini, aiutando il pianeta.

      

La collaborazione con Refashion

Lo stato ha collaborato con l’organizzazione per la moda sostenibile Refashion. Questa si  occuperà della piattaforma online per l’iniziativa e si impegnerà nella verifica dei requisiti necessari dei negozi, per ricevere i fondi per la riparazione.

Il programma sarà lanciato quando il governo avrà incluso almeno 500 realtà nella nazione entro la fine dell’estate. Così facendo il servizio verrà attivato da ottobre 2023 e sarti e calzolai registrati saranno “etichettati” come partecipanti.

Questa rete consentirà di comprendere gli artigiani senza limitazioni relative alle dimensioni dell’azienda o ai loro rapporti con i grandi brand della moda. Pertanto, i negozi registrati, non potranno rifiutarsi di aggiustare prodotti di firme diverse da quelle con cui hanno collaborazioni.

  

Al momento ben 250 esercenti hanno mandato la loro domanda di adesione.

    

La legge anti-spreco

Il progetto conta finanziamenti per i prossimi 5 anni grazie al fondo dedicato da 154 milioni di euro, raccolti per lo scopo dal 2020.

È un piano che si aggiunge ad una serie di provvedimenti per ridurre i rifiuti, grazie alla cosiddetta legge anti-spreco del 2020. Grazie ad essa sono state vietate varie pratiche abitudinarie che producono grandi quantità di rifiuti inutili.

Quindi sono stati vietati i sacchetti di plastica nei supermercati e le confezioni monouso nei fast food. In più è stato introdotto bonus riparazione per elettrodomestici, giocattoli e altri prodotti e costruito fontanelle negli spazi pubblici.

   

Un ulteriore incentivo è l’eco-score, una certificazione (volontaria) dei prodotti con la quale si indica il loro impatto ambientale e la riparabilità (attiva dal 2024). Queste pratiche favoriscono sempre più i processi circolari che creano benefici sia per l’ambiente che per l’economia del paese.

 

Il contesto ambientale e il fast fashion

Tutte queste attenzioni, soprattutto verso il settore tessile, dipendono da una situazione ben precisa e abbastanza critica.

Per l’ONU, il settore tessile rappresenta attualmente una delle attività umane con l’impatto ambientale più alto a livello mondiale. L’industria è causa di acque reflue piene di componenti chimici, elevate emissioni di CO2, dispersione di microplastiche e una grande quantità di rifiuti. Di preciso annualmente in Francia vengono buttate via 700 mila tonnellate di vestiti, di cui sono 1/3 viene riutilizzato.

     

A questo si aggiungono i problemi correlati al fast fashion, i quali incrementano e velocizzano i danni sopra elencati.  Secondo la Banca Mondiale, il totale di rifiuti a livello globale sarà di 3,4 miliardi tonnellate all’anno entro il 2050. Questa moda mette in pericolo l’intera industria tessile, danneggiando non solo l’ambiente ma anche e i piccoli artigiani.

    

Da qui la scelta del nuovo fondo.

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La Convenzione di Honk Kong entra in vigore: al via il riciclo delle navi.

By : Aldo |Luglio 04, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su La Convenzione di Honk Kong entra in vigore: al via il riciclo delle navi.

L’economia circolare si basa su un ciclo continuo che considera i rifiuti come risorse e materie con le quali dar vita a nuovi prodotti.

Al giorno d’oggi possiamo approssimativamente riciclare tutto quello che creiamo e dal 27 giugno anche le navi attraverso un nuovo regolamento.

La convenzione di Hong Kong

La Convenzione di Hong Kong venne approvata nel 2009 con la descrizione di obiettivi e criteri ben precisi.

Lo scopo della convenzione era quello di garantire che il riciclo delle navi non presentasse più rischi inutili per la salute e la sicurezza umana e ambientale.

Si tratta dunque di un regolamento volto alla sostenibilità che  abbraccia il concetto del ciclo “dalla culla alla tomba”, senza arrecare ulteriori danni al pianeta.

Tuttavia, la norma è entrata in vigore solo dopo 16 anni, poiché sono stati raggiunti tutti e tre i requisiti richiesti dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale):

  • non meno di 15 Stati;
  • non meno del 40% del trasporto mercantile mondiale per stazza lorda;
  • capacità di riciclaggio delle navi non inferiore al 3% del tonnellaggio lordo della marina mercantile combinata degli Stati summenzionati.   

L’entrata in vigore e i cambiamenti

Il 27 giugno 2023, la convenzione ha raggiunto il numero minimo di adesioni grazie alla firma di Liberia e Bangladesh.

Oltre a loro avevano già approvato la convenzione Belgio, Repubblica del Congo, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Ghana, India, Giappone, Regno dei Paesi Bassi, Norvegia. E ancora Panama, Portogallo, São Tomé e Principe, Serbia, Spagna, Türkiye, Lussemburgo e Malta.

Con le ultime due firme, il settore di riciclo delle navi è cambiato per sempre; sarà più regolamentato quindi sicuro a livello ambientale e umano.

Oggi gli stati contraenti sono 22, rappresentando circa il 45,81% del tonnellaggio lordo, mentre il volume annuale combinato di riciclo ammonta a 23.848.453 tonnellate.Tale cifra è pari al 3,31% del volume richiesto, quindi si prospetta un’ottima partenza, prevista 24 mesi dopo la firma degli ultimi due stati.

La convenzione attribuisce responsabilità e obblighi a tutte le nazioni contraenti e nello specifico a molteplici figure e settori del campo navale.

Tra questi gli armatori, i cantieri navali, gli impianti di riciclo delle navi, gli stati di bandiera, quelli di approdo e quelli dove avviene il riciclo.

A questo punto le navi una volta finita la loro vita operativa, dovranno presentare a bordo un inventario dei materiali pericolosi contenuti in essa.

Gli impianti autorizzati, dovranno fornire un piano di riciclo specifico per ogni imbarcazione e i governi dovranno rispettare l’accordo sugli impatti sotto la loro giurisdizione.

La normativa entrerà in vigore concretamente il 26 giugno 2025.

Bangladesh

Il Bangladesh è uno dei paesi con la maggiore capacità di riciclo, poiché è lo stato in cui vengono portate più navi a fine vita.

Solo nel 2019 sono arrivate a rottamazione ben 674 navi commerciali oceaniche e unità offshore. Di queste, ben 469 sono state demolite solamente su tre spiagge tra il Bangladesh, l’India e il Pakistan.

Per questo il Bangladesh è parte del progetto SENSREC dell’IMO (finanziato dalla Norvegia per 4 milioni di dollari dal 2015).

Il programma ha lo scopo di coltivare un forte senso di proprietà nel riciclaggio ecologico delle navi in Banglades. Sono stati inclusi i lavoratori, i proprietari di cantieri e parti interessate, per sviluppare una comprensione completa delle sfide e delle opportunità all’interno del settore.

Di questo passo, con iniziative, norme, obblighi e finanziamenti, anche i paesi in via di sviluppo possono trovare il loro posto nella transizione ecologica. 

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Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

By : Aldo |Maggio 11, 2023 |Efficienza energetica, Home, menomissioni, menorifiuti, Rifiuti |Commenti disabilitati su Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

Un mondo basato sull’economia circolare dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere in tempi più o meno brevi.

La transizione ad un sistema simile non è semplice, ma come sempre ci sono dei piccoli passi che ci aiutano ad ottenere un buon risultato.

         

Una nuova gomma

Un progetto sviluppato dall’ENEA in collaborazione con l’Università di Brescia propone lo sviluppo di una nuova gomma riciclata adatta alle produzioni industriali.

Si tratta di un prodotto creato per via dell’unione di pneumatici fuori uso e scorie di acciaio: un nuovo esempio di economia circolare.

Nello specifico la gomma derivata dal connubio di questi scarti è adeguata alla creazione di tappetini per l’isolamento acustico o antivibranti.

Dai PFU (pneumatici fuori uso) si può ricavare gomma, acciaio e fibra tessile che possono essere utilizzati nel settore delle infrastrutture, strade ed edilizia.

        

Lavorazione

Il processo pensato per ottenere questo nuovo materiale è costituito da passaggi specifici che garantiscono alla gomma delle caratteristiche uniche.

Per prima cosa, si tratta di una lavorazione a freddo che non prevede l’aggiunta di additivi. I PFU vengono ridotti in polvere, che viene integrata con quantità crescenti di scorie di acciaio.

Così aumenta il coefficiente di rigidità, garantendo una buona compattezza e coesione del prodotto che ottiene anche una maggiore conducibilità termica e buone proprietà magnetiche.

In tal modo si rende utile il materiale per applicazioni in cui è necessaria la dissipazione di calore.

         

Vantaggi ambientali e salutari

Questi fogli di gomma con spessore di 1 millimetro possono migliorare le condizioni dell’ambiente che ci circonda e della nostra salute.

Infatti, oltre ad unire due settori lontani, aiuta il riciclo delle scorie soprattutto in Lombardia, dove coesistono molteplici industrie di acciaio per forno elettrico.

Questo è un settore che ogni anno produce 20.4 milioni di tonnellate di acciaio, di cui il 10-15% è composto da scorie nere. Quindi grazie a tale progetto si riduce il rilascio di metalli pesanti e potenzialmente tossici per l’uomo come il cromo, il molibdeno e il vanadio.

In aggiunta si rende sostenibile il settore degli pneumatici, che produce 435 mila tonnellate di rifiuti l’anno, di cui solo il 20% viene rigenerato.

      

Un problema all’orizzonte

Il riciclo di pneumatici è una delle eccellenze dell’economia circolare italiana che porta alla creazione di gomma per impianti sportivi, strade, infrastrutture ed altro.

Purtroppo, l’Europa ha votato per il bando dell’intaso polimerico nelle superfici sportive quindi, gli impieghi prima citati potrebbero venire meno.

Tale decisione deriva dal fatto che il 90% dei campi da calcio in Europa sono stabilizzati con questa gomma.

Tuttavia, Ecopnenus (consorzio che trasforma 200 mila tonnellate di pfu) dichiara che una legge simile potrebbe creare un grande problema, ambientale economico e sociale.

Pertanto, richiede, insieme a Legambiente di rivedere la normativa approvata, poichè il non utilizzo del prodotto, porterebbe ad una maggiore dispersione di pfu nell’ambiente.

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Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

By : Aldo |Aprile 24, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menomissioni, Rifiuti |Commenti disabilitati su Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

L’economia circolare non ha segreti, ma solo tanto potenziale da scoprire soprattutto per proteggere il nostro futuro.

Spesso, in questo settore, il mare è una base esemplare per molteplici progetti di sostenibilità e salvaguardia della natura.

Dai laboratori universitari

Ancora una volta le startup fondate da giovani studenti hanno la meglio.  Nello specifico Relicta è formata da 5 studenti sardi legati dall’amore per il mare e da competenze acquisite nei loro percorsi di studio.

Si sono conosciuti nel 2017, durante il concorso universitario Contamination Lab, dopo il quale hanno unito idee e studi per il grande risultato. Successivamente nel 2020 è stata fondato il gruppo.

L’impresa, infatti, ha creato un materiale che potrebbe cambiare le sorti del mondo o almeno quelle del Mar Mediterraneo.

Si tratta di una bioplastica, che deriva dal mare nel quale può scomparire: è stata chiamata Relicta come l’azienda ed ha riscosso un grande successo.

La bioplastica

Il prototipo di bioplastica ideato da Davide e Matteo Sanna, Andrea Farina, Giovanni Conti e Mariangela Melino si compone di materiali di scarto.

In particolare, sono stati scelti gli rifiuti della produzione ittica quali scaglie e lische di pesce per produrre plastica di due tipi diversi.

Il gruppo ha infatti sviluppato due modelli, uno flessibile e uno rigido per poterli applicare a vari e molteplici impieghi.

Non a caso Relicta può essere è usata come film per il packaging di alimenti, cosmetici e dispositivi elettronici ma anche col sottovuoto.

In quel caso, si applica per prodotti delicati come mascherine chirurgiche, cibi da conservare e medicinali, poiché le proprietà isolanti restano intatte per 12 mesi.

Inoltre, la pellicola è inodore e solubile in acqua, grazie alla sua base naturale e ai processi a cui viene sottoposta la materia prima.

L’economia circolare

Anche Relicta, come tanti altri progetti, nasce dal recupero di “rifiuti”, in questo caso scarti di produzione ittica. Il gruppo di studenti ha pensato di produrre la pellicola con materie derivanti dall’acquacultura che garantisce un grande quantitativo di scarti utili all’azienda.

Pertanto, si rifornisce da una multinazionale di salmone, che utilizza la stessa biopellicola per il suo packaging. Al momento, l’impresa può ottenere 300 g di bioplastica da 1 kg di scarti che vale tra i 0,20 € a 1,5 €, quindi i margini di guadagno sono elevati.

Resta comunque la caratteristica migliore, la sua capacità di decomposizione in acqua nell’arco di 20 giorni. Di questo passo, la bioplastica creata dal mare può scomparire nel mare senza lasciare traccia o produrre danni, favorendo l’economia circolare di cui abbiamo bisogno.   

La startup ha una missione, quella di essere parte della soluzione al grande problema dell’inquinamento scaturito dalla plastica.

Senza dubbio, Relicta può raggiungere il suo obiettivo anche grazie al finanziamento di 500 mila euro. L’investimento arriva dalla Scientifica Venture Capital insieme all’acceleratore di startup Terra Next (nell’ambito della Bioeconomia) e Vertis SGR attraverso il fondo Venture 3 Technology Transfer.

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Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per noi e per l’ambiente.

By : Aldo |Marzo 28, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, Rifiuti |Commenti disabilitati su Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per noi e per l’ambiente.

Bucce di arancia per la pelle sostenibile, canapa per i tessuti e ora tocca ai residui di pomodoro per sostituire un composto derivato dal petrolio.

       

La novità

La notizia arriva dalla Spagna, dove si sta testando un nuovo materiale protettivo per gli interni dei packaging in alluminio e metallo.

Lo studio è stato svolto dall’Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterránea “La Mayora” di Malaga e dall’Instituto de Ciencia de los Materiales de Sevilla.

Il team di scienziati ha trovato una soluzione sostenibile e più sicura a livello sanitario per la resina interna di lattine e altri imballaggi.

Si tratta dei residui di pomodoro che vengono utilizzati per rivestire l’interno di tali imballaggi, sostituendo una plastica meno sicura per l’ambiente e per l’uomo.

     

I residui delle zuppe

Lo studio si basa sugli scarti legati alla produzione di zuppe come il gazpacho, salse e succhi, quindi un mix di semi, bucce e piccioli.

Di solito, questi scarti vengono bruciati o usati come mangime per animali se non smaltiti come rifiuti.

Mentre con la lavorazione di tale materiale si ricava una sostanza idrorepellente, aderente al contenitore in grado di non essere corroso da liquidi acidi o sali.

        

Lavorazione

Il materiale viene lasciato asciugare e per mezzo di idrolisi si rimuove l’acqua per mantenere i lipidi (in questo caso vegetali).

Il grasso vegetale ricavato sarà unito ad una quantità minima di etanolo, rispettivamente l’80% e il 20%. Poi questa soluzione viene spruzzata sulla superficie metallica, di modo che aderisca alla forma e resista ai tagli successivi del contenitore.

      

Contaminazione

L’innovazione sostenibile diventa anche più sicura a livello sanitario poiché mira a sostituire l’attuale resina epossidica con una naturale.

Il rivestimento è una plastica ricavata dal petrolio contenente BPA (bisfenolo A), un composto chimico potenzialmente pericoloso per la salute.

Inizialmente venne scelto per proteggere gli alimenti dalle possibili contaminazioni dei metalli che costituivano il packaging, poi negli anni si verificò un fenomeno contrario.

Ossia, gli studi hanno confermarono la presenza di particelle dannose di BPA negli alimenti. Quindi il rivestimento proteggeva dai metalli, ma rilasciava a sua volta sostanze nocive per l’uomo, associate alla comparsa di diabete o cancro.

Non a caso la Spagna ne ha vietato l’uso.

         

Impatto ambientale

La nuova resina è altrettanto sicura per l’ambiente poiché formata da materiale di scarto e soprattutto prodotta con un processo a basso impatto ambientale.

Infatti, la sua produzione emette meno anidride carbonica rispetto a quella del bisfenolo A.

         

Insomma, ancora una volta la soluzione sostenibile si conferma sicura per l’ambiente e per la salute umana.
La transizione ecologica stanno evidenziando queste novità che probabilmente potrebbero essere lo slogan per accelerare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

Forse sottolineando i benefici per la nostra salute sarà più semplice diffondere l’importanza della sostenibilità.

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Arrivano a Roma i cestini per la carta “intelligenti”; l’AMA guarda al futuro.

By : Aldo |Febbraio 07, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

In vista di grandi eventi e obiettivi da raggiungere, Roma apporta dei cambiamenti nella città.

     

L’iniziativa

A Roma approdano i cestini della carta “intelligenti” grazie ad un comodato d’uso dell’AMA che cerca di portare una ventata d’aria fresca nella capitale.

L’idea è quella di migliorare la città, che troppo spesso ha ricevuto e riceve critiche per la mancata cura e pulizia di strade e marciapiedi.

Oltre ad essere tra le 9 centri urbani italiani scelti per il programma europeo delle Smart Cities, Roma è prossima al Giubileo. Questo significa che i riflettori saranno puntati sulla città che si dovrà presentare nel migliore dei modi e perchè no, anche all’avanguardia.

  

I cestini intelligenti

I cestini sono stati ideati con un’elevata cura dei dettagli, coniugando sostenibilità, sicurezza, igiene, raccolta differenziata e tecnologia.

Di fatto sono stati creati 2 prototipi che differiscono solo per la capienza. L’impianto di largo Gaetana Agnesi (altezza ingresso Metro B Colosseo), ha una capacità di 240 litri mentre quello nell’area di Fontana di Trevi 120 litri.

   

Tecnologia e sostenibilità sono alla base di questi sistemi. Infatti, il cestino è controllato per mezzo di un’app che segnala quando deve essere svuotato. Il tutto è alimentato da all’energia solare  poiché l’impianto è dotato di un pannello fotovoltaico che fornisce l’energia necessaria anche per la pressa. Presenti anche led e sensori.

Un altro aspetto tecnologico è la pressa interna (azionata dall’energia solare), capace di compattare i rifiuti, riducendone la massa fino a 5 volte.  

  

I nuovi cestoni sono composti di acciaio zincato e “anti intrusione” per evitare spiacevoli episodi avvenuti più volte nella capitale. Per quanto riguarda l’igiene, è stato pensato un pedale per aprire il bidoncino, permettendo ai cittadini di non toccarlo con le mani.

La gestione

Ulteriori dettagli del cesto sono correlati al lavoro svolto dagli addetti dell’AMA, che potranno svuotare il contenitore più facilmente e velocemente.

L’iniziativa avrà una fase di sperimentazione di 4 mesi dei nuovi modelli che  hanno una capacità pari a quella di 7 cestini e questo farà la differenza.

    

Il vicedirettore Generalre dell’AMA, Emiliano Limiti, afferma che si collocheranno a Roma, circa 10 mila nuovi raccoglitori. Sarà un processo di rinnovamento, efficientamento verso una maggiore pulizia e sostenibilità.

L’ente ha curato al massimo i dettagli è ha annunciato che tutta la carta conferita nei nuovi cestini verrà riciclata, nell’impianto dei rifiuti raccolti in strada.

   

Roma dovrà aspettarsi tante iniziative e cambiamenti come questi, visti gli impegni presi con l’Europa.
Tutto ciò che potrà rendere migliore la Capitale, sotto ogni punto di vista, sarà una modifica positiva per il futuro. Migliorerà anche la vita dei  suoi cittadini e dei milioni di turisti che la scelgono come meta ogni anno. 

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torello

“Torello” trasforma 200kg di rifiuti in bioenergia in soli 15 minuti.

By : Aldo |Febbraio 05, 2023 |bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

I rifiuti aumentano e di pari passo aumenta la richiesta di tecnologie avanzate per smaltirli.
Sea Marconi ha lavorato per questo.

Torello

L’impianto, lungo 7 m e largo 1,5 m è in grado di trasformare rifiuti in bioenergia e bioprodotti riducendo costi e tempi.

La sfida di Torello o BioEnPro4TO è quella di riciclare 200kg di rifiuti convertendoli in energia elettrica e biofertilizzante, nell’arco di soli 15 minuti.  Di fatto, la sua caratteristica è quella di poter superare gli impianti tradizionali, che impiegano 90 giorni per lo stesso identico processo.

Il macchinario creato dalla Sea Marconi è stato avviato ad ottobre e presentato il 31 gennaio alla Lavanderia a Vapore di Collegno.

Secondo il fondatore della Sea Marconi, Vander Tumiatti, Torello potrebbe essere “una soluzione integrativa per la produzione di biogas”. Questo sarà possibile per tempi e costi abbattuti grazie alla termochimica e per il fatto che “non ha bisogno di grandi investimenti o infrastrutture”.        

 

Struttura e funzioni

BioEnPro4TO è essenzialmente un progetto di ricerca di elevato livello di maturità tecnologica (TRL7) che può trasformare rifiuti in energia e altro.

Converte parte organica dei rifiuti solidi urbani, le biomasse primarie o residuali (sfalci), i fanghi di depurazione delle acque reflue civili e materiali plastici.  Tutto ciò può diventare energia elettrica, termica, acqua sterilizzata, biostimolanti, biogas, biofertilizzanti, syngas, biochar.

È un sistema che tende all’impatto zero, soprattutto per le tecnologie utilizzate nella sua creazione.

Non a caso, gli scarti subiscono un processo di conversione termochimica, fondamentale per la trasformazione in energia, perchè scalda ma non brucia.

Tra l’altro, l’impianto è capace di comprendere 1500 tonnellate di rifiuti (per anno) garantendo 7500 ore di lavoro all’anno.

Impieghi

I benefici che Torello può offrire sono vari ed essenziali, come la riduzione dei rifiuti in discarica o la produzione di energia verde.

Con tale macchinario si potrebbero risolvere anche i problemi legati al trasporto di rifiuti, una questione molto sentita soprattutto nei centri più piccoli.

Infatti, sono proprio le piccole e medie comunità (fino a 250 mila abitanti) le prescelte per l’utilizzo del sistema.

Ne è un esempio Torino Ovest, dove si gestiscono 112,5 mila tonnellate di RSU (Rifiuto Solido Urbano) e circa 20 mila tonnellate di organico.

Oppure il Comune di Collegno, costretto a portare le sue mille tonnellate di fanghi di depurazione (all’anno) negli impianti di Bergamo e Brescia.

Con un sistema simile si ridurrebbe il bisogno di trasportare determinati materiali e si ridurrebbero i costi di smaltimento e trasporto.  

In aggiunta, l’unità principale di Torello è trasportabile con un camion e può essere installato senza troppe difficoltà.

Finanziamenti

Il programma è stato avviato verso la fine del 2018 grazie ai 6,9 milioni di euro finanziati dalla Regione Piemonte.  Così da creare nuovi posti di lavoro e ha permesso il deposito di 10 brevetti, ai quali hanno collaborato 11 enti, tra aziende e università.

Un’ulteriore punto a favore dell’impianto è il ritorno di investimento che supera qualsiasi altro sistema tradizionale. Si tratta di 1000 euro per tonnellata e un ritorno che potrebbe ammontare al 140%, rispetto al solito 15 o 20%.        

Come sottolinea il fondatore Tumiatti, la volontà è di “produrre di più e meglio, consumando di meno”.

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scale

SCALE produce biomattonelle composte interamente dalle squame dei pesci.

By : Aldo |Dicembre 27, 2022 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

Col passare degli anni, le tecnologie avanzano e migliorano in qualsiasi campo.

Allo stesso modo nascono progetti che sfruttano queste tecnologie per ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente.

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Squame

Erik de Laurens, product designer, è riuscito a creare un legame “sostenibile” tra mare e industria edile.

Infatti, l’azienda di cui è co-fondatore, SCALE, produce biomattonelle composte al 100% da squame di pesce. Sembra un’invenzione bizzarra, ma gli studi sempre più specifici e le innovazioni tecnologiche, hanno reso possibile questa magia.

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L’idea nasce quando de Laurens, frequenta il Royal College of art di Londra e viene a conoscenza della crisi delle fabbriche edili. Quel declino avrebbe determinato un elevata quantità di rifiuti difficili da gestire e/o di materie prime inutilizzate.

Per queste ragioni, il designer si adoperò per introdurre nell’ingegneria dei materiali, l’idea di poterli produrre localmente e in modo sostenibile.

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Come è fatto

Nasce quindi SCALITE, il materiale che compone le biomatonelle di SCALE, dopo un primo utilizzo per la creazione di occhiali, becher e un tavolo. Il prodotto è costituito completamente da squame di pesce, un’abbondante e rinnovabile risorsa della pesca e del settore dell’acquacultura.

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Le scaglie in generale sono composte di 2 fasi, quella minerale (idrossiapatite) e quella organica (collagene), con percentuali che variano a seconda della specie.

Nel caso di SCALE, vengono usate le squame di tilapia, una specie originaria dell’Africa centro-meridionale, molto consumata a livello alimentare e non solo.

Le mattonelle sono quindi composte da fogli compressi, formati grazie alla polvere derivata dalla lavorazione delle due fasi delle scaglie.  SCALITE è naturale al 100%, ma il nome rimanda proprio alle materie plastiche (non presenti nel prodotto) come la bachelite, l’ebanite o la galatite.

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Rifiuti edili

Parlando dell’edilizia, è doveroso indicare l’impatto che ha sul nostro pianeta. È emerso che in Italia, circa la metà dei rifiuti prodotta in un anno deriva dall’industria edile; si tratta di 70 milioni di tonnellate.

La cifra è pari al 48,4% del totale dei rifiuti non pericolosi, rappresentando il settore più complesso da gestire in termini di riciclo.

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Ad oggi, creare nuovi materiali compatibili con l’ambiente e che contemporaneamente possano garantire un uso efficiente nell’edilizia, è una necessità.

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Come dimostrato da questa impresa, le risorse che possiamo impiegare per il futuro non vengono dallo spazio. Il segreto per poter ridurre la nostra impronta sul pianeta sta nello studio di quello che mangiamo, che usiamo e viviamo quotidianamente.

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