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Con il cambiamento climatico cambiano anche i sistemi assicurativi.

By : Aldo |Marzo 18, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con il cambiamento climatico cambiano anche i sistemi assicurativi.

Come sottolineato più volte, il cambiamento climatico comporta delle modifiche in tantissimi ambiti. Eppure, ogni giorno si parla di un nuovo settore in cui si riscontrano nuove problematiche e/o innovazioni correlate a questo tema. Oggi si parla anche delle assicurazioni.


I danni dei fenomeni estremi

Negli ultimi anni, i danni legati ai cambiamenti climatici hanno raggiunto cifre allarmanti. Nel 2023, in particolare, si è registrato un significativo aumento rispetto agli anni precedenti incrementando esponenzialmente i costi economici ad essi correlati. I numeri da capogiro sono tali da gravare pesantemente sul bilancio delle nazioni coinvolte. In Italia, gli eventi estremi si sono moltiplicati, con un numero record di disastri naturali come alluvioni, ondate di calore, e incendi boschivi. Questi hanno causato danni devastanti alle infrastrutture, all’agricoltura e alla vita delle persone.

    

Pertanto, si rafforza la necessità di adottare misure concrete per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici, poiché il costo umano, economico e ambientale continua a crescere in modo inarrestabile. Il peso economico di tali fenomeni viene studiato ed è diventato una tematica rilevante anche nell’ambito delle assicurazioni, con non pochi dubbi, richieste e scontri di pensiero.

    

Il cambiamento delle assicurazioni

Le assicurazioni di tutto il mondo sono ormai entrate in un vortice che riguarda i risarcimenti per danni legati ai fenomeni estremi, riconducibili al cambiamento climatico. La questione risulta complicata poiché nello stesso momento le compagnie stanno aumentano le franchigie e i premi ed alcune addirittura negano le coperture, con conseguenze che ricadono su cittadini ed imprese.

   

Sebbene non si tratti di una questione semplice è ancora più complicato spiegare i movimenti finanziari e le decisioni alla base di tale mercato, tanto da coniare un termine: uninsurability crisis. Un esempio che può spiegare la situazione è quello riguardante la Florida, dove i prezzi delle assicurazioni per le case sono triplicati. A causa dell’aumento della frequenza degli uragani e della loro potenza, si è passati dai 1988 dollari del 2019 ai 6.000 dollari di oggi.  

   

Sicuramente la Penisola italiana non ha registrato gli stessi danni degli Stati Uniti, ma l’allerta è aumentata da qualche anno. Difatti, dopo le grandinate dello scorso luglio, sono arrivate tantissime segnalazioni dei cittadini che addirittura non riuscivano più ad acquistare coperture per gli eventi atmosferici, vista l’enorme domanda. Fino al 2022 si trattava di un anno stabile, mentre il 2023 ha registrato delle cifre oltre le previsioni, tanto da far dubitare gli esperti sull’eccezionalità della questione.

 

Il sistema assicurativo

Le assicurazioni funzionano poiché esiste il concetto di “mutualità”. Per tale sistema, ci si assicura per tutelarsi dall’imprevisto (che nella gran parte dei casi non si verificherà). Tuttavia, la somma dei premi raccolti consente di risarcire chi riporta il danno: si tratta di una scommessa (calcolata con modelli matematici) per le compagnie e per il singolo, che però alimentano un sistema globale. Quindi se si verifica un uragano, si registreranno perdite ingenti, che saranno compensate comunque dalla raccolta dei premi effettuata in altre aree. Così non si ci sono problemi per il riassicuratore.

   

Sebbene si tratti di un sistema consolidato, si evidenziano le lacune quando si tratta di danni legati al clima, poiché aumenta la frequenza e la potenza degli eventi nello stesso momento in tutto il mondo. In questo caso, non ci si può rifare al concetto di mutualità e per questo diventa difficile calcolare nuove polizze, nuovi premi o contratti.  Soprattutto perché gli obiettivi degli assicuratori è quello di continuare a garantire tali protezioni al cliente, senza venire meno alle logiche economiche del mercato.

   

C’è da dire però, che il rialzo dei premi non dipende solamente dal fattore climatico ma anche dall’inflazione e da tutti i fenomeni macroeconomici globali. Lo Stato italiano si è mosso in questo senso, con la nuova legge di bilancio, la quale impone che le imprese si assicurino contro i rischi catastrofali entro la fine del 2024. Così facendo il bacino dei clienti viene ampliato consentendo lo sviluppo del concetto di “mutualità”.

   

Considerazioni generali

Le perdite economiche globali (calcolate per il 2022) per danni correlati a quattro tra i fenomeni meteo principali (inondazioni, cicloni tropicali, tempeste invernali in Europa e temporali di grande intensità), ammontano a ben 200 miliardi di dollari. Dove solo gli USA ne contano 97 miliardi, mentre l’Italia è al 17° posto con 2.3 miliardi (0.11% del PIL).

   

Il trend dei fenomeni estremi aumenta, ma quelli come la grandine a luglio, sono dei rischi impliciti per chi fa assicurazione. Il caso è diverso se gli eventi sono di portata e frequenza maggiore, per cui è necessario diminuire la vulnerabilità. Per far si che si riduca la vulnerabilità c’è bisogno di investimenti nelle opere di adattamento di ogni Paese, o almeno questo è quello che alcuni gruppi affermano.

    

C’è chi invece è contrario a tale dichiarazione, che sembra quasi uno scaricabarile sugli Stati. Difatti, evidenziano come proprio le assicurazioni finanzino spesso e volentieri attività ed economie che alimentano il cambiamento climatico, come le estrazioni di combustibili fossili. Nonostante ciò, imporre alle compagnie assicurative e ai suoi clienti di ridurre le emissioni, non sembra essere una buona strategia. Questo perché l’obbligo ha portato ad un aumento delle polizze, gas e altri servizi.

   
Sicuramente è un argomento delicato, fatto di tantissime ipotesi, rischi e calcoli matematici. Non si tratta di un tema facilmente comprensibile per tutti, ma in qualche modo, parlarne può potare ad una maggiore sensibilizzazione di tutto il mondo.

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La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

By : Aldo |Marzo 11, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

La sostenibilità è un argomento sempre più importante dei nostri giorni, dalla quotidianità dei cittadini agli investimenti delle aziende. Di recente però, questo tema ha raggiunto un grande settore nell’ambito dello sport europeo, la UEFA.

L’impatto del calcio

Il calcio ha una grandissima influenza sulla società e l’economia internazionale. È probabilmente lo sport più seguito e popolare con oltre 4 miliardi di fan in tutto il mondo, un gioco che unisce tutti ed elimina qualsiasi tipo di barriere linguistiche, culturali e socioeconomiche. In questo modo contribuisce alla coesione sociale e comunitaria (nonostante ultimamente si siano verificate situazioni spiacevoli sotto questo punto di vista).

Tale portata è riflessa, anche in modo ampliato, all’economia globale, non a caso le entrate mondiali legate a questo sport hanno toccato i 30 miliardi di dollari annui. Tale processo è definito attraverso le grandi competizioni, come le famose “Coppe” della FIFA, la UEFA, la Champions Legue, l’Europa Legue e tanto altro. Questi eventi hanno un enorme impatto sociale, mediatico, turistico e dunque economico perché i tifosi si spostano, conoscono nuovi luoghi, frequentano ristoranti e alloggiano in hotel, compreranno gadget ed altro.

Sebbene sia una macchina gigante con alle spalle un mercato infinito, non sono solo questi gli ambiti in cui ha un impatto rilevante. Infatti, il calcio, con le sue molteplici attività, iniziative ed altro ha un grande impatto anche sull’ambiente: emissioni di carbonio, consumo di risorse naturali, trasferte, sono solo alcuni dei fattori analizzati.

Il “calcio” all’ambiente

Come citato pocanzi, sono tantissime le attività correlate al calcio, che hanno degli effetti più o meno negativi sul pianeta. In primis si parla di trasferte, che rappresentano il 40% dell’inquinamento ambientale correlato alla mobilità dei tifosi, mentre una partita europea produce ben 4,2 tonnellate di emissioni di CO2 (750 ton l’anno). Senza contare quanto spazio occupano le infrastrutture degli stadi che determinano una maggiore urbanizzazione e all’uso intensivo del suolo, con conseguenti impatti sulla biodiversità e sulle risorse idriche. E poi ovviamente i consumi di energia e tutti i servizi necessari a supportare migliaia di persone ogni weekend negli spalti.

Ovviamente tutto ciò non vuol dire che il calcio abbia solo lati negativi, ma allo stesso tempo ha un’influenza talmente importante che, se potesse apportare dei cambiamenti potrebbe fare veramente la differenza.

Già alcune società hanno iniziato a investire nelle energie rinnovabili per alimentare i propri stadi ma serve di più. Ed è per questo che la UEFA ha presentato il nuovo progetto, per cambiare il settore calcistico e migliorare la sua sostenibilità.

Carbon footprint calculator

Proprio il 6 marzo la UEFA ha presentato il progetto al quale lavorava da ben 2 anni: il cabron footprint calculator. Si tratta del primo calcolatore di impronta carbonica dedicato a tutte le organizzazioni calcistiche europee, uno strumento che le guiderà ad una maggiore sensibilizzazione e approccio alle innovazioni green nel settore. Il programma è stato introdotto dal direttore Social and Environmental Sustainability Michele Uva, durante una conferenza all’Emirates Stadium di Londra, che ha descritto tutte le novità e le iniziative di tale progetto.

Come prima cosa bisogna sottolineare che l’iniziativa promuove un software gratuito che permetterà a tutti i club e federazioni di seguire un metodo unico e certificato, per calcolare la propria impronta. Il programma è basato sul GHG Protocol, un metodo di calcolo certificato a livello internazionale che aiuta aziende, società, amministrazioni ed enti nel conteggio della CO2 emessa. La particolarità di questo progetto riguarda il coinvolgimento delle squadre stesse come l’Arsenal, la Roma e il Manchester City, le Federazioni calcio francese, olandese, austriaca, la Premiere League ma anche l’ONU e l’UNFCCC.

Per quanto riguarda le principali voci di emissioni di CO2 considerate, si citano:

  • la costruzione di nuovi stadi;
  • gli spostamenti di squadre e tifosi;
  • l’elettricità consumata durante gli eventi;
  • la gestione dei rifiuti.

Si tratta di poche voci ma significative, soprattutto quella legata agli spostamenti che sappiamo non essere proprio attenti all’ambiente e ai consumi di energia. Anche perché tutto questo non vale solo ed esclusivamente per i grandi club, ma anche per tutto il mondo dilettantistico o professionale ma di categoria inferiore. Infatti, si conta che ogni settimana 40 milioni di ragazzi in Europa giochino a calcio: questo significa che si spostano, muovendo famiglie e staff. Se poi ci aggiungiamo anche i 450 mila tifosi l’anno per la UEFA, il quadro della situazione è abbastanza chiaro.

In conclusione

Il progetto mira a cambiare l’impegno del calcio, per far si che la sua grande influenza possa anche portare un beneficio ambientale e quindi un miglioramento della vita di tutti. L’idea è quella di calcolare le emissioni di CO2 della finale di Champions, per poi moltiplicare quella quantità per il prezzo di una tonnellata di anidride carbonica (attualmente tra i 50 e i 60 euro, ndr). Così facendo si raccoglierebbe una somma destinata a finanziare progetti sostenibili, nelle squadre di territori più difficili o di piccole squadre, per aiutarle a migliorarsi. Quindi in occasione dei Campionati europei in Germania, è stato aperto un fondo per aiutare  i club dilettantistici che investono sull’ambiente. Un piano da 7 milioni di euro che conta già 1700 richieste.  

  

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Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.

By : Aldo |Marzo 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.
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Che l’Europa si stia muovendo per una neutralità climatica è evidente. Norme, iniziative e obblighi sono all’ordine del giorno e dovrebbero essere anche per i suoi Stati membri. In Italia, per esempio, si è palesata la volontà di monitorare maggiormente le condizioni delle regioni in questo senso. Ecco perché è nato il database CIRO.

    

Neutralità climatica

La sfida della neutralità climatica rappresenta un obiettivo cruciale per il quale, il mondo intero, considera urgente la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e mitigare i cambiamenti climatici. In Italia, il percorso verso la neutralità climatica è iniziato con l’adozione di diverse iniziative chiave, tra cui l’approvazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile nel 2017 e l’impegno nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) nel 2020.  Questi testi fissano obiettivi ambiziosi, sebbene la strada verso la neutralità climatica sia ancora lunga e con grandi sfide da affrontare.

    

Ad oggi, l’Italia ha fatto progressi importanti in questo senso con una riduzione delle emissioni di CO2 del 27% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi stabiliti e superare le sfide legate alla decarbonizzazione di settori dell’economia fondamentali, come l’energia, i trasporti e l’industria. Tale transizione richiederà un enorme sforzo e impegno costante da parte di tutti, dal governo ai cittadini per mezzo di nuove politiche, abitudini e adeguati finanziamenti.

    

Il database CIRO

Italy for Climate ha scelto otto “temi” per valutare le prestazioni climatiche delle Regioni italiane, tra cui emissioni, energia, rinnovabili, edifici, industria, trasporti, agricoltura e vulnerabilità. Questi ambiti sono considerati fondamentali per valutare i progressi verso la neutralità climatica dei territori ma non solo. Sono necessari per comprendere gli effetti delle azioni intraprese finora a livello locale, ma anche i rischi derivanti dal riscaldamento globale a seconda dell’area e delle comunità.

     

Per rendere questo monitoraggio possibile è stato inventato CIRO (il database delle Regioni sul clima) il quale ha identificato due o più “indicatori chiave” per ciascun tema. Così facendo è in grado di mostrare una panoramica aggiornata e dettagliata dei cambiamenti nel tempo. Italy for Climate, per questo programma si è avvalsa dei dati di istituzioni italiane autorevoli nel settore dell’ambiente, dell’energia e della mobilità, tra cui Ispra, Istat, Enea, Gse, Terna, Aci, Mims, Mipaaf. In tal modo le istituzioni sono capaci di migliorare le condizioni del proprio territorio con nuove pratiche per affrontare la sfida della neutralità climatica. Le 8 tematiche evidenziate dall’istituzione, comprendono ben 26 indicatori su cui nasce CIRO.

   

Le emissioni

Gli indicatori considerati per valutare le emissioni in una regione includono le “Emissioni pro capite di gas serra”, che considerano i livelli di consumo energetico, l’uso di fonti fossili, e le attività industriali e agricole, e gli “Assorbimenti”, che misurano le emissioni di gas serra assorbite dai sistemi naturali, soprattutto forestali, in rapporto alla superficie regionale. Valori negativi indicano che le emissioni superano l’assorbimento, come nel caso della Sicilia.

    

Per l’energia Energia e le rinnovabili

In questo caso si valutano i consumi energetici regionali considerando:

  • i consumi finali pro capite, che rappresentano il fabbisogno energetico individuale e includono contributi da tutti i settori,
  • il mix energetico primario ossia la percentuale di energia derivante da fonti, sia fossili che rinnovabili, per soddisfare il fabbisogno energetico regionale.

Secondo dei dati già 14 regioni italiane sono coal free (quindi non consumano più carbone).

Mentre per le fonti energetiche rinnovabili, l’Italia si concentra sullo sviluppo dell’eolico, del solare e dell’idroelettrico. Tra i suoi indicatori sono compresi:

  • La quota di consumi energetici da rinnovabili;
  • Nuovi impianti rinnovabili;
  • Comunità energetiche rinnovabili (attivate nel 2022). Il Veneto si distingue per la maggioranza di 13 nuove.

Per le infrastrutture e trasporti

Per gli edifici si ha una suddivisione in 4 parti quali:

  • Emissioni pro capite di gas serra degli edifici;
  • Consumi di energia degli edifici;
  • Quota di consumi elettrici negli edifici;
  • Quota di edifici in classe A.

In questo caso per mancano i dati della Campania e della Sardegna. Insieme alle infrastrutture, i trasporti rappresentano un punto cruciale della transizione. Infatti, in questo caso gli indicatori riguardano:

  • Emissioni pro capite di gas serra dei trasporti
  • Numero di automobili (ogni mille abitanti)
  • Passeggeri trasportati dal trasporto pubblico locale
  • Quota di auto elettriche nelle nuove immatricolazioni

Per il settore industriale, agricolo e la vulnerabilità 

Anche nell’industria ha il suo dovere e deve portare le sue modifiche e a tal proposito si parla si individuano i seguenti criteri:

  • Emissioni di gas serra dell’industria per valore aggiunto: tonnellate di CO2 equivalente emesse per milione di euro di valore aggiunto dei settori manifatturiero e edile:
  • Consumi di energia per valore aggiunto: tengono conto di tutte le fonti fossili e rinnovabili (come le biomasse), oltre che dei consumi elettrici.

Per concludere si cita anche il settore dell’agricoltura che come già evidenziato ha un grande impatto nell’ambito delle emissioni. Anche qui ritroviamo le emissioni pro capite seguite dai “capi bovini allevati (ogni 1000 abitanti)”, la “quota di agricoltura biologica” e “l’utilizzo di fertilizzanti” (kg di azoto per ettaro). E infine si descrive la vulnerabilità, per descrivere quali aree e regioni siano più soggette a danni ed effetti del cambiamento climatico in base al tasso di consumo del suolo e delle perdite della rete idrica e la quota di popolazione esposta al rischio alluvione.

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Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

By : Aldo |Marzo 05, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

Il problema dello scarto alimentare è un tema che riguarda tutti quanti in modo concreto. Tra gli scarti domestici e quelli delle aziende agricole, si contano migliaia di tonnellate di prodotto con grandi potenzialità che non vengono sfruttate. E per questo che in Italia la ricerca in questo senso sta aumentando per una maggiore circolarità.

    

Gli scarti agroalimentari

Gli scarti alimentari rappresentano un grave problema a livello globale, con importanti implicazioni ambientali, economiche e sociali. Nel mondo si stima che oltre il 33% di tutti gli alimenti prodotti vada sprecato, ossia circa 1,3 miliardi di tonnellate l’anno. Questi scarti contribuiscono in maniera significativa all’aumento delle emissioni di gas serra, alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Inoltre, rappresentano un enorme spreco di risorse idriche e di terre coltivabili. In Italia la situazione non è diversa poiché stima che ogni anno vengano prodotti circa 5,1 milioni di tonnellate di scarti agroalimentari, che corrispondono a circa il 15% del totale della produzione alimentare nazionale.

   

Ridurre tali scarti è una sfida cruciale da affrontare e risolvere il prima possibile per garantire la sostenibilità del nostro sistema alimentare e preservare le risorse naturali per le generazioni future. A questo proposito sono già in azione strategie di miglioramento della gestione delle filiere alimentarie di sensibilizzazione dei consumatori. Tuttavia, queste pratiche dovrebbero essere supportate dall’implementazione di politiche pubbliche mirate possono che contribuiscono a mitigare questo problema globale.

   

Gli scarti dei carciofi

Per affrontare tale problema c’è chi si è focalizzato sugli scarti di un ortaggio specifico, il carciofo. Ma perché proprio i carciofi? In Italia, l’annuale produzione e consumo di Cynara cardunculus (dati Ismea 2020), si aggira intorno alle 378 mila tonnellate. Purtroppo, però, gli scarti derivanti da questa produzione rappresentano oltre il 60% del totale raccolto, fino ad un 75% nelle lavorazioni industriali. Tali cifre evidenziano un grave problema che necessita soluzioni efficaci e sostenibili.

   

Se si pensa poi alla totale produzione di ortaggi, si può solamente immaginare quanto materiale venga eliminato nell’industria, e quanto potenziale esiste tra gli scarti. Proprio per rimediare a tale problema sono nate startup o grandi aziende hanno investito nella ricerca per poter migliorare ed efficientare la loro produzione.

   

La farina Karshof

Circular Fiber è una startup fondata da Luca Cotecchia e Nicola Ancilotto. I due hanno deciso di lavorare la parte erbacea più dura dei carciofi per produrre la Karshof. Si tratta di una farina funzionale ad alta digeribilità, priva di glutine, a basso contenuto di zuccheri ma ricca di fibre (60%), proteine (13%) inulina e cinarina. L’idea è nata dalla tesi di laurea di 5 studenti del master MBA al MIB Trieste School of Management ed è parte del progetto Terra Next di Fondazione Cariplo. Quest’ultimo sostiene l’innovazione nell’ambito della bioeconomia e dell’agricoltura rigenerativa.

    

Il programma prevedeva la formazione di una filiera del carciofo per sfruttare tutto lo scarto possibile. Purtoppo però l’idea è stata abbandonata in poco tempo vista la deperibilità del prodotto che non consente la sua lavorazione in zone lontane dal luogo di produzione. Tale difficoltà ovviamente riguarda l’intera produzione agroalimentare, che spreca fino al 30% della materia prima nell’UE. La  situazione descritta determina enormi perdite economiche oltre ad essere responsabile del 26% delle emissioni di gas serra.

    

Produzione e investimenti

Quindi i due founder di Circular Fiber hanno pensato ad una serie di succursali vicine alle aree di coltivazione e raccolta dei carciofi. Nonostante il progetto sia conveniente e possa effettivamente cambiare il settore, esiste un problema più grande legato ai macchinari. Perché un impianto per la lavorazione degli scarti dell’ortofrutta può costare anche 1.5 milioni di euro a modulo. Questi ultimi sono fondamentali per la trasformazione dello scarto in farina o comunque per produrre altri materiali; quindi, per poter affrontare tale sfida sono necessari anche dei grandi investimenti.

    

I sistemi necessari sono costosi a causa delle caratteristiche dello scarto stesso. Infatti, per produrre la Karshof, serve arrivare ad una fibra secca al 7% di umidità, mentre il carciofo parte da un tasso dell’80%. Per raggiungere le giuste condizioni servono degli essiccatori potenti come quelli del tabacco che eliminano il 75% di umidità in pochi minuti, ma proprio questi sono molto costosi. Circular Fiber ha avuto la possibilità di integrare tali moduli grazie all’investimento di un grande trasformatori della zona, che di recente è entrato nella società. Di certo, non tutti i coltivatori e produttori d’Italia hanno questa fortuna e dunque un diverso utilizzo degli scarti resta una possibilità remota.

    

Spostamenti e sostenibilità

Come anticipato, oltre a tutte le difficoltà citate, in questo settore manca una filiera. Pertanto l’idea dei fondatori di Circular Fiber è quella di far si che la materia possa essere trasformata in zone limitrofe per evitare trasporti lunghi, costosi e inquinanti.

    

Il progetto è quello di produrre farina direttamente nei luoghi di coltivazione e lavorazione dei carciofi, creando così un consorzio di riferimento che consentirà anche di lavorare scarti di altri alimenti.  Così facendo si ridurrebbero gli spostamenti, il tempo e le emissioni di CO2 e i costi legati al carburante e all’energia.

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La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

By : Aldo |Marzo 04, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

La riforestazione è una strategia di compensamento sempre più in voga per varie ragioni, che siano la facilità nel finanziare tali operazioni o i vantaggi ambientali, economici e sociali che ne derivano. Di certo è un sistema necessario per affrontare il cambiamento climatico, rappresenta infatti una soluzione rilevante. Tuttavia, c’è chi si domanda se si tratti ancora di un metodo efficace, che possa effettivamente determinare una riduzione delle emissioni di CO2 dall’atmosfera in modo significativo.

   

Il compensamento

Con la ricerca e lo studio dei cambiamenti climatici, sono nate tante soluzioni per limitare i loro danni e per rallentare la loro avanzata. Infatti, più si va avanti e più si hanno idee per frenare questo imponente cambiamento. Uno tra i tanti, legato alla riduzione delle emissioni di carbonio in atmosfera è il compensamento del carbonio.

   

Il compensamento del carbonio è un approccio fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico. È una strategia che mira a ridurre le emissioni di gas serra per mezzo di varie procedure, tra cui la più scelta, la riforestazione. Un processo per cui si piantano alberi in specifiche zone del mondo, per assorbire CO2 dall’atmosfera, immagazzinandolo nel legno o nel suolo.

    

Sebbene sia una pratica nata per diminuire i gas serra nell’atmosfera, è un sistema che consente di apportare rilevanti benefici all’ambiente. Per esempio, promuove la biodiversità e ne preserva gli ecosistemi, mitiga gli effetti dell’erosione del suolo e contribuisce a ripristinare e proteggere gli habitat naturali.

    

La riforestazione

La riforestazione è una pratica che negli ultimi anni ha subito una crescita significativa e forse in alcuni casi è quasi diventata una moda. Tuttavia, è una strategia di cui si discute già da vari decenni, in diversi contesti scientifici ed ambientali. Di certo ha acquisito ancora più valore e risonanza con l’accentuarsi della perdita di biodiversità e con l’incremento degli effetti del cambiamento climatico. Così nel 1992, con la ratifica della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si include la riforestazione nei meccanismi di mitigazione.

  

Da lì, nell’arco di qualche anno, le aziende di tutto il mondo hanno accolto l’occasione di investire in maniera massiccia in tale strategia. Di seguito sono nate società e startup che hanno facilitato le procedure di questi investimenti e hanno fatto diventare la riforestazione una “cosa” per tutti. In altre parole, chiunque può adottare alberi in tutto il mondo favorendo la crescita di nuovi habitat e non solo. Perché spesso le aziende che si occupano di questa pratica investono anche per quanto riguarda l’ambito sociale ed economico di zone e persone che si occuperanno dei futuri alberi.

   

Insomma, la riforestazione al giorno d’oggi è un’attività alla portata di tutti, in cui si investe sempre più. Ma c’è chi crede che non sia più la strategia più efficace di compensamento per molteplici ragioni che andremo ad analizzare.

    

L’indagine di Runsheng Yin

Il professore Runsheng Yin di economia forestale presso la Michigan State University (USA), ritiene che questo modello di compensamento sia ormai sopravvalutato. Precisamente crede che alcuni meccanismi sovrastimino il loro potenziale di rimozione del carbonio di quasi tre volte. Il docente ha pubblicato di recente un libro in cui spiega cosa sta accadendo proprio in questo settore dal nome Global Forest Carbon: Policy, Economics and Finance. Con il testo curato da Taylor&Francis Group, Yin, afferma che i massicci investimenti fatti in questo senso non sono efficaci come si crede.

   

Quindi, sottolinea la necessità di modificare il metodo di calcolo del valore dei carbon credit. Un sistema che tutt’oggi insinua dubbi sulla sua efficacia e trasparenza, ma sul quale molte aziende confidano, poiché rappresenta un modo facile e veloce di investire nell’ambiente senza troppi pensieri. Infatti, come riporta uno studio pubblicato su Science, la maggior parte dei programmi di conservazione forestale presi in esame dagli autori non riduce in realtà la deforestazione in modo significativo. Mentre quelli che effettivamente hanno un potere di riduzione delle emissioni, presentano delle percentuali molto inferiori rispetto a quella prevista e dichiarata al principio.

   

Successivamente, illustra i risultati di un suo studio sul processo di sequestro e stoccaggio del carbonio di una foresta presentando una “sopravvalutazione” del meccanismo studiato. Infatti, attraverso l’indagine ha verificato che la quantità di crediti di carbonio ottenibili da un terreno sono sovrastimati di almeno 3 volte. Questo perché non si tiene conto degli alberi che verranno tagliati perciò del tempo necessario al carbonio immagazzinato di rientrare in atmosfera ed è importante considerare la finalità di legno come prodotto. Se viene impiegato in altri oggetti o se viene bruciato può reimmettere emissioni nell’atmosfera. Perciò è necessario che il carbonio resti immagazzinato nel legno per un periodo abbastanza lungo da considerarlo “permanente”, perché il credito sia efficiente.

   

Lo studio così mette in discussione modelli non controllati che non considerano le possibili trasformazioni del legname, una volta abbattuti gli alberi. Si tratta di un nuovo concetto che potrebbe portare ad un miglioramento dei sistemi di carbon credit e dunque di un efficientamento del compensamento di CO2 nel mondo.

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L’Europa approva il 1° schema di certificazioni per la rimozione di CO2.

By : Aldo |Febbraio 22, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Europa approva il 1° schema di certificazioni per la rimozione di CO2.

Negli ultimi 30 anni, l’Europa ha dimostrato un impegno significativo nella riduzione delle emissioni di CO2. In questo modo ha posto la lotta al cambiamento climatico al centro delle sue politiche ambientali che spesso risultano essere tra le più virtuose al mondo. Non a caso è recente la nuova direttiva nel settore delle emissioni.

La lotta dell’Europa

L’Europa da anni si impegna per ridurre le emissioni di CO2 e combatte il cambiamento climatico a suon di norme e nuovi progetti. Le politiche ambiziose adottate dai suoi Stati membri, vengono spesso considerate le più virtuose o le più efficienti nel settore della sostenibilità. Infatti, si è parlato più volte di promuovere l’efficienza energetica, l’uso delle energie rinnovabili e la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Sebbene si parla di cambiamenti rilevanti e di grande impatto, l’Unione ha introdotto varie misure per raggiungere gli obiettivi prefissati anno per anno. Una tra queste, il sistema europeo di scambio delle emissioni (EU ETS), che limita le emissioni dei settori industriali e delle centrali elettriche. Oppure ancora il pacchetto “Energia-Clima 20-20-20” che mira a raggiungere più traguardi. Ossia ridurre del 20% le emissioni, aumentare del 20% l’efficienza energetica e portare al 20% la quota delle rinnovabili nel mix energetico entro il 2020.

È opportuno citare anche il “Piano d’Azione per l’Economia Circolare”, che mira a ridurre l’uso delle risorse, promuovere il riciclo e l’economia circolare. Senza dimenticare il contrasto al problema dei rifiuti plastici. O anche il “Pacchetto Clima” che ha lo scopo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Da poco è stata approvata una nuova norma, che porta l’Unione sulla cima del mondo, con il primo schema di certificazioni per la rimozione della CO2.

La nuova normativa

Così l’UE dà il via libera al sequestro di carbonio sostenibile attraverso un nuovo schema di certificazioni per la rimozione di CO2. È il primo al mondo nel suo genere e dovrebbe assicurare lo stoccaggio dell’anidride carbonica per periodi di tempo sufficientemente lunghi, contribuendo al contrasto della crisi climatica. Con tale norma e l’applicazione di tante altre già approvate, Bruxelles porta avanti il suo lavoro con l’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050. 

Lo schema di certificazione

Per far si che questa direttiva funzioni la Commissione ha definito criteri e punti da seguire, o necessari ai fini della certificazione. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di uno schema valido per più certificazioni che si distinguono a seconda del tipo di rimozione individuato.

  • la rimozione permanente del carbonio per mezzo dell’immagazzinamento del carbonio atmosferico o biogenico per diversi secoli;
  • lo stoccaggio temporaneo del carbonio in prodotti durevoli (circa per 35 anni) come, per esempio, le costruzioni a base di legno, che possono essere monitorati in loco durante l’intero periodo di monitoraggio;

Dopodiché si parla di carbon farming, un settore nel quale si può applicare:

  • lo stoccaggio temporaneo del carbonio attraverso il ripristino di foreste e di suolo, la gestione delle zone umide e delle praterie di fanerogame marine;
  • la riduzione delle emissioni del suolo, quindi la diminuzione del carbonio e del N2O derivanti dalla gestione del suolo.

Queste attività sono possibili a patto che conseguano un miglioramento in ambiti quali, il bilancio del carbonio nel suolo, nella gestione delle zone umide, nell’assenza di lavorazione del terreno e nelle pratiche di colture di copertura combinate con uso ridotto di fertilizzanti.

Uno schema per una certificazione simile, potrebbe essere un grande punto di svolta, se gestito in modo trasparente, chiaro, efficiente e lineare. Forse l’unico dubbio resta sulla sua validità, per molteplici ragioni.  Ci troviamo nuovamente di fronte ad uno schema volontario, un procedimento che non viene imposto ma scelto autonomamente sulla base di un pagamento per la rimozione di CO2. Sebbene sia una legge europea, il fatto che ci siano movimenti finanziari per raggiungere un obiettivo così importante, mette in dubbio la veridicità e la trasparenza dei passaggi.  Nonostante ciò, se l’Unione ha approvato la direttiva, non ci resta che vedere questo nuovo schema in azione e sperare che sia effettivamente una nuova grande soluzione ad un grande problema.

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L’Udinese sceglie il fotovoltaico per il suo stadio

By : Aldo |Febbraio 20, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Udinese sceglie il fotovoltaico per il suo stadio

Gli stadi sono grandissimi centri di agregazione sportiva ma anche musicale e di certo sono il teatro di tantissime esperienze ed emozioni meravigliose. Se non fosse che, per la loro grandezza e capienza, consumano elevate quantità di energia, solitamente non rinnovabile. Ma ecco che anche in Italia arriva l’innovazione.

I consumi degli stadi

Gli stadi da calcio sono grandi consumatori di energia e dunque anche fonti significative di emissioni di gas serra. Tali consumi ed emissioni sono correlati all’illuminazione degli impianti, i sistemi di riscaldamento e raffreddamento, i sistemi audio e video. Oltre a ciò, si contano le infrastrutture necessarie per gestire grandi folle che richiedono un notevole quantitativo di energia. Per di più si potrebbe tenere conto anche del trasporto dei tifosi verso e dall’impianto può contribuire ulteriormente alle emissioni di CO2. Pertanto, negli anni sono state intraprese numerose iniziative per ridurre l’impatto ambientale degli stadi, tra cui;

  • l’installazione di sistemi di illuminazione a LED,
  • l’adozione di fonti energetiche rinnovabili e
  • l’implementazione di politiche per promuovere mezzi di trasporto sostenibili.

Tuttavia, in Italia, gli stadi calcistici presentano una situazione variegata poiché alcuni impianti sono più antichi di altri, a volte quasi storici. Tutti quelli che sono stati oggetto di ristrutturazioni, hanno migliorato l’efficienza energetica per ridurre le emissioni. In questo modo hanno integrato sistemi di illuminazione a basso consumo e soluzioni di riscaldamento e raffreddamento più efficienti. Tutte modifiche accessibili ai club più facoltosi o alle strutture più innovative, al contrario di quelli piccoli o meno mderni in ambito strutturale. Questo perchè tutt’ora le sfide significative in termini di sostenibilità ambientale sono anche costose e quindi non tutti gli stadi possono permettersele. Nonostante ciò, in Italia c’è ancora un grande margine di miglioramento per rendere quel luogo pieno di anime in un posto più rispettoso dell’ambiente.

    

L’Udinese per l’ambiente

La squadra dell’Udinese Calcio fondata nel 1896, ed è una delle squadre più antiche e prestigiose del calcio italiano. Il club ha avuto alti e bassi nel corso della sua storia, ma negli ultimi decenni si è affermato come una presenza stabile nella Serie A italiana, con diverse partecipazioni alle competizioni europee. Oltre ad essere un club rinomato, è anche molto attento alla sostenibilità ambientale delle sue attività. Non a caso negli ultimi anni ha proposto delle iniziative per coinvolgere la comunità locale nella sensibilizzazione ambientale, organizzando eventi e programmi educativi su questi temi e su quelli della responsabilità sociale.

    

Tra questi progetti sono inclusi investimenti nella promozione del calcio giovanile e nell’integrazione sociale attraverso progetti rivolti ai giovani della comunità locale. Nello specifico finanzia attività a favore dello sviluppo dei giovani e a promuovere valori come il fair play e la solidarietà. In questo modo l’Udinese Calcio si distingue non solo per la sua eccellenza sul campo, ma anche a essere un’organizzazione responsabile e consapevole del suo ruolo nella società.

    

Lo stadio fotovoltaico

L’ultima iniziativa del club è proprio il progetto per rendere sostenibile l’Intero Stadio Friuli. In particolare, la struttura sarà coperta da pannelli fotovoltaici grazie a un progetto che mira a produrre 1,1 milioni di kilowattora all’anno. Il progetto è stato presentato insieme alla società Blueenergy, e prevede l’installazione di 2409 pannelli solari sulla copertura delle due curve e dei distinti dello stadio. La copertura totale di 4615 metri quadrati, ha l’obiettivo di coprire buona parte dei consumi energetici dello stadio, riducendo così l’impatto ambientale delle sue attività.

     

Il Direttore Generale di Bluenergy, Davide Villa, ha sottolineato che i pannelli fotovoltaici saranno in grado di soddisfare l’intero consumo energetico di una partita in determinati periodi dell’anno. In più, il sistema fotovoltaico sarà collegato alla rete elettrica cittadina e fornirà energia pulita quando i consumi superano la produzione. Così facendo si potranno reimmettere eventuali surplus nei giorni a basso fabbisogno, creando un vantaggio sia al club che alla cittadina, un processo alla base di un’ottica sostenibile.

        

Questo programma si aggiunge alla strategia presentata anni fa, quando nel 2018 la società ha iniziato ad utilizzare energia proveniente da fonti rinnovabili. In tal modo ha ridotto l’emissione di migliaia di tonnellate di CO2.  Grazie a queste innovazioni l’Udinese calcio si è classificato al quarto posto in Europa nel Football Sustainability Index del 2022, aggiungendosi alla alla lista degli impianti sportivi sostenibili in Europa, tra cui lo stadio del Galatasaray a Istanbul di cui abbiamo parlato in precedenza, e la Johan Cruijff Arena dell’Ajax ad Amsterdam.

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In Congo si cambia cucina con i forni solari.

By : Aldo |Febbraio 16, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su In Congo si cambia cucina con i forni solari.
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Quando le risorse materiali ed economiche scarseggiano è necessario affrontare la sfida di trovare soluzioni pratiche ed accessibili. Questo accade soprattutto quando si vive in contesti più svantaggiati rispetto al resto del mondo, come in alcune regioni dell’Africa, dove spesso grazie a collaborazioni internazionali, nascono progetti per una miglior vita dei cittadini.

   

Il Congo e il legname

La Repubblica Democratica del Congo si trova nel cuore dell’Africa, ed è uno Stato ricco di storia culturale, vanta un’ampia diversità etnica e tantissime tradizioni millenarie. Tuttavia, è una Nazione che nella storia ha faticato molto, soprattutto perché dipendente dalle risorse naturali, come petrolio, legname e minerali. Materie prime spesso sfruttate anche durante le colonizzazioni che più di una volta hanno determinato una grande e instabilità politica. Tra queste, quella legata allo Stato belga nel XIX secolo, ha lasciato una grande impronta nella nazione africana, con conseguenze profonde sul suo tessuto sociale ed economico.

    

Tra le risorse è stato citato il legname poiché il Congo gode di una ricchezza naturale di legname tra le più significative al mondo. Tale ricchezza è definita dalla presenta di vaste foreste tropicali che coprono gran parte del territorio e dalle specie in esse presenti. Si parla tra l’altro di mogano, l’acajou e l’ebano, piante volute dall’intero mercato mondiale per la loro qualità e bellezza. Pertanto, di tratta di piante estratte ed esportate a livello globale per mezzo di attività che implementano la deforestazione e gli impatti negativi sull’ambiente.

   

Inoltre, il legname è ampiamente usato anche nella quotidianità dei congolesi che lo impiegano nella costruzione di abitazioni, mobili, imbarcazioni e strumenti agricoli. Ed è usato anche come fonte di combustibile per la cottura e il riscaldamento con impatti negativi anche nella loro salute. Forse proprio per questo motivo, il Belgio ha deciso di collaborare con il Congo per un’innovazione riguardante la cucina. Infatti, da poco è nata l’idea di creare dei “forni solari” da distribuire in una delle regioni più in difficoltà del paese, per migliorare la vita dei cittadini ma anche la salute dell’ambiente.


Lo sfruttamento della risorsa

La collaborazione tra Belgio e RDC è basata sull’idea di migliorare le tecniche di cottura dei congolesi meno abbienti, la loro salute e la salute del pianeta. Nello specifico, la partnership è nata per la zona di Lubumbashi, situata nell’estremo sud dello stato dove circa il 98% dei quasi due milioni di abitanti dipende ancora dal carbone per la cottura domestica.

    

Questa pratica ha un enorme impatto negativo su vari aspetti. Il primo è ovviamente quello ambientale poiché è un meccanismo che necessita di legname e quindi favorisce il processo di deforestazione massiccia. In secondo luogo, l’uso del carbone come fonte di combustibile aumenta la percentuale di emissioni di CO2, che, come sappiamo, determina il surriscaldamento terrestre. Un terzo motivo invece, riguarda la salute umana, poiché le tecniche di cottura delle popolazioni, comprendono spesso un utilizzo particolare del carbone, che rilascia fuliggine negli alimenti, che poi vengono consumati dalle persone. Dunque, non è difficile capire che l’utilizzo quotidiano di tale risorsa da parte di questi popoli determini non pochi problemi.

    

I forni solari in collaborazione

Così, la collaborazione tra lo stato africano e quello Belga ha portato alla nascita del progetto Solar Cookers for All (Sc4all). Aperto nel 2021 come un’idea fai-da-te in un capanno da giardino, oggi Sc4ll, sta sviluppando forni solari con materiali riciclati per ridurre la dipendenza dalla cucina a carbone e i suoi effetti negativi. Grazie anche alla partecipazione dell’UHasselt e l’Università di Lubumbashi (UniLu), l’idea è diventata uno spin-off dell’università con l’obiettivo di creare localmente un’impresa che produca e distribuisca forni solari economici.

   

La tecnologia si basa esclusivamente sul calore dovuto all’energia solare. Quindi l’energia diretta del sole attraverso pannelli riflettenti per riscaldare il cibo senza rilasciare tossine o abbattere alberi. L’idea è definita sostenibile anche perché questi forni vengono costruiti con materiali riciclati come lattine e filo di ferro, in modo da adattare questa tecnologia alle esigenze locali.

   

Sebbene più di 4 milioni di famiglie nel mondo utilizzano questi forni, le versioni commerciali sono ancora troppo costose. Non a caso nasce Sc4ll, affinchè anche nei paesi più poveri le popolazioni possano usufruire di una tecnologia innovativa, sostenibile e salutare a prezzi bassi.  

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Greenpeace indaga sui resi online: la non sostenibilità dei famosi fashion brand.

By : Aldo |Febbraio 13, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Greenpeace indaga sui resi online: la non sostenibilità dei famosi fashion brand.

Sappiamo che il settore tessile è uno dei più inquinanti sul pianeta perché non impiega solo tessuti, ma quantità ingenti di acqua e suolo ed emette tantissima CO2. Greenpeace ha deciso di indagare su questo problema per dimostrare i danni che il fast fashion arreca al mondo.

 

Fast fashion

Da tempo ormai si può fare shopping direttamente da casa, con qualche click, senza uscire o prendere la macchina. Sembra tutto più semplice e poi che prezzi! E se il capo non fosse della taglia giusta si potrebbe fare il reso a pochi euro, a volte anche gratuitamente: cosa c’è meglio di così?
Nulla.

Esattamente nulla perché il fast fashion, un trend in drastico aumento negli ultimi anni sta giovando ai nostri portafogli ma non al nostro pianeta. Questo perché si tratta di merce di bassa qualità, solitamente fatta di fibre plastiche, che durano poco prima di sgualcirsi e costano relativamente poco. Il fast fashion è figlio di una società consumista che non riesce (o almeno ancora non lo ha fatto) a capire che un’economia circolare sarebbe la soluzione perfetta ai grandi problemi del momento. Che siano la crisi economica o climatica.

   

Secondo le stime attuali, a livello globale la produzione e il consumo di prodotti tessili sono raddoppiati dal 2000 al 2015 e potrebbero triplicare entro il 2030. Questo determina un tasso minimo di riciclo, non a caso solo l’1% dei vestiti viene creato da abiti vecchi e il 3% è circolare. Infatti, ogni secondo un camion pieno di capi d’abbigliamento finisce in discarica o inceneritore.

   

L’indagine di Greenpeace

Per chiarire e dimostrare con dati certi l’impatto di questo settore, Greenpeace Italia in collaborazione con Report ha svolto un’indagine non solo sul consumo ma sui resi online dei vestiti. Come detto in precedenza, pochi click bastano per comprare e fare resi gratuiti ma il pianeta paga un alto prezzo per queste attività. Lo afferma una ricerca del 2020 pubblicata su Nature, in cui si parlava del crescente impatto ecologico del fast fashion:

  • quasi il 18% delle emissioni globali di CO2 prodotte dall’industria manifatturiera;
  • milioni di litri di acqua utilizzata per lavorare cotone e tessuti;
  • almeno 100 milioni di rifiuti tessili gettati via ogni anno. 

Ora invece il focus è sui resi e quindi sui viaggi infiniti che gli indumenti fanno, una volta rispediti al mittente. I risultati ottenuti dall’inchiesta sono a dir poco assurdi e sottolineano come questa pratica veloce e diffusa stia compromettendo la salute della Terra.

   

L’indagine durata 2 mesi si è basata su 24 capi acquistati online da grandi marchi quali Amazon, Temu, Zalando, Zara, H&M, Ovs, Shein e Asos e poi rispediti. Prima di rimandarli al mittente però, sono stati inseriti dei piccoli air tag (localizzatori GPS) per tracciarne gli spostamenti. In questo modo, i due gruppi sono riusciti a creare delle vere e proprie mappe dei resi, ma soprattutto sono riusciti a calcolare con precisioni le emissioni derivate da tali movimenti.

    

Gli abiti, quindi, hanno transitato più volte lungo tutto l’asse della nostra penisola, poi alcuni sono finiti in Europa e altri sono tornati direttamente in Cina. Questo perché gli stessi 24 capi sono stati venduti e rivenduti quasi 40 volte e resi 29 volte: ancora oggi 14 dei 24 vestiti non sono stati rivenduti. Questo giro intorno al mondo è durato ben 100 mila chilometri tra 13 Paesi europei e Cina. In media ogni pacco ha viaggiato, per consegna e reso, quasi 4500 chilometri: il tragitto più breve è stato di 1.147 chilometri, il più lungo di circa 10.300. Addirittura, sette capi che in totale hanno volato complessivamente per oltre 34 mila chilometri.

     

Le emissioni

I dati raccolti in chilometri sono stati trasformati in emissioni di CO2 grazie alla startup INDACO2, la quale ha determinato l’impatto ambientale di tutti i viaggi. Ovviamente tale valutazione tiene conto anche del packaging non solo del viaggio.  Quindi l’impatto ambientale medio del trasporto di ogni ordine e reso corrisponde a 2,78 kg di CO2e, di cui il 16% di packaging. Tali dati determinano un aumento di circa il 24% delle emissioni per pacco.

     

L’indagine di Greenpeace e Report conferma come la velocità nell’effettuare i resi in questo settore determiino un elevato impatto sul Pianeta. Nello specifico in Europa, il consumo di prodotti tessili sia il:

  • 4° settore per impatti su ambiente e clima,
  • 3° settore per consumo d’acqua e di suolo.

Sarebbero necessarie quindi delle leggi o delle normative per arginare o limitare tali operazioni o per regolamentare il transito dei resi. O ancor di più la distruzione di capi ancora utilizzabili o riciclabili. Perché una pratica che incentiva il reso attraverso i bassi prezzi, favorisce anche l’aumento dei cambiamenti climatici.

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Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

By : Aldo |Gennaio 17, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

Si sente spesso parlare di compensazione della CO2, di riforestazioni e progetti di sviluppo oltre oceano. Sembra che questi siano gli unici modi con cui uno stato possa compensare le sue emissioni, ma un’articolo dell’Accordo di Parigi cambia tutto.

Articolo 6 Accordo di Parigi

L’articolo 6 è un punto fondamentale dell’Accordo di Parigi poiché consente le collaborazioni tra Stati per raggiungere i propri obiettivi climatici. Il punto ammette due tipi di riduzioni delle emissioni conseguite all’estero (Internationally transferred mitigation outcomes, ITMOS) divise in 2 sottoclassi:

  • quelle che risultano da un meccanismo regolato dall’Accordo di Parigi (art. 6.4);
  • quelle che risultano da accordi bilaterali e multilaterali (art. 6.2).

Con tali premesse c’è la possibilità di creare una rete di cooperazione internazionale sul mercato del carbonio per ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, anche questi meccanismi devono seguire delle regole specifiche, affinché i progetti di compensazione non siano vani. Più precisamente, esiste una procedura obbligatoria che entrambi gli stati devono seguire per evitare il doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni. Quindi

  • un paese trasferisce unità di emissioni a un altro paese
  • il venditore sottrae tali unità di emissioni dal proprio obiettivo di emissioni
  • l’acquirente deve aggiungerle al proprio obiettivo.

Grazie a questo articolo, esiste un gran numero di operazioni possibili per la riduzione del carbonio, con lo scopo di agire contro i cambiamenti climatici.

    

Svizzera e Thailandia

La notizia che circola da qualche giorno riguarda proprio l’applicazione di tale articolo. In Thailandia sono arrivati gli e-bus o bus elettrici dalla Svizzera per compensare le emissioni di CO2. Un’operazione nuova, prima del suo genere che apre le porte a nuovi piani internazionali, sviluppati semrpe sulla base delle direttive dell’Accordo di Parigi.

    

Il programma di Energy Absolute Public Company Limited è sostenuto dalla Foundation for Climate Protection and Carbon Offset Klik (Klik Foundation). Ma anche da South Pole, società svizzera specializzata in queste specifiche operazioni. L’accordo bilaterale serve per ridurre le emissioni e l’inquinamento atmosferico di Bangkok attraverso l’introduzione di veicoli elettrici nel trasporto pubblico gestito da operatori privati. A tal proposito, il quotidiano “La Repubblica” ha intervistato Aurora D’Aprile, consulente di Carbonsink, parte di South Pole dal 2022. Nella conversazione si spiegano i motivi per cui questo, è considerato un piano unico nel suo genere.

    

Il primo progetto

La partnership tra Svizzera e Thailandia è considerata una novità poiché prevede lo scambio di crediti di carbonio tra Stati e non solo tra privati. La sorpresa deriva dal fatto che tale pratica è consentita dall’Articolo 6 ma nessuno ancora aveva applicato tale norma. Un fatto, questo, incomprensibile, poiché l’articolo mirava proprio alle collaborazioni tra governi. Inoltre, era chiaro che con la cooperazione si sarebbero ridotte maggiormente le emissioni, rispetto ad una pratica solitaria e privata.

   

Un secondo motivo per cui il progetto è ritenuto primo nel suo genere è il fatto che sia il primo in cui l’iter, legato al mercato del carbonio, sia stato completato. Più precisamente, il credito va sviluppato secondo dei criteri condivisi, dopodiché il Paese in cui il credito viene maturato deve autorizzarne l’esportazione, e questo è avvenuto.  Di certo la collaborazione tra stati rende il piano più influente e sicuro, visto che gli Stati possono dare maggiori garanzie sull’effettiva consistenza dei crediti. Soprattutto per quanto riguarda il doppio conteggio. Infatti, con l’applicazione dell’Articolo 6, rende teoricamente impossibile che la stessa riforestazione (o piano) venga usato per la compensazione di clienti diversi.

    

Un terzo motivo per definire il programma tra Svizzera e Thailandia è il suo oggetto: il rifornimento di bus elettrici nella metropoli di Bangkok. Effettivamente quando si parla di compensazione si punta sempre alle riforestazioni o ad impianti per energie rinnovabili. Quindi il piano in esame dimostra un nuovo settore in cui si può operare ossia il settore della mobilità elettrica.

    

Conclusioni

Tuttavia, non sono mancate critiche anche in questa situazione, soprattutto contro la partnership stessa. Le lamentele si basano sull’idea che he prima o poi Bangkok avrebbe dovuto comunque cambiare la sua flotta di bus obsoleti. Pertanto, non si assiste ad un’”addizionalità”, non è un’operazione che si fa in più per il clima.

   

Ma è pur vero che dietro tali progetti ci sono talmente tante dinamiche e questioni da seguire che criticarne lo scopo, non risulta produttivo. Soprattutto perchè si tratta di stati diversi sotto ogni punto di vista; quindi, aver trovato un accordo è già una vittoria.

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