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COP 28. Presentato il Global Stocktake che mette in disaccordo il mondo.

By : Aldo |Dicembre 12, 2023 |Efficienza energetica, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su COP 28. Presentato il Global Stocktake che mette in disaccordo il mondo.

A poche ore dal termine della COP 28, è stata pubblicata l’ultima bozza della presidenza che incontra il consenso di pochi. Tra Stati petroliferi e nazioni più virtuose, il dibattito si fa sempre più acceso attorno al tema più caldo: il “phase out” dei combustibili fossili.

    

“Phase out” o “phase down”

L’accordo di questa conferenza sembra essere lontano, per quanto invece sia vicino il termine temporale. Alla base delle continue discussioni, ritroviamo sempre lo stesso tema: l’uscita dai combustibili fossili. Purtoppo di fronte a tale necessità, paesi come l’Iraq e l’Arabia stessa si oppongono, portando avanti l’idea che serva una riduzione graduale.

    

Nello specifico i membri dell’Opec hanno ribadito il proprio “no” a citare l’uscita dai combustibili fossili nel testo finale della COP28. Insieme dichiarano che non sia il momento di abbandonare le fonti fossili perché una mossa simile sarebbe un danno per l’economia mondiale. Piuttosto punterebbero sulla tecnologia e il presidente Sultan Al Jaber, ha chiesto più volte di tenere in considerazione le sue “prospettive” e “preoccupazioni”. Mentre l’Iraq ha affermato che “la riduzione” e “l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e dei sussidi, “distruggerebbero l’economia mondiale e aumenterebbero le disuguaglianze”.

    

Ovviamente il contrasto ad una richiesta globale ha generato e continua a scaturire lamentele dalla maggioranza. Tanto che una coalizione di attivisti per il clima si è riunita per chiedere ai leader mondiali tre cose fondamentali:

  • mantenere la linea per una transizione energetica giusta
  • concordare l’eliminazione rapida ed equa dei combustibili fossili
  • triplicare le energie rinnovabili entro il 2030

Il Global Stocktake

Ieri pomeriggio, il presidente emiratino Sultan Al-Jaber, ha presentato il cosiddetto Global Stocktake, che dovrà diventare la dichiarazione conclusiva del vertice. Si tratta di una bozza di 21 pagine (prima 27) che non fa gioire nessuno, o quasi.

Quest’ultima è caratterizzata da toni più sfumati, non comporta divieti ma “inviti”. Inoltre, fa sparire dal punto 39, il termine “eliminazione” riferito ai combustibili fossili; tuttavia, si parla per la prima volta di tagli. Le ore di negoziato non sono state facili ed hanno portato ad un risultato prevedibile ma non condiviso. La Proposta della presidenza viene presentata alla plenaria dei ministri e dei negoziatori dei quasi 200 Paesi presenti a Dubai. L’obiettivo condiviso da tutti è quindi arrivare al net zero entro il 2050, peccato però che i modi o i mezzi non siano accettati da tutti. Nonostante si parli di tagli sia alla produzione che dei consumi dei combustibili fossili, il «phase out» tanto atteso non compare da nessuna parte.

     

Quello che viene ribadito è invece il “phase down” (eliminazione graduale) del carbone non abbattuto (definizione ancora non accettata globalmente). In tale scenario il presidente continua a richiedere al mondo flessibilità per raggiungere il compromesso, come si augura anche il presidente dell’ONU Guterres. Un appello rivolto sia ai produttori di petrolio e gas (Arabia Saudita, Iraq e Russia) e sia a chi vorrebbe un testo molto più ambizioso.

    

Il documento proposto dalla presidenza esorta le parti ad “accelerare” nelle tecnologie a zero e basse emissioni, tra le quali è indicato anche il nucleare. Si citano anche le tecnologie di abbattimento e rimozione, comprese la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio. E infine la produzione di idrogeno a basso contenuto di carbonio, per potenziare la sostituzione delle tecnologie fossili ‘unabated’ nei sistemi energetici. Sicuramente passerà anche la proposta della triplicazione della capacità delle rinnovabili a livello globale entro il 2030. E il raddoppiamento del tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica.

     

Ultime considerazioni

Negli ultimi giorni non sono bastati gli interventi dei vari delegati o leader politici per cambiare le sorti di questa conferenza. Per esempio, il Governo olandese ha promosso una coalizione internazionale (di cui l’Italia non è parte) per porre fine ai sussidi al fossile. Poi il capo negoziatore cinese per il clima, Xie Zhenhua si è espresso a favore della sostituzione con le rinnovabili. Tuttavia, non si è impegnato a sostenere una completa eliminazione (phase out) dei combustibili fossili affermando altresì che la Cina si impegnerà per trovare un compromesso.

    

Anche John Silk, ministro delle risorse naturali delle Isole Marshall si è espresso duramente

Non siamo venuti qui a firmare la nostra condanna a morte. Non accetteremo un risultato che porterà alla devastazione per il nostro Paese e per milioni se non miliardi di persone e comunità più vulnerabili».

Come detto in precedenza, l’unico passo positivo è l’obiettivo di triplicare la capacità globale dell’energia rinnovabile. Anche se, scompare un target numerico e non si indica rispetto a quale anno serve al triplicazione, quindi ci sono delle grandi lacune anche in questo. Inoltre, molte delle tecnologie citate e supportate, sono molto costose e non efficienti, quindi poco utili ad una transizione globale.

   

Il resto, che va dalla riduzione graduale dei fossili al rilancio del nucleare diventa un masso pesantissimo, un passo indietro più che uno stallo. La COP che doveva fare la differenza ha solamente creato un buco nell’acqua, favorendo gli stati dell’Opec e i loro affari.

  

Senza contare il fatto che è stata confermata Baku come città ospite della COP 29. Attualmente l’Azerbaigian, ricava 2/3 delle sue entrate da petrolio e gas dunque, le previsioni per il prossimo anno non sono delle più floride. Forse ci resta solo sperare in nuove politiche proattive decise singolarmente dagli stati di tutto il mondo.

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COP 28. Incomprensioni e caverne e petrolio.

By : Aldo |Dicembre 06, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su COP 28. Incomprensioni e caverne e petrolio.

Giovedì 30 novembre si è aperta la COP 28 a Dubai, tra vecchie speranze e dubbi per i risultati della conferenza. L’UE scende in campo decisa a raggiungere i suoi obiettivi comportandosi come un capofila e da modello per le altre nazioni. Ma a distanza di soli 6 giorni dall’inizio, avvenimenti, affermazioni ed interventi hanno già sorpreso tutti, sia in modo positivo che negativo.

L’era delle caverne

Lunedì il mondo scientifico si è bloccato per qualche secondo dopo la dichiarazione del presidente della COP28, Sultan al-Jaber. Quest’ultimo parlando dell’eliminazione dei combustibili fossili, durante un incontro online, afferma:

Non esiste alcuna scienza che indichi sia necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. Anzi, la loro eliminazione – anche graduale – non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”.

Parole, le sue, che fanno rabbrividire tutti, in primis i massimi esperti mondiali, compresi gli scienziati del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Lo scalpore deriva anche dal discorso precedente, che annunciava l’impegno delle 50 principali compagnie petrolifere globali a raggiungere emissioni di metano prossime allo zero. Tra queste l’Aramco dell’Arabia Saudita, la Petrobras del Brasile e la Abu Dhabi National Oil Company di cui proprio al-Jaber è a capo. Le prime perplessità sull’efficacia e la possibilità di un’azione concreta iniziano proprio qui. Inoltre, la “Carta globale della decarbonizzazione” non è in linea con l’obiettivo di restare sotto 1,5° Celsius. E non pone alcun vincolo allo sviluppo di nuovo petrolio e gas e prevede obiettivi di emissione volontari e non prescrittivi.

   

Dopodiché subentrano i giornalisti indipendenti presso il Center for Climate Reporting (in collaborazione con la BBC) che chiedono spiegazioni al presidente. L’inchiesta dimostrava che la presidenza della Cop 28 aveva programmato una serie di incontri per favorire nuovi accordi commerciali internazionali legati ai combustibili fossili. A tali accuse al-Jaber ha assicurato di non aver mai visto questi punti, né di aver partecipato a tali incontri.  Nonostante ciò, parliamo della stessa persona che in apertura della COP ha esortato a “garantire di includere il ruolo dei combustibili fossili nel documento finale”.

Gli scienziati sbigottiti hanno definito l’uscita del presidente come “Parole al limite del negazionismo”. D’accordo anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres e Bill Hare, ceo di Climate Analytics, preoccupati per il risultato delle prossime azioni.  

 

A sorpresa, dopo l’assurda affermazione, il sultano ha convocato una conferenza stampa per chiarire quanto detto. Innanzitutto, non si è scusato ma ha detto di essere stato “travisato” dai media, accusandoli di non riportare il suo vero messaggio. Poi ha continuato ricordando quanto la scienza sia parte della sua vita e della fiducia che ripone nelle scelte fatte in questi giorni.  

    

Dalla sua parte

Al contrario di quello che è appena stato descritto c’è chi ha interpretato in altro modo, le parole di Sultan Al Jaber in modo diverso. Il discorso si dirama attorno al seguente concetto: la sostenibilità della transizione. Quindi perché la transizione energetica sia sostenibile per tutti, vuol dire che nessuno può, ne deve essere lasciato indietro.

    

Pertanto, sulla base del fatto che l’eliminazione dei fossili sia la via sa seguire, al-Jaber dice che è necessaria un’eliminazione graduale. Questo perché eliminare una fonte così diffusa (per esempio in Europa) causerebbe una grande crisi, simile a quella vissuta con l’inizio della guerra in Ucraina. In breve, non si possono lasciare tutti a piedi perché non hanno la possibilità comprarsi l’auto elettrica: non sarebbe un cambiamento sostenibile.

    

Anzi, secondo l’articolo di Angelo Bruscino (HuffPost), da un simile passo, ne godrebbe solo la Cina ed il motivo è semplice. Avendo il controllo delle terre rare che servono alle batterie elettriche, incrementerebbe di gran lunga la sua economia. Oppure ne gioverebbe l’America che con l’Inflation Reduction Act ha fatto sì che i costi di transizione li pagasse la collettività e non il singolo che non può permetterselo.

 

Conclusioni

Tuttavia, lo sceicco Yamani (Ministro del petrolio dell’Arabia Saudita dal ’62 allo’ 86) disse:

L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre. Non bisogna aspettare che finisca il petrolio per far finire l’età del petrolio”

Questo sta a significare che per quanto abbiamo bisogno ancora oggi dei combustibili fossili, la loro permanenza non assume automaticamente un’accezione positiva. Ossia, per affrettare la transizione è necessario un cambio deciso, che possa smuovere anche la burocrazia dietro certi meccanismi. Solo in questo modo potremmo effettivamente eliminare i fossili e ridurre il nostro impatto sul pianeta. 

   

Rispetto al tema affrontato, si possono riportare altre notizie peculiari riguardanti i primi 6 giorni della conferenza. Per esempio:

  • l’assenza inaspettata del presidente degli USA Joe Biden;
  • la presenza quadruplicata (rispetto al 2022) di lobbisti legati ai produttori di combustibili fossili;
  • la premier Meloni che parla di una la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio deve essere equilibrata e realizzabile. Inoltre, riporta l’accento sulla fusione come nuova frontiera energetica.

Di certo non è iniziata nei modi migliori la 28a Conferenza delle Nazioni unite sui Cambiamenti Climatici. C’è ancora tempo per rimediare, ma è necessario rispettare gli obiettivi prefissati e pensare ad azioni concrete e sostenibili.

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Ecocidio: in Europa arrivano nuove norme e sanzioni.

By : Aldo |Novembre 17, 2023 |Arte sostenibile, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Ecocidio: in Europa arrivano nuove norme e sanzioni.

La legislazione serve in ogni settore per regolamentare qualsiasi tipo di attività ed evitare crimini. Per questo le leggi vanno rispettate ma è anche necessario istituirle con criterio a seconda della circostanza presa in esame. Per questo analizziamo la proposta dell’Europa sull’ecocidio.

    

Ecocidio

Il termine ecocidio venne coniato per la prima volta nel 1970 dal biologo statunitense Arthur Galston per descrivere i danni causati dal cosiddetto “agente arancio”. Si trattava di un defoliante che l’esercito Usa sparse in enormi quantità sulle foreste tropicali durante la guerra del Vietnam. Successivamente, nel 1973 Richard Falk, docente di Diritto internazionale definì l’ecocidio come “Opera di consapevole distruzione dell’ambiente naturale”, descrizione invariata fino allo scorso giugno.

   

Proprio pochi mesi fa, infatti, un gruppo di esperti (avvocati e legali) ha trovato le parole giuste per indicare i reati ambientali a livello legale. Quindi, riuniti nella colazione Stop Ecocide International, hanno proposto l’inserimento dell’ecocidio nei crimini di guerra, contro l’umanità e i genocidi. Di seguito hanno definito che il termine ecocidio indica

 

atti illegali o sconsiderati compiuti con la consapevolezza di una significativa probabilità che tali atti causino danni all’ambiente gravi e diffusi o di lungo termine”.

Per concretizzare tale descrizione, si possono fare vari esempi:

  • le fuoriuscite di petrolio in alto mare, come quella della Deepwater Horizon del 2010;
  • gli sversamenti di petrolio nella regione del Delta del Niger;
  • la deforestazione in Indonesia e Malesia per la coltivazione di palma da olio;
  • lo sversamento di prodotti chimici nell’acqua, nel suolo o nell’aria a Bhopal, in India, nel 1984;
  • i progetti di fracking e quelli per estrarre petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, che hanno devastato la fauna selvatica e le terre indigene.

Il momento storico europeo

In questo ambito è intervenuta anche l’UE che ha deciso di inasprire le sanzioni collegate a tale crimine. Questa mossa è stata guidata dalla deputata francese Marie Toussaint, che ha dimostrato come la crescita dell’attenzione sull’ecocidio sia cresciuta negli ultimi anni. Specialmente a seguito del disastro dell’Erika, un petroliere affondato al largo delle coste della Bretagna nel 1999.

      

In questo momento storico l’Europa sta affrontando molteplici sfide ambientali senza precedenti. Pertanto l’aggiunta dell’ecocidio all’elenco delle offese punibili dall’UE rappresenta un passo significativo verso una giustizia ambientale più efficace. Si discute spesso di tale questione anche perché correlata agli ultimi avvenimenti nel mondo e soprattutto in Europa. Per esempio, la guerra in Ucraina che ha determinato distruzione e contaminazione di vaste aree quindi di tutte le matrici ambientali. Questo ha causato danni per ben 53 miliardi di dollari a terra, acqua e aria.

 

La nuova normativa

Così, per mettere dei limiti a questi scempi ambientali (e di conseguenza umani), si è arrivati ad un accordo tra i due co-legislatori UE. L’intesa stabilisce l’aumento di atti qualificati come crimini ambientali da 9 a 18. Tra questi troviamo l’importazione e l’uso illegale di mercurio, così come di gas fluorurati. Per questi materiali si prevede l’abbandono graduale entro il 2050, poiché hanno un potere climalterante fino a 24mila volte quello della CO2. Si passerà quindi allo stop immediato al commercio di HFC per alcuni elettrodomestici comuni e non solo. Tra i nuovi crimini ambientali troveremo anche l’importazione di specie aliene invasive, lo sfruttamento illegale di risorse idriche e l’inquinamento causato dalle navi.

   

Di seguito sono state inasprite le pene per chi commette tali reati:

  • oltre agli 8 anni per le ‘qualified offences’, ora ecocidio;
  • fino a 10 anni di reclusione per privati e responsabili di aziende che commettono crimini che portano a decessi;
  • un massimo di 5 anni di carcere per i reati ambientali minori a seconda della gravità e della reversibilità o meno del danno arrecato.

Sarà data più attenzione a chi denuncia crimini ambientali ed è prevista protezione rafforzata per i whistleblowers. Ci saranno poi e aggiornamenti regolari per giudici, magistrati e funzionari delle forze di sicurezza con compiti legati alla tutela dell’ambiente. E scatterà l’obbligo per i Ventisette di organizzare campagne di sensibilizzazione mirate a ridurre i crimini ambientali.

   

Critiche al sistema

Nonostante il grande passo in avanti, c’è chi non crede al cambiamento annunciato. I dubbi riguardano la definizione del termine ecocidio: chi determina cosa significa, cosa include o chi e cosa riguarda? Se l’UE lasciasse carta bianca ad ogni stato, ognuno potrebbe definirlo in maniera diversa con possibile fallimento dell’opera. C’è chi pensa che potrebbe diventare oggetto di greenwashing, come un’arma economica o una propaganda politica.

     

Certo è, che si tratta di un movimento che sta prendendo piede velocemente con leggi già in vigore in paesi come Ucraina, Vietnam, Ecuador e Francia. Poi ancora in Brasile e Belgio stanno avanzando nella legislazione mentre Scozia, Spagna e Paesi Bassi hanno recentemente proposto di rendere l’ecocidio un reato.

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Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.

By : Aldo |Ottobre 24, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.
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La COP28 di Dubai si avvicina, ci sono dubbi e perplessità per quanto riguarda gli esiti di tale riunione, ma una cosa è certa. I giovani non stanno con le mani in mano e hanno la mente piena di idee per contrastare il cambiamento climatico.

Youth4Climate

Youth4Climate è un’iniziativa globale, guidata dall’Italia e dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). È un progetto co-modellato con giovani e altri partner quali:

  • Connect4Climate – World Bank Group,
  • la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
  • Secretariat (UN Climate Change),
  • l’Ufficio dell’Inviato del Segretario Generale per la Gioventù
  • il Gruppo Consultivo dei Giovani del Segretario Generale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
  • YOUNGO (collegio ufficiale dei bambini e dei giovani dell’UNFCCC).

Questo programma riunisce risorse, strumenti, capacità, partnership, reti e movimenti online e offline esistenti e nuovi da e per i giovani. Rivolge una grande attenzione nel sostenere l’implementazione di soluzioni per il clima guidate dai giovani con finanziamenti e altri tipi di supporto. Tutto questo con lo scopo di determinare un impatto climatico più sostenuto sul territorio.

    

Dal 2021, è diventato un evento annuale, forse il più atteso del settore, che riunisce attivisti, innovatori, rappresentanti governativi, agenzie ONU, organizzazioni private e non profit. La prima volta si svolse a Milano nell’ambito del Summit pre-COP. Qui i delegati dei giovani di tutto il mondo hanno condiviso la loro visione e le loro richieste in quattro aree tematiche:

  • i giovani guidano l’ambizione
  • la ripresa sostenibile
  • l’impegno degli attori non statali
  • la società attenta al clima

Nel 2022 si tenne a New York il Youth4Climate: Powering Action. Questo evento ha lanciato la collaborazione tra il governo italiano e l’UNDP per renderlo un’iniziativa a lungo termine a sostegno dei giovani leader del clima.

     

Roma 2023

Quest’anno lo Youth4Climate si è svolto a Roma nei giorni 17, 18 e 19 ottobre. Qui sono arrivati 130 under 30 provenienti da 63 Paesi per confrontarsi sulle azioni possibili per il clima. In questo caso, il Mase ha gestito l’iniziativa globale in collaborazione con il Centro del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). Lo “Youth4Climate: Sparking Solutions 2023” è un evento che segue una prima fase avviata a New York, dove a settembre sono stati raccolti ben 1143 progetti. Di questi solo i migliori 40 sono arrivai a Roma. L’iniziativa articolata in 3 giorni, si divide tra Palazzo Rospigliosi e Casina di Macchia Madama.

   

L’apertura è stata affidata all’inviato speciale italiano per il Clima Francesco Corvaro e il Coordinatore del Centro UNDP di Roma Agostino Inguscio. Dopo una prima presentazione sono seguiti quattro panel di confronto tra i giovani sui temi della sostenibilità urbana, energia, alimentazione e agricoltura, educazione. Il secondo giorno, ha aperto i lavori il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. Successivamente i giovani si sono messi all’opera su altri temi come: giustizia climatica, approccio unitario tra privato e pubblico nella sfida ambientale. E ancora il supporto finanziario e tecnico all’inclusione dei giovani nel processo di cambiamento, terminando con l’accensione serale del Colosseo con il logo di Youth4Climate. L’evento si è concluso con la premiazione dei progetti, presidiata dal Ministro Pichetto Fratin e dal Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani. Per concludere in bellezza, il maestro Giovanni Allevi ha sorpreso tutti dedicando un video ai giovani della Youth4Climate, spronandoli a fare sempre di più.

 

I vincitori

Tra questi 40 progetti, alcuni hanno spiccato in specifici settori. Per la categoria “Energia” si riportano:

  • “Emisa Enterprise” di Isaac Chiumia dal Malawi. Ha ideato una stufa che fa risparmiare circa 4-5 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno rispetto alla cucina tradizionale. In questo modo si riducono i tempi di cottura e i costi del combustibile fino al 60%.
  • “Enable the disable action” di Sylvain Obedi Katindi della Repubblica democratica del Congo. Il progetto prevede l’inclusione di giovani e persone con disabilità nelle azioni climatiche, rafforzando la loro educazione ambientale e occupazione nell’imprenditoria ecologica.

Nel settore “Alimentazione e agricoltura:

  • “Seed of Life” di Errachid Montassir dal Marocco. L’idea è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla conservazione dell’ambiente promuovendo i benefici dell’arboricoltura attraverso la piantumazione di alberi da frutto biologici.
  • “Nabd Development and Evolution Organization (NDEO)” di Muna Alhammadi dallo Yemen. Propone la diffusione di pratiche climaticamente intelligenti. Un esempio sono le serre domestiche con sistemi di irrigazione a goccia per aiutare le famiglie ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Oltre a questi c’è un podcast per insegnare agli ucraini come ricostruire il Paese in modo green dopo la guerra. Si parla di batterie riciclate che portano l’elettricità nelle zone rurali della Colombia e del cemento per costruire aree di aggregazione ricavato dalle discariche di Delhi.

     

Tale iniziativa dimostra ancora una volta, quanto i giovani siano pronti a contrastare il cambiamento climatico. Non si tratta solo di attivismo, ma di ragazzi con un bakground di grandi studi e ricerche che si uniscono per un fine comune. Quello di rendere il mondo un posto migliore.

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Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

By : Aldo |Ottobre 19, 2023 |Arte sostenibile, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

Per il sedicesimo anno consecutivo, si è svolta la Start Cup Puglia, che ha fatto spiccare molteplici giovani realtà del territorio.

     

L’evento 2023

Le Start Cup regionali continuano e il 18 ottobre si è conclusa la selezione in Puglia, con un evento ospitato dalle Officine Cantelmo di Lecce. Quest’anno la ricerca, le idee e l’innovazione sono andate oltre qualsiasi aspettativa con un podio interessante e variegato.

   

Foreverland conquista il primo posto con l’invenzione del Frecao, seguito da MyBon con la sua piattaforma nazionale per gli scontrini. Infine, troviamo Ember Laptops con il suo laptop innovativo e Preinvel che presenta la prima tecnologia di filtraggio fluidodinamico brevettato ad aria. Oltre alla selezione principale sono stati consegnati altri due premi:

  • “Premio regionale per l’innovazione” per il vincitore assoluto della Start Cup 2023
  • “Premio speciale per il miglior progetto di impresa ad impatto sul climate change” Green&Blue offerto dal Gruppo Gedi, media partner del PNI.

A seguito di tale evento i progetti finalisti accedono alla finale del Premio Nazionale Innovazione, che si svolgerà a Milano nei giorni 30 novembre e 1 dicembre 2023.

    

Foreverland: primo vincitore

La startup vincitrice è costituita da quattro giovani, Massimo Sabatini, Giuseppe D’Alessandro, Riccardo Bottiroli e Massimo Brochetta. Questi ragazzi hanno unito forze e conoscenze (di esperienze rilevanti in multinazionali) per determinare un impatto positivo nel mondo. Il loro obiettivo è quello di affrontare le criticità ambientali ed etiche legate alla produzione di cibo. Così si sono concentrati su un alimento che piace a tutto il mondo, è sempre più richiesto ed è parte della nostra quotidianità: il cioccolato. La loro ricerca è partita dalle origini del prodotto più amato al mondo, di cui pochi conoscono il vero iter di produzione.

    

Foreverland ha studiato le fasi di raccolta, produzione e trasporto del cioccolato e i dati estratti, sottolineano l’impatto negativo sul mondo della sua industria:

  • è responsabile del 45% della deforestazione in Costa d’Avorio e in Ghana;
  • più di 1,5 milioni di bambini vengono sfruttati per la sua raccolta;
  • richiede circa 24.000 litri d’acqua per ogni chilogrammo prodotto;
  • è il secondo prodotto al mondo per emissioni di CO2 dovute alla logistica e allo sfruttamento delle terre.  

    

Per queste ragioni, i ragazzi che alle spalle hanno delle grandi esperienze nell’ambito delle multinazionali, si sono uniti per creare un cioccolato alternativo. Così nasce Freecao, un ingrediente rivoluzionario per il settore dolciario, privo di cacao, ma creato a partire dalla carruba.  Quest’ultima è un legume poco conosciuto e valorizzato che in Italia invece cresce in abbondanza rendendola il secondo produttore mondiale. Si parla quindi di una svolta ecologica, ambientale ma anche più etica: si può definire Freecao come un’innovazione sostenibile a tutti gli effetti poiché prevede:

  • una riduzione dell’80% delle emissioni di CO2;
  • una riduzione del 90% del consumo di acqua;
  • è privo dei principali allergeni (latte e frutta a guscio);
  • non contiene glutine o caffeina;
  • ha il 50% in meno di zuccheri (rispetto ad un cioccolato al latte tradizionale);
  • non contiene ingredienti artificiali.

    

Dunque, siamo di fronte ad un nuovo alimento che risulta più sano per il consumatore, più sano per il pianeta e anche più etico. Questo perché sono state scelte coltivazioni locali di carrube, in cui è escluso lo sfruttamento minorile. Precisamente tra 29 giorni, sarà possibile assaggiare questo cioccolato mediterraneo, cacao free al 100%, vegano e sostenibile: chissà quale sarà la risposta dei consumatori?

     

Flying DEMon: premio speciale Green&Blue

Il premio speciale “Green and Blue” invece è stato consegnato a Flying DEMon, una startup legata al monitoraggio ambientale. L’impresa nasce proprio nel 2023, grazie ad un gruppo di ricercatori INFN che in breve tempo ha vinto anche il premio dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. Il team registrato alla Camera di Commercio, accreditato come spinoff dell’Università di Bari ha prevalso con un programma sul monitoraggio ambientale.

    

La missione di Flying DEMon è quella di fornire servizi nel settore della rilevazione e nel monitoraggio ambientale di elementi radioattivi. Questo è possibile grazie all’esperienza e alle competenze del team legate ad anni di Ricerca e Sviluppo nell’ambito di esperimenti di fisica astroparticellare.

La startup barese propone un sistema per semplificare e velocizzare il monitoraggio ambientale per la ricerca di sorgenti radioattive presenti sul territorio. Come? Con un detector FHERGA – Flying High Efficiency fast-Response Gamma affiancato da sensori per immagini ottiche e iperspettrali, installati in un drone di 10 kg. In aggiunta, la squadra ha pensato alla progettazione di un’elettronica dedicata alla acquisizione e analisi di dati in tempo reale.

     

L’evento è stato organizzato da ARTI – Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione, in collaborazione con Regione Puglia, PNI e Comitato Promotore. Tale cooperazione ha permesso l’istituzione di grandi premi come quello del primo posto, del valore di €10 mila il diritto di accesso al PNI.

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Il rapporto del primo Global Stocktake: cosa si richiederà alla COP28?

By : Aldo |Ottobre 09, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Il rapporto del primo Global Stocktake: cosa si richiederà alla COP28?

Tanti paesi si sono mossi per migliorare il proprio impatto sul pianeta; eppure, c’è ancora molto da fare in questo senso. Sicuramente le varie riunioni, le assemblee globali aiutano tale cambiamento, tuttavia servono linee più rigide e molti più finanziamenti.

 

Global Stocktake

Prima di parlare della situazione in cui ci troviamo e delle linee guida proposte dall’assemblea, è necessario spiegare l’entità e la rilevanza del Global Stocktake. Si tratta di un bilancio globale, un processo per i paesi e le parti interessate (alla COP) per capire quali progressi collettivi sono in atto. Dunque, è un incontro che serve a determinare se gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico, sono in fase di realizzazione o meno.

   

Considera tutto quello che riguarda la posizione del mondo sull’azione e il sostegno per il clima, per poi identificare le lacune e colmarle. Così facendo si traccia un percorso migliore per accelerare l’azione richiesta dall’assemblea e globalmente necessaria. Questo bilancio si svolge ogni cinque anni e il primo terminerà con la COP28 che si terrà dal 30 novembre a 12 dicembre a Dubai. È fondamentale ricordare che non è solo un controllo di routine, ma un un’opportunità per aumentare l’ambizione per evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico. Non è quindi la soluzione agli attuali problemi, ma la base di una risposta che faccia la differenza.

   

Secondo Stiell, nuovo segretario esecutivo dell’Unfccc, il risultato ideale di tale bilancio sarebbe una tabella di marcia. In essa dovrebbero essere inclusi dei “percorsi di soluzioni” che guidino le azioni immediate, divise per settori, regioni, attori. Il tutto per raggiungere gli obiettivi previsti entro i prossimi 7 anni.

   

Rapporto di sintesi

Per poter arrivare alla COP28 con le idee chiare, è stato creato un rapporto di sintesi. Quest’ultimo presenta una serie di misure utili a restare sotto gli 1,5°C e sarà la base dei negoziati del prossimo incontro. Il documento di 45 pagine, presenta i 17 risultati principali, i quali ci informano che non siamo sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi prefissati.

 

Attualmente siamo molto distanti dalla traiettoria giusta per rispettare la soglia di 1,5 gradi, forse l’obiettivo più ambizioso del Paris Agreement. Le analisi svolte sulla base dell’impatto collettivo di tutte le misure annunciate dagli stati nei loro Contributi Nazionali Volontari, non mostra una realtà positiva. Infatti, il calcolo afferma che nel 2100 potremmo arrivare a un aumento della temperatura di 1,7°C rispetto all’epoca pre-industriale. Tuttavia, se si considerano solo le politiche già introdotte, la traiettoria oscilla tra +2,1 e +2,9°C. Proprio per rimediare a tale situazione, il primo Global Stocktake parte dai seguenti numeri:

  • – 43% di gas serra entro il 2030,
  • – 60% entro il 2035,
  • – 84% entro il 2050, rispetto ai volumi emissivi del 2019.

Le azioni e i punti di discussione

Il rapporto tecnico (presentato dall’UNFCCC), presenta ed evidenzia le molteplici problematiche da risolvere, a seguito di vari colloqui con i Paesi partecipanti alla COP28. Di conseguenza il team di scienziati prescelto ha valutato tutte le possibili mosse per risolvere queste tematiche di interesse globale. Nella discussione ritroviamo punti e temi che sembrano non sparire mai ed altri nuovi o aggiornati (a seconda del progresso attuato in questi anni).

 

Tra questi è sempre presente e rilevante la questione dei combustibili fossili. In questo caso si chiede fermamente l’eliminazione graduale di tutte le fonti e le emissioni fossili e l’adozione di una guida per consentire tale transizione. Inoltre, si suggerisce di “accelerare l’eliminazione progressiva dei combustibili fossili unabated” (punto stabilito Cop26 di Glasgow). Per un’azione congiunta e di successo è consigliata l’eliminazione dei sussidi inefficaci ai carburanti di questo tipo nel 2025. Infine, si richiede lo stop alle esplorazioni di nuovi giacimenti fossili entro questo decennio.

   

Sul piano dei finanziamenti invece, si spinge per destinare almeno 200-400 mld $ entro il 2030 al fondo “Loss and damage”. Tale richiesta è fondamentale per garantire un equo ammontare di aiuti ai paesi vulnerabili più colpiti dalla crisi climatica. Poi ancora ci sono molteplici punti, già discussi negli anni precedenti, per i quali si richiede un maggior rigore, come nel caso del settore energetico. In tal senso si vuole fissare l’obiettivo globale di triplicare la capacità installata di rinnovabili entro il 2030 e quello di raddoppiare l’efficienza energetica.
  

È importante però ricordare che ogni punto, ogni questione va esaminata sempre tenendo conto delle differenze sociali ed economiche dei singoli paesi.

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Vittoria storica per gli indigeni del Brasile: “No al Marco Temporal”.

By : Aldo |Settembre 25, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Vittoria storica per gli indigeni del Brasile: “No al Marco Temporal”.

Gli indigeni nel mondo combattono da anni per vedere i propri diritti rappresentati o rispettati, andando contro i governi di molteplici nazioni.

In Amazzonia, negli ultimi anni si sono battute tantissime popolazioni che, fortunatamente, sono riuscite a cambiare il corso della storia.

    

Il Marco Temporal

Il Marco Temporal (o Limite Temporale) è una proposta di legge che avrebbe favorito (secondo le popolazioni indigene) un “genocidio legalizzato”. Si tratta di un disegno che puntava tutto sulla promozione della sostenibilità occidentale per sfruttare le terre dell’Amazzonia e le sue risorse. Il tutto senza rispettare i diritti e in generale le popolazioni indigene che senza dubbio sarebbero state sterminate.

   

L’interesse era legato a materie come il “litio verde”, le terre rare, l’oro, il petrolio, il legno, la soia e la carne. L’estrazione o la produzione di queste materie danneggia da anni le riserve indigene e la legge avrebbe solamente accelerato tale devastazione. In più la legge avrebbe la cancellato le richieste in sospeso, per il riconoscimento delle riserve e autorizzato l’accesso deliberato alla foresta. E per non farsi mancare nulla avrebbe limitato il potere del Ministero dei Popoli Indigeni e del Ministero dell’Ambiente. Così facendo avrebbe messo in pericolo risorse fondamentali come l’acqua e le foreste e la vita stessa delle popolazioni indigene.

   

Pertanto una legge simile non avrebbe rispettato punti fondamentali della costituzione a favore del business, mettendo in pericolo migliaia di persone.

    

La lotta degli indigeni

Le comunità indigene, i popoli che abitano l’amazzonia si sono ribellati sin da subito a quest disegno di legge. Le novità previste da quest’ultima non erano altro che modi con cui la nazione avrebbe potuto fare quello che più le interessava con il polmone verde. Mettendo così in pericolo intere popolazioni, molte delle quali non hanno quasi alcun contatto con il mondo esterno. Potremmo dire che contrastare la sua approvazione era letteralmente questione di vita o di morte per gli abitanti della foresta.

   

La legge introduceva dei vincoli che determinavano l’impossibilità di istituire riserve protette sulle aree dove gli indigeni non erano presenti alla data del 5 ottobre 1988. Data in cui entrò in vigore l’attuale costituzione. Anche se il il giudice della Corte Suprema Edson Fachin ricorda che:

 

… i diritti territoriali indigeni sono riconosciuti dalla Costituzione, ma preesistono alla promulgazione della Costituzione stessa”.

 

Inoltre, non avrebbero potuto essere demarcate, ovvero mappate, quindi riconosciute come zone su cui insistono dei diritti dei popoli nativi. In tal modo la nazione era libera di violare i diritti dei popoli indigeni, approfittando della loro instabilità, instaurata dallo Stato stesso. Questo perchè in molti erano stati costretti a lasciare le loro terre ancestrali da politiche statali, durante la dittatura militare tra gli anni ’60 e ’80. Per tale motivo, gli indigeni si battono da anni per l’istituzione e la promozione di riserve naturali e aree protette. Sono l’unico modo con il quale riuscirebbero a bloccare lo sfruttamento delle loro terre da parte delle multinazionali dell’allevamento, del disboscamento e dell’estrazione mineraria.

   

Fortunatamente, con forza e determinazione, i popoli della foresta sono riusciti (con le loro proteste e i loro appelli) a cambiare la rotta di questo processo.

   

Verso la vittoria

Prima ancora che la legge fosse approvata alla Camera, i rappresentanti delle popolazioni indigene hanno organizzato delle manifestazioni contro il governo. Per esempio, a San Paolo hanno bloccato l’autostrada e dato fuoco a pneumatici, per poi usare archi e frecce contro la polizia.  Oppure gruppi di nativi indigeni di tutto il paese hanno programmato una settimana di proteste davanti al Congresso nella capitale Brasilia.  Mentre il cacique (cioè il capo tribale) Raoni Metuktire, ha presentato una petizione contro le restrizioni alla demarcazione delle terre dei nativi.

   

Tutto questo, il cambio di governo e forse una maggiore sensibilizzazione al tema hanno portato alla grande vittoria. Così, la legge proposta durante il governo Bolsonaro è stata bloccata e rispedita al mittente pochi giorni fa. La procedura durata due anni è finita con una vittoria netta per popoli indigeni e attivisti ambientali. Nello specifico 9 degli 11 giudici della Corte Suprema si sono dichiarati contrari ad approvare il Marco Temporal.

 

Fiona Watson di Survival International ha dichiarato:

 

È una vittoria storica, cruciale per i popoli indigeni del Brasile e una grande sconfitta per la lobby dell’agrobusiness”.

 

Il Marco Temporal era uno stratagemma pensato per legalizzare il furto di milioni di ettari di terra indigena. Se fosse stato approvato, decine di popoli ne sarebbero usciti devastati – come migliaia di Guarani e i Kawahiva incontattati”.

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E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?

By : Aldo |Agosto 28, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?
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La mobilità elettrica sta crescendo negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie ma anche per via di bonus e investimenti da parte dello Stato.

Comunque nella “mobilità elettrica” sono inclusi oltre alle macchine, biciclette e monopattini elettrici che prendono sempre più consensi tra i cittadini.

Mukuta

Mukuta è il nome di un progetto all’avanguardia che unisce due ambiti rilevanti della sostenibilità, ossia l’energia e la mobilità.  Si tratta di un prototipo della società di e-moblity Splach, che ha da tempo altri prodotti sul mercato, tra cui e-scooter ed e-bike.

Un monopattino elettrico unico nel suo genere grazie ad una considerevole innovazione e pensato per massimizzare la sua efficienza.

Il nuovo prodotto infatti è un mezzo di locomozione elettrico che può trasformarsi in una fonte di energia portatile per la ricarica di altri dispositivi. Il piano è quello di realizzare un sistema con batteria estraibile e “riutilizzabile”, come un power bank che possa alimentare eventualmente anche il veicolo stesso.
   

Il monopattino in dettaglio

La società SPLACH, fondata tra Los Angeles e Taiwan, è impegnata nella ricerca di materiali, tecnologie e design che soddisfino le esigenze dei clienti.

Pertanto, il mezzo ha una serie di caratteristiche che descrivono l’alta qualità del prodotto:

  • telaio in lega di alluminio 6082-T6;
  • sopporta fino a 120 kg di peso;
  • robusti pneumatici airless;
  • doppia sospensione regolabile;
  • sistema di luci a LED (sia sul manubrio, sia ai lati della pedana per illuminare in sicurezza la strada e aumentare la visibilità);
  • freni a doppio disco;
  • E-ABS.

Presenta un doppio motore, che si combina per una potenza pari a 2.208 watt, che consente di raggiungere i 45 km/h in 5,9 secondi. Può essere guidato su strada o fuori strada ed affrontare pendenze del 40%.

Tuttavia, la parte più innovativa, il punto di forza di questo prodotto è la batteria (il sistema d’accumulo) da 748,8 Wh. Questa può fornire a Mukuta un’autonomia di 62km ad ogni ricarica, ma durante l’inattività del veicolo può essere utile per altro.

Infatti, c’è la possibilità di rimuoverla ed usarla per ricaricare dispositivi e piccoli elettrodomestici, grazie al convertitore con 2 porte USB e una tipo C.

Gli inventori hanno portato degli esempi concreti della potenza di tale batteria e delle due capacità. Per esempio, se fosse piena al 100%, potrebbe alimentare 11 volte un laptop, 56 uno smartphone e 14 un frullatore.

 

Investimenti

Un’altra particolarità alle spalle di Mukuta è la modalità con la quale hanno messo alla luce tale progetto. Si tratta della campagna Indiegogo, che la società ha attivato per finanziare la produzione del mezzo, che ora parte da un prezzo di 921 euro. Trattandosi di una società e non di un grande brand, il crowdfunding serve per poter raggiungere il miglior risultato possibile. Non a caso, nella descrizione vengono ringraziati i donatori e i clienti per la fiducia ma anche per l’attesa.

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Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

L’Unione Europea spesso è nominata come una delle realtà più virtuose al mondo in termini di sostenibilità.

Sicuramente questa qualità è dettata da fondi e bandi pubblicati per nuovi progetti volti alla salvaguardia del pianeta e al miglioramento della vita di tutti.

    

Intelligent Cities Challenge

Quando la transizione ecologica chiama, l’Europa, di solito risponde con bandi e finanziamenti per migliorare la vita su questo pianeta.

Negli ultimi anni sono state indette molteplici gare e bandi per investimenti volti al miglioramento delle azioni ritenute necessarie per contrastare il cambiamento climatico.

Tra le decine di programmi pensati per le città europee e la loro trasformazione verde, si nomina anche l’ Intelligent Cities Challenge.

Si tratta, come riportato nel nome, di una sfida che vede come protagonisti, le migliori tecnologie per la formazione di smart cities e tanto altro.

Il bando scaduto il 31 maggio 2023, sostiene le città europee selezionate, nella transizione verde e digitale grazie a strumenti e conoscenze all’avanguardia.

    

Edizione 2023-2025

Per l’edizione 2023-2025 hanno partecipato 64 città europee, selezionate per favorire la crescita dell’ecosistema smart city e applicare sui luoghi e le città i principi del Local Green Deals. Il piano prevede che ogni territorio scelto, potrà usufruire di due anni di consulenza strategica da esperti internazionali su vari filoni tematici classificabili in 3 punti:

  • costruzioni e ambiente edificato
  • energia e rinnovabili;
  • mobilità e trasporti.

Questi sono i settori chiave delle città che hanno un alto grado di influenza locale, mentre quelli secondari sono

  • turismo;
  • piccole e locali vendite al dettaglio;
  • agroalimentare;
  • tessile;
  • settore creativo culturale.

O ancora, ambiti come economia verde, digitalizzazione della pubblica amministrazione, transizione verde e digitale del turismo, resilienza delle catene di approvvigionamento locale, riqualificazione dei territori. A ciascuna città partecipante sarà chiesto di attuare un Green Deal locale e una serie di azioni concrete per adottare economie più resilienti e sostenibili.

    

Le scelte dell’Italia

Il bando ha selezionato ben 9 centri urbani italiani, che si troveranno in prima linea per la transizione digitale e verde. Catania, Firenze, Busto Arsizio, Campobasso, Legnano, Mantova, Pescara, Rete Svezia Emilia-Romagna e l’Unione dei Comuni della Grecia Salentina sono le città scelte dalla Comunità europea.

Queste dovranno lavorare efficacemente di modo da attuare azioni per rendere le città sempre più intelligenti, sicure e sostenibili. In concreto, l’obiettivo è quello di sfruttare a pieno le potenzialità che le tecnologie possono avere sui centri urbani. Tutto questo per migliorare la qualità di vita dei cittadini, la competitività economica e la resilienza sociale.

Tra le 9 città italiane spicca il progetto di Mantova, considerato ambizioso per i suoi obiettivi e la situazione da cui parte.

   

Il calcolatore di emissioni

Mantova ha presentato un progetto basato sul monitoraggio delle concentrazioni di CO2, per mezzo dell’intelligenza artificiale. É un piano che riguarderà tutti i settori economici e amministrativi del centro urbano, così da poterlo trasformare in una smart city.

   

Il progetto però parte dall’EUCityCalc, un programma europeo che ha visto Mantova tra le 10 città pilota per implementare il primo European City Calcolator. Si tratta di un software open source che fornisce una visione completa (o ampia) dei livelli di inquinamento settore per settore.  In tal modo si possono studiare misure che possono essere impiegate per neutralizzare le emissioni e risanare la salubrità dell’atmosfera.

  

Non a caso, il piano è stato proposto da quello che è considerato come uno tra i più inquinati d’Europa. Inoltre, l’obiettivo prefissato è quello di diventare carbon neutral entro il 2030; dunque Mantova si presenta all’Unione Europea come una città super ambiziosa.

Il super calcolatore di emissioni, è supportato dalla tecnologia open source. In questo modo può raccogliere in autonomia e in tempo reale i dati sulle concentrazioni di anidride carbonica che arrivano va vari settori rilevanti. Tra questi citiamo ovviamente trasporti, industria, agricoltura, edilizia, che creano un’immagine completa del livello di inquinamento del territorio.

    

In questo caso, il progetto è supportato dall’Alleanza territoriale Carbon Neutrality, una rete composta da soggetti pubblici e privati impegnati nell’abbattimento delle emissioni. Si occupano anche della creazione di comunità energetiche, dell’incremento della forestazione e del verde urbano, dell’efficientamento energetico degli edifici anche del centro storico.

    

Questo non è il primo e non sarà l’ultimo caso, in cui si parla della centralità delle tecnologie per un futuro migliore. Attualmente il potere del mondo digitale è talmente forte che, se usato bene può essere una delle nostre migliori risorse per contrastare il cambiamento climatico. Senza dubbio servono finanziamenti adeguati a sviluppare certi sistemi e impianti, ma di sicuro non mancano le idee e gli studi.  

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È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare |Commenti disabilitati su È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

Le energie rinnovabili non sono più un tabù, ce ne sono molteplici e si sviluppano in vari ambiti.

Spesso si parla anche dell’energia idroelettrica e dell’offshore, ma in pochi ricordano l’esistenza dell’energia termica oceanica.

   

Energia talassotermica

È una fonte affidabile e costante di energia rinnovabile, più rispettosa dell’ambiente rispetto alle fonti energetiche tradizionali. Nasce come una risorsa di energia che non distruggesse l’ambiente che la produce o la possiede ed è legata al mare e agli oceani del mondo.

  

Energia termica oceanica, talassotermica o mareotermica, questi sono i termini che la definiscono, oltre alla sigla OTEC che sta per Ocean Thermal Eneegy Conversion. Quest’ultima comprende l’apparato inerente, l’impianto dedicato alla produzione di energia.  Tale fonte usufruisce delle diverse temperature misurabili tra i vari livelli di mari e oceani (ossia tra la superficie e le profondità). Questa è la sua più importante caratteristica, una peculiarità che la rende completamente differente dalle altre rinnovabili. 

   

Il primo a studiarla fu l’ingegnere francese Jacques Arsene d’Arsonval, mentre il suo allievo George Claude costruì la prima stazione. Questo discreto successo risale al 1881, dopodiché non si sentì più parlare di tale tecnologia, fino agli anni ’70.  Il Giappone in quel periodo costruì degli impianti con una potenza di circa 120 kW nelle isole Hawaii, dove ancora oggi è utilizzato questo meccanismo.

    

Come funziona

La tecnologia alla base dell’energia talassotermica è sviluppata sulla differenza delle temperature che esistono tra i diversi livelli di oceani e mari.

Si tratta di un prototipo che può generare elettricità 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, senza emissioni di CO2. Tale variazione (o “gradiente termico”) determina la produzione di una buona quantità di energia. Per esempio, per 60 Km2 di mare esposto al sole, si può produrre tanta energia quanto quella fornita da 250 miliardi di barili di petrolio. *

 

Ma come funziona un OTEC? Un impianto per l’energia talassotermica è attivo grazie ad un ciclo chiuso, aperto o ibrido a seconda della tecnologia scelta.

  

  • Ciclo chiuso: l’acqua calda consente l’evaporazione di un liquido interno, creando un aumento di pressione che fa girare una turbina collegata ad un generatore. Successivamente l’acqua fredda permette di ricominciare il ciclo da capo, quando l’ammoniaca (il liquido interno) torna allo stato liquido.
  • Ciclo aperto: in questo caso, il liquido utilizzato è la stessa acqua calda, che viene espulsa una volta desalinizzata e raffreddata alla fine del processo.
  • Ciclo ibrido: mescola i due cicli in modo efficace; pertanto, risulta il più complesso.

In generale sia l’acqua calda raffreddata, che l’acqua fredda riscaldata, vengono scaricate nell’oceano dopo essere passate attraverso gli scambiatori di calore. Per far sì che un OTEC funzioni è necessario un gap di temperatura di almeno 20°C tra le profondità delle acque e la loro superficie.

   

Tra i vantaggi di tale tecnologia, si riscontra la capacità di poter contribuire all’alimentazione elettrica di base grazie ad una disponibilità stabile e costante. Questo perchè il suo potenziale è molto più elevato di altre forme di energia oceanica. Addirittura, si potrebbero produrre fino 10.000 TWh /anno di elettricità con l’OTEC, senza danneggiare la struttura dell’oceano. Di certo, questo valore è raggiungibile solamente in alcune aree, come per esempio quelle tropicali, dove il gradiente termico è maggiore di 20°C durante tutto l’anno.

Un secondo ed importante vantaggio è la sua multifunzionalità: un OTEC può essere integrato nella dissalazione dell’acqua, nella sua produzione o in quella dell’aria fredda.

   

*(Stime del National renewable energy laboratory – Nrel)

    

La situazione odierna

Oggi nel mondo esistono vari impianti in attività, alcuni dei quali sono esclusivamente delle installazioni dimostrative. Come è stato già riportato, il Giappone possiede degli impianti; attualmente conta due OTEC sperimentali da 30 e 100 kW. Tuttavia, ne sta ultimando un terzo da 1 MW di potenza.

Altre installazioni attive si trovano nell’isola della Reunion (da 15 kW) e nelle Hawaii (da 105 kW) connesse alla rete elettrica. I progetti però non sono finiti qui perchè ne sono stati pianificati altri in India, Bahamas, Filippine, Maldive e Sri Lanka.

    

Tra questi è presente anche il progetto di ricerca europeo denominato PLOTEC, finanziato con oltre 1 milione di euro dall’Unione Europea. Il programma prevede la pianificazione di una piattaforma in grado di resistere agli effetti meteorologici estremi degli oceani tropicali.  Tale progetto ha l’obiettivo di definire un modello di costo accessibile per quei luoghi e una convalida del sistema in scala reale.

   

Sicuramente delle strutture simili avranno bisogno di maggiori manutenzioni a causa dell’azione dell’acqua e del sale disciolto in essa. Pertanto l’Università delle Hawaii e dal Pacific International Center for High Technology Research ha rilasciato dei dati per quanto riguardano i costi dell’impianto. La stima per un OTEC di 5MW va dagli 80 ai 100 milioni di dollari in cinque anni.

    

Ovviamente sono installazioni esposte a molti rischi ed è per questo che finora gli investimenti sono stati indirizzati altrove. Purtroppo, non c’è un ampio margine di manovra, d’altro canto si possono migliorare quotidianamente le caratteristiche di un OTEC, soprattutto se possono portare ulteriori benefici.

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