Acqua

Redox Flow desalinizza l’acqua producendo energia

By : Aldo |Febbraio 08, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Redox Flow desalinizza l’acqua producendo energia

La risorsa più preziosa al mondo è probabilmente l’acqua, di cui ha bisogno ogni singolo individuo esistente sulla Terra anche se in modalità diverse. Ma ancora più importante per noi umani è l’acqua potabile; una percentuale bassissima che non soddisfa il fabbisogno di tutti. Per questo le nuove ricerche propongono nuovi metodi per produrne maggiori quantità.

   

Cosa succede nel mondo

L’acqua come sappiamo bene è un bene di prima necessità dell’intero mondo e come tale è una risorsa preziosa. Col passare del tempo però, cresce la sua importanza e diminuisce la sua quantità nel pianeta e questo fenomeno sta allarmando tutti. Infatti, secondo l’OMS, entro il 2025 metà della popolazione mondiale vivrà in aree sottoposte a stress idrico, per colpa della siccità che aumenta giorno dopo giorno.

   

A tal proposito, sempre più gruppi di ricerca, stanno studiando modi alternativi per desalinizzare l’acqua e quindi impiegarla nel settore agricolo o renderla potabile. Così facendo si potrebbero affrontare le sfide determinate dai cambiamenti climatici, soddisfacendo la domanda crescente della Terra. Si parla quindi di desalinizzazione poiché il 97,5% dell’acqua sulla Terra è salata, ossia 1354,8 milioni di chilometri cubi, divisa tra oceani, mari e bacini. Mentre solo il 2,5% dell’acqua sul nostro pianeta è dolce, pari a 35,2 milioni di chilometri cubi di cui solo l’1% è potabile. Pertanto, sono sempre più le iniziative di ricerca in questo settore, la maggior parte delle quali si basa sulla desalinizzazione dell’acqua di mare.

 

La desalinizzazione

Questa tecnica è in uso da anni e impiegata regolarmente in 183 Paesi nel mondo. La metà degli impianti dissalatori globali si trova nel Medio Oriente, mentre in Europa spicca la spagna che nel 2021 ne contava circa 765. È un meccanismo così importante che in Arabia Saudita ricava da questi sistemi il 50% della propria acqua potabile.

    

Di preciso, oggi esistono due principali metodi di desalinizzazione dell’acqua:

  • la distillazione solare multistadio, un processo in cui l’acqua marina entra in scomparti in sequenza ed evapora per mezzo di vari stadi rilasciando sale;
  • l’osmosi inversa, meccanismo alimentato dal calore solare, per cui il sale si accumula rapidamente all’interno del dispositivo creando cristalli. Purtoppo questo processo determina un’otturazione del sistema, dunque è più costoso a livello economico, energetico e tecnologico rispetto ad altri.
  • lo scambio ionico, processo molto complesso, basato sulla rimozione degli ioni per mezzo di speciali resine.

Nonostante ciò, la ricerca avanza e di recente è stato pubblicato uno studio di un gruppo di ricerca dei New York che sembra aver trovato un’alternativa ancora più sostenibile. Si tratta di un meccanismo che, oltre a desalinizzare l’acqua marina, produce allo stesso tempo energia elettrica immagazzinabile in batterie.

 

Redox Flow

Redox Flow è il nome del processo ideato dai ricercatori della Tandon School of Engineering, New York University. Un meccanismo più economico degli altri caratterizzato da un’elevata efficienza di desalinizzazione. Il nome deriva dalle batterie a flusso Redox, una nuova tecnica elettrochimica che consente di trasformare l’acqua salata in acqua potabile e non solo. Infatti, permette di immagazzinare l’energia rinnovabile prodotta dal flusso dell’acqua, il tutto con prezzi accessibili, quindi anche per le regioni più in difficoltà.

   

Lo studio dimostra come il meccanismo messo a punto, possa diminuire il tasso di rimozione del sale di circa il 20%, così facendo riduce la domanda di energia. Sebbene sia stato applicato solo su bassa scala, risulta una valida alternativa ai metodi in precedenza elencati. Per impiegarlo su larga scala invece sarebbe necessario ottimizzare le membrane ioniche che filtrano l’acqua salata e la forza usata per la separazione. L’innovazione si trova proprio in questa fase. Perché è possibile usare di energia elettrica come forza spingente, ma anche sfruttare l’energia chimica sprigionata in modo spontaneo dal mescolamento di due soluzioni e convertita in energia elettrica. Questa poi può essere catturata e trasferita agli elettrodi della batteria ricaricabile.

    

Il professore che guida il gruppo, André Taylor, professore di ingegneria chimica e biomolecolare, è riuscito ad ottimizzare il processo totale. Di fatti, il sistema può desalinizzare fino a 700 litro/ora m2, cifre elevatissime rispetto ai 15 litro/ora dell’osmosi inversa. Lo stesso, nello studio pubblicato su Cell Reports Physical Science, suggerisce come un sistema del genere possa essere un’importante soluzione a due domande fondamentali, ossia quella dell’energia e dell’acqua potabile.

     

Se impiegata in aree remote, in regioni povere o in stati di forte siccità, un’innovazione del genere potrebbe diventare un vero e proprio game changer. Soprattutto perché non inficia la conservazione ambientale e supporta l’integrazione energie rinnovabili, come solare ed eolico. In particolare, l’utilizzo di queste fonti intermittenti fornirebbe un’energia immagazzinata nelle batterie (sopra citate) rilasciata su richiesta. Il sistema porterebbe si, un nuovo quantitativo d’acqua potabile, ma incentiverebbe la transizione ecologia riducendo la dipendenza dalle reti elettriche convenzionali.

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Nanoparticelle di plastica nell’acqua di bottiglia: i risultati inaspettati.

By : Aldo |Gennaio 16, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Nanoparticelle di plastica nell’acqua di bottiglia: i risultati inaspettati.

Che la plastica sia arrivata ovunque non è più un segreto, né tantomeno il fatto che è arrivata anche all’interno del nostro corpo. Questo fatto però apre un discorso molto delicato che si divide in due, tra preoccupazioni e business.

     

In Italia

L’Italia è denominata come il Bel Paese proprio per le migliaia di qualità che detiene. Peccato che spesso e volentieri queste caratteristiche vengano poi sopraffatte da aspetti negativi più ingombranti. Un esempio lampante e ad hoc è quello che riguarda l’acqua potabile.

     

L’Italia gode di acqua potabile da rubinetto che proviene per l’84,8% da fonti sotterranee naturalmente protette e di qualità, che necessita di pochi altri trattamenti. Sebbene abbiamo questo vantaggio siamo sul podio mondiale dei consumatori di acqua in bottiglia: un’ambiguità inspiegabile. Infatti, secondo un dossier di Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, l’Italia ha peggiorato negli anni questa tendenza. Siamo il terzo Paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia, con un aumento delle vendite in 10 anni (2009-2019) di +100%. In concreto sono state vendute più di 10 miliardi di bottiglie all’anno. Probabilmente questo è uno di quegli improbabili e assurdi controsensi dello Stivale, su cui dovremmo lavorare.

    

In modo analogo funziona il resto del mondo, come riportato dal “Guardian” il quale afferma che ogni minuto a livello globale viene acquistato un milione di bottiglie di plastica. È ovvio quindi che non ce ne sbarazzeremo ne velocemente, né facilmente: nel frattempo la plastica continua ad aumentare a dismisura. In soli 70 anni, siamo passati dai 2 milioni di tonnellate, alle oltre 400.

   

Nanoparticelle nell’acqua di bottiglia

Sulla base delle notizie sopracitate non è un caso né tantomeno un mistero che l’acqua in bottiglia sia piena di nanoparticelle di plastica. Da anni si studia la diffusione della plastica, le tipologie, i danni che causa agli ecosistemi e da poco se ne studiano anche gli effetti sull’uomo. Se prima si parlava della plastica ingerita attraverso l’alimentazione, si è passati a ritrovarla nel sangue e per ultimo anche nella placenta di donne incinta. Così medici e studiosi si sono allarmati perché il focus è passato dai danni che la plastica provoca agli altri ecosistemi, ai danni che determina sulla nostra salute.

    

Tuttavia, prima di analizzare la sfera sanitaria è opportuno descrivere e capire i risultati delle varie analisi e i pensieri dei ricercatori sul fatto. Iniziamo da uno studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), organo ufficiale della National Academy of Sciences. L’indagine mirava alla ricerca di frammenti di grandezza anche inferiore a 100 nanometri nei prodotti di 3 celebri marche, e i risultati hanno stupito tutti. Ben 240 mila frammenti di plastica in un solo litro d’acqua, si tratta di un numero 100 volte più grande rispetto ai precedenti studi e non solo. È una quantità che supera di gran lunga i livelli trovati nell’acqua di rubinetto.

     

Dopodiché l’attenzione è stata spostata sui tipi di particelle, ossia quali tipi di plastica possiamo trovare nell’acqua in bottiglia. Anche qui i risultati hanno sorpreso gli studiosi, che hanno usato strumenti di massima innovazione. Per questa fase di studio, infatti, sono stati utilizzati e puntati due laser in grado di osservare e “leggere” la risposta delle diverse molecole. Grazie a tale tecnologia hanno scoperto che esistono dalle 110 mila alle 370 mila particelle di plastica di 7 tipologie diverse quali:

  • Il PET (polietilene tereftalato) usato maggiormente per imbottigliare il 70% delle bottiglie per bevande e liquidi alimentari (a livello globale);
  • la poliammide, una classe particolare di nylon che potrebbero derivare dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima dell’imbottigliamento;
  • polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato, usati nei processi industriali.

Sebbene i ricercatori non siano riusciti a identificare il 90% delle nanoparticelle, altri hanno approfondito le ricerche sulle origini di alcune. Per esempio, Antonio Limone, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno sottolinea che l’acqua imbottigliata, possa essere contaminata in varie fasi della catena produttiva e distributiva. È semplice anche capirne il motivo, poiché durante lo stoccaggio, luce e temperatura favoriscono la migrazione dei contaminanti nell’acqua. Mentre Carola Murano, ecotossicologa del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione Zoologica Anton Dohrn spiega le difficoltà riscontrate in questo tipo di analisi. Infatti, dichiara che:

    

…l’assenza di metodi standardizzati e talvolta poco sostenibili per la caratterizzazione e la manipolazione di oggetti di plastica di dimensione sub-micrometrica e nanometrica non ci consente a pieno di trarre conclusioni scientificamente chiare, soprattutto se in ballo ci sono molteplici variabili.”

Pertanto, sarebbe appropriato affrontare il problema con

 

…un approccio che includa le migliori pratiche di gestione dei rifiuti e lo sviluppo di materiali alternativi e sicuri per l’ambiente e una maggiore consapevolezza tra i consumatori”.

Un problema sanitario

Tali evidenze hanno scatenato delle discussioni attorno alla questione sanitaria. Ovvero, tutte queste nanoparticelle, le ingeriamo per mezzo dell’acqua imbottigliata che beviamo. Di conseguenza il particolato entra in circolo nel nostro corpo e dalle ultime analisi arriva ovunque. Dunque, quello che tutti si chiedono ora è: quali effetti dannosi possono determinare per la nostra salute?

    

Nonostante nel 2019, l’OMS avesse “frenato” il legame tra nano plastiche e salute umana, i ricercatori dell’ultimo studio hanno tante preoccupazioni. Difatti le particelle sono arrivate addirittura negli embrioni (studio dell’Università delle Hawaii a Manoa e del Kapi’olani Medical Center for Women & Children). Oltre alle nano plastiche, ci sono elementi come alchifenoli, ftalati che anche a basse concentrazioni, possano causare effetti tossici agendo in modo additivo.

     

Dall’altra parte c’è chi come Jill Culora, portavoce dell’International Bottled Water Association ricorda le lacune nel settore descritto. Secondo la sua opinione mancano dei metodi standard e un vero e proprio consenso scientifico sui possibili effetti sulla saluta umana. Eppure, crede che le modalità con cui vengono diffuse le notizie sulla questione, spaventino inutilmente i consumatori. Ovviamente sottolineare la pericolosità di prodotti comuni come l’acqua in bottiglia è un tema molto delicato, una faccenda da trattare con le pinze. Ma non per questo bisogna voltare pagina o andare oltre, poiché, se la plastica è arrivata nella placenta di donne in stato interessante, si deve assolutamente approfondire la ricerca.

     

Senz’altro una soluzione al problema sarebbe quello di bere più acqua del rubinetto che costa meno ed è sicura. Altrimenti, se si preferisse l’acqua frizzante o si necessita acqua a basso residuo fisso allora si potrebbe optare per sistemi di filtraggio o di gassificazione. Certo è che questi strumenti hanno un costo più elevato della bottiglia di plastica, ma non hanno un impatto elevato come le seconde.

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Dalla Svizzera arriva Water Saver: il doccino che fa risparmiare 182 milioni di litri d’acqua.

By : Aldo |Gennaio 13, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home, menoacqua |Commenti disabilitati su Dalla Svizzera arriva Water Saver: il doccino che fa risparmiare 182 milioni di litri d’acqua.

Sappiamo tutti quanto l’acqua sia una risorsa fondamentale per la vita di tutti e non solo perché è necessaria alla nostra salute. Tuttavia, è una delle risorse più consumate e sprecate nel mondo e pertanto bisogna invertire questa tendenza prima che sia troppo tardi.

      

Acqua, consumi e sprechi

Che l’acqua sia la linfa vitale di ogni singolo essere vivente non è un segreto. L’oro blu che il pianeta ci regala da millenni è una risorsa preziosa e come tale deve essere trattata: peccato che non tutto vada come dovrebbe. Infatti, l’acqua, principalmente quella potabile, che ricordiamo essere meno dell’1 % di quella presente sulla Terra, viene consumata e sprecata in maniera smodata.  È ovvio che sia inclusa in una quantità infinita di attività quotidiane e necessarie della nostra vita, questo non lo esclude nessuno. Ma riflettendo sull’uso che ne facciamo, ci renderemmo conto di quanto siamo lontani dal preservarla, o almeno dal consumarla in modo responsabile. Basti pensare che una famiglia media usa circa 200 m3 di acqua potabile l’anno. Questo vuol dire che un italiano usa circa 200 l di acqua al giorno solo per:

  • Lavarsi i denti
  • Farsi la doccia
  • Lo sciacquone del WC
  • Lavare i panni
  • Lavare i piatti
  • Lavare auto
  • Cucinare
  • Annaffiare

È comunque curioso soffermarsi nell’ambito dell’igiene personale per ricapitolare il nostro impatto sull’ambiente. Secondo le statistiche, infatti, la doccia è una delle attività che contribuiscono maggiormente al consumo e spreco di acqua. Nello specifico, dal miscelatore escono 15-16 l d’acqua al minuto: quindi per una doccia di 5 minuti si usano 75-80 litri di acqua. Se poi si impiega anche un quarto d’ora di tempo si raggiungono anche i 225-240 litri d’acqua. Legate a questo ambito ci sono poi delle professioni esterne che usano grandi quantità d’acqua al giorno, una tra queste il parrucchiere.

       

Water Saver nei saloni

Secondo vari dati, sembra che un parrucchiere nella media possa consumare dai 50 a 200 litri d’acqua al giorno. In questo caso un professionista eguaglia con la sua attività il consumo d’acqua di un italiano. Calcolando che in Italia sono presenti 100 mila attività, possiamo solo immaginare alle quantità di acqua usate in un giorno, solo per il lavaggio dei capelli.

    

I saloni di bellezza sono centri che la gente frequenta per un cambiamento, per un’innovazione del proprio volto o del corpo. Non a caso è proprio da qui che arriva la nuova tecnologia della startup svizzera Gjosa. Questa realtà ha trovato il modo con cui anche un parrucchiere possa ridurre il suo impatto ambientale o più precisamente la sua impronta idrica. L’idea dell’impresa è diventa realtà, grazie al gruppo francese L’Oréal, che ha finanziato il progetto con i fondi BOLD (Business Opportunities for L’Oréal Development). Dalla suddetta collaborazione è nato Water Saver il doccino smart, un oggetto di uso comune, progettato con tecnologie avanzate per risparmiare litri e litri d’acqua. Un vero e proprio game changer, nominato tra le “100 migliori invenzioni dell’anno” della rivista TIME, nel 2021.

        

Tecnologia, usi e risparmio

Water saver è un soffione doccia coperto da 13 brevetti basato sulla tecnologia di frammentazione dell’acqua. Si tratta di un getto a basso flusso che usa 2,4 litri di acqua al minuto invece di 7. Il sistema accelera la velocità delle gocce, che vengono poi riutilizzate in un secondo momento, dividendole in 10 parti più piccole. Tale tecnologia consente di risparmiare 182 milioni di litri d’acqua (equivalenti a 72 piscine olimpioniche), pari ad una riduzione del 69%.

    

Più precisamente, il getto si attacca ai lavandini e dispone di tre slot per shampoo, balsamo e trattamento, che vengono distribuiti direttamente nel flusso d’acqua. Un approccio brevettato Cloud Cleansing che favorisce una migliore distribuzione e assorbimento del prodotto, nonché una migliore efficienza. Successivamente, con l’azionamento del getto si creano goccioline microionizzate che si scontrano tra loro in un flusso pressurizzato. Così facendo si riduce la quantità d’acqua per singolo lavaggio rivoluzionandolo e e migliorando l’esperienza e l’efficacia del trattamento.

        

Il risultato 

Nonostante ciò, esistono altrettante attività legate ad ambiti di produzione alimentare o tessile che usano quantità infinite d’acqua. Per questo è fondamentale la ricerca, proprio per dare luce ad altri brevetti simili che possano ridurre l’uso dell’oro blu anche in altri settori.

    

Ad ogni modo, Water Saver ha riscontrato un grandissimo successo nel primo anno di uscita. Non a caso nel 2023 è stato distribuito a più di 10mila saloni di parrucchiere professionali in tutta Europa e nel Medio Oriente. E sebbene sia un prodotto pensato per i saloni, può essere usato anche in casa. Ancora una volta l’innovazione è oggetto di salvaguardia delle risorse del mondo, in questo caso, la più importante, ovvero l’acqua.  

     

Questo prototipo è la dimostrazione di come un oggetto di uso comune, possa determinare un grande cambiamento, ma non solo. Prova il motivo per cui la sensibilizzazione su qualsiasi tematica sia fondamentale per migliorare il mondo. Con informazioni precisi e strumenti adeguati, si può cambiare la propria quotidianità, in modo da ottimizzare e ridurre il proprio impatto sul Pianeta Terra.

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Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

By : Aldo |Gennaio 02, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, bastaplastica, Home |Commenti disabilitati su Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

Sebbene oggi esistano migliaia di corsi di laurea diversi, c’è un tema di cui si tratta in ogni singola facoltà. La sostenibilità è effettivamente un argomento che riguarda chiunque e pertanto se ne discute anche in settori non scientifici.

    

La sostenibilità di Jelter

La sostenibilità è un tema che riguarda sempre più le nostre vite. Si tratta di un’attenzione, un cambiamento, un nuovo approccio alla vita necessario per il bene di tutti, al punto che nessun settore può escluderlo. Si può definire come un connubio di materie di studio e di pratiche per uno scopo comune.

    

Un esempio diretto di tale unione è il progetto della startup Jelter, formata da 3 giovani studentesse dello IED (Istituto Europeo di Design) di Milano. Rebecca Raho, Emanuela Tarasco e Caterina Favella sono le 3 ventenni che hanno creato una startup dalla loro tesi di laurea in Product Design. Il piano delle giovani studentesse è peculiare perché nasce dall’unione del loro corso di studio e la loro attenzione e passione per l’ambiente. Questo ci fa capire come le nuove generazioni abbiano già sviluppato e fatto loro un pensiero critico sulla sostenibilità e sul rispetto del Pianeta Terra.

     

La boa medusa

La startup Jelter nasce nell’ottobre del 2022, proprio in concomitanza con la laurea delle tre fondatrici. Da quel momento le giovani hanno partecipato a convegni ed altri eventi portando il loro progetto in giro per l’Italia e non solo.  Il programma è focalizzato sulla produzione di una boa a forma di medusa pensata per frenare la proliferazione delle microplastiche nei mari. Si tratta di un sistema di filtraggio autosufficiente grazie all’installazione di pannelli solari, che all’interno ospita una pompa che consente il circolo dell’acqua. Così, passando nella boa, l’acqua viene filtrata e ne esce “pulita”.  Il primo prototipo è stato realizzato in 6 mesi, dopo i quali è stato testato nel mare di Fiumicino.

    

La peculiarità di tale prodotto è l’attenzione rivolta all’ambiente ma anche al design. Difatti, le ragazze si sono impegnate nella ricerca di un elemento adatto alla struttura che non inquinasse l’ambiente anche a livello paesaggistico. Quindi hanno pensato a forme, colori e strutture che avessero il minor impatto visivo, biologico, chimico sul mare. Non a caso hanno anche deciso di ancorare la boa al fondale per evitarne la dispersione.

    

Prototypes for Humanity 2023

Le tre studentesse hanno optato per un programma non solo incentrato sul prodotto ma anche sulla sensibilizzazione. La loro motivazione e l’interessa al cambiamento, hanno spinto Jelter a partecipare a programmi di grande calibro, come quelli legati alla COP28. Così si sono messe alla prova aderendo alla call Prototypes for Humanity 2023 rivolta ai neolaureati di tutte università per progetti innovativi ad impatto sociale. I vantaggi e le possibilità di tale iniziativa hanno spronato le ragazze a prendervi parte, puntando alla mobilitazione delle persone sul tema delle microplastiche nei mari. Sicuramente non è un’occasione di tutti i giorni poter partecipare ad una COP a vent’anni; dunque, a prescindere dal risultato possono ritenersi soddisfatte del loro operato.

    

L’educazione ambientale per il futuro

Certamente Jelter non è la prima startup pensata per proteggere il mare, per combattere la plastica o costituita da giovani menti. Tuttavia, il racconto della sua creazione, sottolinea quanto al giorno d’oggi sia importante l’educazione ambientale soprattutto se impartita già in tenera età.

    

Rebecca Raho, infatti, racconta di come sia riuscita ad unire il suo corso di studi con la passione e il rispetto per l’ambiente trasmesso dai suoi genitori. Afferma che i genitori le hanno tramandato la passione per l’arte e il design ma anche quella per il mare. È cresciuta in un ambiente in cui tali ambiti potevano essere uniti ed è questo quello che ha fatto lei una volta laureata. Poi ancora ricorda di quanto sia importante apportare dei cambiamenti anche minimi nelle proprie vite, eliminando abitudini sbagliate. Sono passi necessari per il bene del Pianeta soprattutto perché siamo tutti consapevoli di essere in pericolo, è una conoscenza all’ordine del giorno. E afferma

Il grande problema deriva dal fatto che, essendoci nati, continuiamo a darlo per scontato senza davvero renderci conto delle condizioni critiche in cui si trova.”

In conclusione

Jelter è il chiaro esempio di impegno a favore dell’ambiente delle nuove generazioni. Dimostra senza complessi ragionamenti, quanto la sostenibilità e la salvaguardia della Terra siano temi principali nella vita dei giovani. E ancora di più sottolinea quanto sia importante il lavoro di genitori ed insegnanti nell’educare i bambini e i ragazzi al rispetto di tutti e tutto.

   

Non è scontato che le tre studentesse si siano unite per proteggere i mari, poiché laureate in design potevano tentare qualsiasi altro tipo di progetto. Invece l’idea di poter fare la propria parte per salvare il mondo è sempre più sentita dai giovani e questo può essere solo un bene. D’altro canto, il futuro è in mano a loro, quindi se i più grandi (purtoppo) non si impegnano in questo senso, dovranno farlo gli adulti del futuro.

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L’AI arriva nelle AMP: monitorarle sarà sempre più semplice.

By : Aldo |Dicembre 17, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su L’AI arriva nelle AMP: monitorarle sarà sempre più semplice.

Se nella COP si è parlato poco della salvaguardia della biodiversità, in Italia arriva l’innovazione per quanto riguarda la protezione degli ambienti marini. 

    

Le AMP

Quando parliamo di Aree Marine Protette ci riferiamo all’insieme di ambienti marini acque, fondali e tratti di costa prospicenti con delle particolari caratteristiche. Quest’ultime possono essere di vario tipo quindi naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche e sono solitamente correlate alla flora e alla fauna marine e costiere. Si tratta dunque di aree di interesse scientifico, ecologico, culturale, educativo ed anche economico.

     

Solitamente sono suddivise in zone sottoposte a diverso regime di tutela ambientale a seconda delle loro caratteristiche ambientali e della situazione socio-economica. La loro gestione è affidata a enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni ambientaliste riconosciute, dal Ministero dell’Ambiente. Nonostante ciò, le attività di sorveglianza nelle aree marine protette per assicurare il rispetto dei vincoli previsti spettano alle Capitanerie di porto o alla Polizia locale.

   

Attualmente in Italia si contano ben 53 AMP, di cui già istituite e 19 in via di definizione, e sono localizzate maggiormente nel mar Tirreno.

    

Attività illecite

Tali aree sono fondamentali per la salvaguardia dell’ambiente marino, soprattutto in vista dei cambiamenti che il pianeta sta affrontando. Purtroppo, però ci sono delle regole che non vengono rispettate sempre e queste riguardano la pesca. Infatti nelle AMP (esclusa la zona A in cui è interdetta qualsiasi attività) si può pescare secondo alcuni termini e condizioni. Questi sono definiti dalla legge e sono più restrittive nella zona B e meno rigide nella zona C (rispetto alla zona A). Dunque, è possibile che nelle aree meno regolamentate, qualche regola non venga rispettata, creando degli scenari dannosi per l’ambiente marino e le sue caratteristiche. Quindi per proteggere in modo più efficiente e duraturo i nostri ambienti marini, i tecnici studiano da anni delle nuove tecnologie. Non a caso oggi possiamo parlare di un nuovo progetto mirato al monitoraggio dei flussi di pesca nelle AMP, che può aiutarci concretamente.

   

Tra mare e AI

Arriva proprio dalla nostra Penisola il nuovo programma per controllare i flussi di pesca nelle AMP, analizzati con i satelliti. Si tratta del progetto di Axitea un Provider di Global Security che integra servizi di vigilanza con tecnologie innovative. In tal modo la società, che ha a una rilevante conoscenza nell’ambito dell’informatica, telecomunicazioni, controlli, automazione ha deciso lavorare per il bene di tutti.  Il sistema che ha sviluppato consente appunto di monitorare per mezzo di satelliti, algoritmi e AI generativa, i flussi di pesca nelle Aree Marine Protette. Grazie a tale meccanismo, si ottengono informazioni che possono aiutare con la gestione e la protezione dell’area in esame.

   

Pertanto, sarà possibile di conoscere le risorse marine e ottimizzare i flussi di pesca. Così facendo si consente la crescita dell’economia locale con il minor impatto ambientale (possibile). La caratteristica ancora più innovativa è che si tratta di una soluzione che non necessita di ulteriori sforzi, o di competenze specifiche da parte dei fruitori. Dunque, il sistema è a tutti gli effetti un vantaggio per i pescatori e l’ente gestore dell’area.

     

In aggiunta, questo modello è facilmente replicabile e per questo può essere usato in più AMP in tutta Italia a vantaggio della salvaguardia dell’oro blu. Tuttavia, la prima che godrà dei suoi benefici è l’Area Marina Protetta Isole dei Ciclopi in Sicilia, dove si testerà per la prima volta il sistema.

 

L’esperimento

La prima prova del progetto è stata basata sul controllo di un flusso di pesca di 12 barche e piccoli pescherecci dell’area. Così ha monitorato i loro percorsi e i punti di sosta per la pesca, dove la velocità di navigazione è compresa tra 0 e 15 Km/h. Il monitoraggio è possibile grazie ai sensori GPS di Axitea in collaborazione con l’AI generativa che ha tracciato gli spostamenti. Inoltre, li ha combinati con le barche che operano nell’area in tempo reale (ma in anonimo).

   

Alla fine del percorso, le barche sono rientrate in porto e i dati raccolti sono stati incrociati con quelli relativi alla quantità e alla qualità del pesce pescato. Tale procedura permette di avere un quadro reale dello stato delle risorse ittiche della zona.

 

Come in altre occasioni, il progetto non si è potuto sviluppare prima per mancanza di disponibilità delle tecnologie adeguate e degli alti prezzi di gestione. Sorprendentemente però, il Ministero dell’Agricoltura ha indetto un evento per presentare nuovi progetti nell’ambito della pesca sostenibile. Più precisamente ha chiamato le AMP in un colloquio legato alla programmazione europea FEAMP.

  

Si tratta di un programma eccezionale per tutte le sue peculiarità, dalle funzioni alla sua replicabilità. Avere una fotografia precisa ma soprattutto sempre aggiornata dello stato attuale dell’Area è un vantaggio per molti. In primis, per l’ambiente protetto e i suoi servizi ecosistemici. È un progetto che non ha eguali in Italia.

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Olimpiadi a Tahiti: il “no” dei surfisti per proteggere la biodiversità.

By : Aldo |Novembre 03, 2023 |Acqua, Clima, Home |Commenti disabilitati su Olimpiadi a Tahiti: il “no” dei surfisti per proteggere la biodiversità.

Sport e ambiente sono due categorie che ultimamente vengono affiancate con una maggiore frequenza. In particolare, sono sempre più numerose le iniziative in cui gli sportivi svolgono attività di sensibilizzazione sul tema ambientale e della sostenibilità. Tuttavia, in un caso recente, questi due ambiti sono stati temi di discussione e proteste da parte di un’intera popolazione.

    

Teahupo’o

Teahupo’o è un villaggio che si trova nella costa sud-occidentale di Tahiti (Polinesia francese). È un noto paradiso che si divide tra terra e mare, nonostante, quest’ultimo sia artefice delle onde più pericolose al mondo. Non si tratta di onde alte (la più grande misura “solo” 3 metri) ma di tubi veloci e molto potenti, che attirano surfisti da tutto il mondo.

    

È superfluo dire che il turismo di questo posto è molto legato al surf. Le sue acque vennero scoperte nel 1986 e da lì in poco tempo divennero famose e uniche al mondo per la loro caratteristica. Si iniziò a diffondere il messaggio ed oggi ospita l’annuale Billabong Surf Pro Tahiti, tappa del Campionato Mondiale (WCT) della Association of Surfing Professionals. Il livello è talmente alto che durante questi campionati, la Marina francese proibisce a tutti di entrare in acqua, pena l’arresto.

   

L’arrivo delle Olimpiadi

Il surf è stato inserito il surf nel programma olimpico, solamente nella XXXII Olimpiade, quella di Tokyo 2020 (svoltasi nel 2021 causa COVID). Pertanto, nel 2024 rivedremo i surfisti di tutto il mondo competere in territorio francese molto lontano da Parigi. Proprio Teahupo’o è stata scelta come meta per lo svolgimento gli eventi del surf di Parigi 2024. La Francia non poteva scegliere luogo migliore di questo, peccato però, che la preparazione delle strutture olimpiche abbia già sollevato varie proteste.

    

Sicuramente, portare un evento così peculiare come le Olimpiadi, in un posto tanto distaccato dal resto del mondo non è facile. Ma ora è ancora più difficile proseguire con i lavori poiché la popolazione di Teahupo’o sta manifestando contro la realizzazione di una grande torre d’acciaio. Di cosa si tratta?

   

Nelle gare di surf svolte a Tahiti, i giudici sono sempre stati collocati in una piattaforma rialzata di legno in mezzo al mare. Questa posizione serve per poter osservare e giudicare adeguatamente le prestazioni degli sportivi in acqua. Ma la scelta della struttura (la sua composizione, altezza, grandezza) non è casuale ed è il motivo per il quale surfisti e cittadini di Teahupo’o hanno iniziato a protestare.

    

No alla torre di acciaio

La commissione olimpica e gli organizzatori delle Olimpiadi vogliono costruire una torre di 14 metri di acciaio per valutare da vicino le gare. Si tratta di una struttura necessaria come spiegato prima, che prevede una serie di standard da rispettare, per una migliore permanenza dei giudici. Nella torre ci saranno aria condizionata, internet ad alta velocità, toilette e servizi per garantire un minimo di comfort e sicurezza a giudici ed operatori. La richiesta di tali prestazioni richiede una struttura di un certo tipo, lavori di grande rilevanza e quindi un impatto maggiore sull’ambiente. Questa è la ragione alla base di proteste e manifestazioni da parte dei cittadini di Teahupo’o e dei surfisti di tutto il mondo.

   

Non sfidate Teahupo’o e la sua onda leggendaria. Il messaggio è chiaro ed è ovvio che non si riferisca solamente alle onde marine, ma anche ai movimenti coesi dell’intero popolo. Effettivamente la costruzione servirebbe per soli 3 giorni di competizione, ma i suoi impatti saranno molto più duraturi nel tempo. Al contrario della torre in legno usata in tutte le precedenti gare, a Teahupo’o che, veniva montata e poi successivamente smontata.

   

La struttura ideata dalla commissione olimpica ha bisogno di basi più solide e lavori che, impatteranno pesantemente sul reef e la barriera corallina dell’area. Potrebbe influenzare in modo particolare anche il delicato equilibrio di faglie, correnti e conformazioni sottomarine e quindi la formazione delle onde stesse. O almeno questo è quello che pensano i surfisti, le comunità di Tahiti e tutti coloro che si battono per lo stesso scopo. Una costruzione simile potrebbe modificare negativamente gli equilibri biologici di quel paradiso e disturbare sistemi ecologici rari e preziosi. La critica è rivolta anche verso le misure spropositate della nuova struttura, rispetto alla sua funzione.

    

Vivendo di surf (per turismo e abitudini), la comunità è conscia del fatto che una torre per i giudici servirà ma avanza una proposta. Anziché pensare a una nuova torre (di € 4 milioni) basterà utilizzare quella in legno ed eco-progettata vent’anni fa, che ha sempre funzionato. E soprattutto non arreca danni alla natura.

     

La controparte

Nonostante ciò, gli organizzatori spingono per la realizzazione dell’opera negando i rischi indicati finora da surfisti e dalle associazioni. Spiegano infatti che la nuova torre, la quale ospiterà giudici, medici e produzioni televisive, sarà pensata per avere un “basso” impatto sugli ecosistemi. In più, affermano che risulterà un valore aggiunto anche per le competizioni future e che possa avere altre funzioni nei prossimi anni. L’esempio usato è quello di alcune piattaforme offshore, le cui basi, nel tempo, sono diventate casa per coralli ed ecosistemi.

    

Purtoppo le 400 persone mobilitate non tranquillizzano i polinesiani sul futuro del loro immenso tesoro e la loro preoccupazione resta altissima. Anche se fosse a “basso impatto” come promette la commissione olimpica, il reef subirà un’influenza maggiore rispetto all’erezione della struttura in legno. È anche vero, che la torre in acciaio, comprende una serie di criteri e standard in ambito di sicurezza e salubrità dettate da un regolamento interno.

   

Nei prossimi mesi, vedremo se questa opposizione (pacifica) riesca a portare ad una soluzione concreta e opportuna per entrambe le parti. In ogni caso, si spera sempre che decisioni di questo tipo prendano sempre più in considerazione un punto così importante come la salvaguardia dell’ambiente.

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L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

By : Aldo |Ottobre 16, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Home |Commenti disabilitati su L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

La sostenibilità è un punto cruciale delle nostre vite da anni e lo sarà sempre di più. Sicuramente realtà come le grandi aziende hanno un potere immenso per poter limitare il loro impatto sulla Terra. Non a caso c’è chi ancora ha difficoltà ad affrontare un cambiamento del genere e chi invece ne ha fatto la caratteristica principale del brand.

    

L’Oréal

“La bellezza è il nostro DNA” e L’Oréal da più di 110 se ne prende cura in mille modi diversi. Il gruppo è leader mondiale nel settore della bellezza, a partire dalla prima tinta per capelli prodotta nel 1909. La sua missione? Offrire a tutte le donne e gli uomini del pianeta il meglio della bellezza in termini di qualità, efficacia, sicurezza e responsabilità.

    

Oggi L’Oréal è diffuso in ben 150 paesi, comprende 88.000 dipendenti, di cui 4000 scienziati e 5500 esperti in tecnologia e digitale. Gode di 6 premi per l’innovazione, è tra le 5 aziende più attraenti per gli studenti e comprende 36 brand affidati a 4 divisioni. I suoi prodotti si trovano ovunque, dai saloni di parrucchieri alle profumerie, dalle farmacie alla grande distribuzione, coprendo tutti i campi della cosmetica.

     

Impegni e certificazioni

Il gruppo L’Oréal vanta una serie di impegni, cambiamenti e certificazioni sostenibili che la rende una delle migliori aziende anche nella tutela dell’ambiente. Tra i molteplici riconoscimenti si possono citare:

  • Ecovadis: medaglia di platino, tra le top 1% delle migliori compagnie al mondo (per la prestazione ambientale, sociale, l’etica, i diritti e la sostenibilità);
  • Tripla A CDP (7 anni di seguito) come leader nella lotta al cambiamento climatico (per la sicurezza delle acque e la protezione delle foreste);
  • Premio Ethisphere 2022 come una delle aziende più etiche del mondo (per il tredicesimo anno);
  • Riconosciuta dal Bloomber Gender-Equality index 2023 come pioniera della parità e la diversità (per il sesto anno consecutivo).

Oltre a questi attestati, da quanto viene riportato nel sito web, il 65 % dei loro sedi produttive è “Carbon neutral”. Se l’azienda francese si è impegnata tanto per arrivare a questo livello, non c’è da stupirsi dell’innovazione e l’avanguardia del centro di Settimo Torinese.

     

Lo stabilimento pioniere

L’Oréal Italia ha sede a Milano e un centro produttivo a Settimo Torinese attivo dal 1960. Realizza prodotti che vengono distribuiti in 29 paesi, infatti è tra i primi 4 stabilimenti in Europa e i primi 10 nel mondo. Copre una superficie di 55 mila m2  e conta ben 340 lavoratori.  Nacque durante il boom economico e da subito intraprende un percorso per aumentare la sostenibilità della propria produzione. I primi articoli sulle emissioni di C02 e il consumo di acqua sono arrivati nel 2010 e nel 2013 sono iniziati vari progetti. L’Oréal Italia è considerata uno dei precursori della sostenibilità e non a caso il suo stabilimento è stato il primo a diventare “water loop factory”.

    

Il centro è improntato su una filosofia “automazione e green economy” e dal 2005 ad oggi ha raggiunto due grandi obiettivi: zero emissioni e zero rifiuti. Questo è stato possibile grazie ai passi fatti negli ultimi 20 anni, in maniera graduale, consapevole ed efficiente.

     

2015: l’azienda si dichiara “carbon neutral” dopo l’installazione di 14 mila pannelli solari e il passaggio a fonti alternative.

    

2018: l’acqua viene riutilizzata grazie a un impianto di ultrafiltrazione; nasce la waterloop factory. Con un impianto super innovativo lo stabilimento ricicla 40 milioni di litri d’acqua l’anno (una quantità pari a ottanta piscine lunghe venticinque metri). Il processo che trasforma il liquido torbido del lavaggio in acqua limpida inizia e finisce a pochi metri dalle linee di produzione. Essere waterloop factory, significa che il sito usa acqua solo nella composizione dei prodotti, mentre, per gli altri processi viene filtrata e riutilizzata. Inoltre, si usa un “superconcentratore” che aiuta a ricavare più acqua possibile dai fanghi usati, soprattutto per il mascara.  Anch’essi saranno probabilmente riusati in futuro; l’idea è quella di usarli per la composizione di una vernice ignifuga.

      

2020: milioni di flaconi di shampoo e balsamo nascono al 100% da Pet riciclato, assicurando un risparmio di oltre 3 mila tonnellate di plastica vergine. E poi ancora, la plastica che non diventa flacone di shampoo si trasforma in una sedia, oppure in un tavolo della mensa. Per ridurre l’inquinamento legato al trasporto dei nuovi flaconi, si è scelta una fornitura a km zero, in tutti i sensi. Questo perché arriva da un imprenditore che lavora direttamente nello stabilimento, come se si eliminassero 1000 camion all’anno.

      

Nonostante ciò, l’azienda ha stampanti 3D per ricreare pezzi in caso di rottura e ricicla perfino i mozziconi di sigaretta. In questo modo L’Oréal Italia abbatte ogni anno 9 mila tonnellate di CO2, una quantità paragonabile ad aver tolto dalla strada 3 mila auto a benzina.

      

L’automazione e i robot

Un’altra peculiarità dello stabilimento è la presenza di 18 robot che aiutano, velocizzano e automatizzano i processi produttivi.  Sono 18 carrelli automatici guidati da laser, governati da un software che cooperano con operai e tecnici nella fabbrica.  In tal modo sono stati tagliati i tempi di produzione al punto che si confezionano 200 flaconi di shampoo al minuto. 

      

Sicuramente la questione degli automatismi nelle fabbriche è ancora un tema caldo correlato alla perdita di lavoro per tante persone. In questo caso è dichiarato che per ogni “catena di montaggio” c’è una persona davanti al computer che controlla, coordina, gestisce.
Comunque sia, tutto questo rende efficiente la catena produttiva e determina il successo che contraddistingue L’Orél da più di 110 anni.

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I contenziosi climatici possono effettivamente contrastare il cambiamento climatico?

By : Aldo |Luglio 06, 2023 |Acqua, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su I contenziosi climatici possono effettivamente contrastare il cambiamento climatico?
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Negli ultimi anni l’attenzione verso la questione climatica è cresciuta per via di una maggiore informazione, nuovi studi e corsi universitari.

Contemporaneamente si è ampliato il campo dell’attivismo che cerca quotidianamente di cambiare le cose… Ma gli attivisti riusciranno davvero a fare la differenza?

   

Gli esiti positivi

Secondo il monitoraggio annuale della London School of Economics, i casi positivi di processi per il clima contro governi e imprese sono in crescita.

L’analisi presenta cifre rilevanti di cui però si parla poco. Questi dati dovrebbero essere resi noti ad una maggior parte della popolazione, di modo che tutti capiscano quanto sia importante l’attivismo al giorno d’oggi.

Infatti, lo studio afferma che in tribunale gli esiti positivi sono più del 50% e di solito le aziende sono gli enti più accusati.

    

Nonostante ciò, a prescindere dall’esito del contenzioso, portare in tribunale un’impresa o un governo, ha sempre un grande impatto nel mondo.

L’analisi, infatti, riporta che le cause sul clima hanno comunque degli effetti indiretti significativi, anche per chi viene accusato. Questo perchè, un contenzioso, anche se climatico, può diventare un precedente per processi futuri. A quel punto l’accusato è obbligato a correggere il tiro delle sue azioni, per non incappare nuovamente in un caso simile, partendo però svantaggiato.

    

I numeri dell’attivismo

La crescita di tali pratiche ha registrato un picco di 2.341 casi totali nel 2021: di questi 1.557 (ossia i 2/3) risalgono a dopo il 2015.  

Nell’arco di un anno, tra maggio del 2022 e maggio del 2023 sono stati avviati altri 190 contenziosi, di cui 7 in paesi ancora “intonsi”.  Tra questi Bulgaria, Cina, Finlandia, Romania, Russia, Thailandia e Turchia.

Seppur le cause contro i governi sono diminuite dal 70% al 54%, le imprese continuano ad essere condannate maggiormente per quanto riguarda il climate washing.

   

Le aziende nel mirino

Le cifre parlano chiaro: negli ultimi 7 anni sono state intentate 81 cause di cui 27 nel 2021 e 26 nel 2022.

Solitamente le aziende vengono chiamate in giudizio proprio per le loro pubblicità ingannevoli (che si tratti di climate o green washing). Precisamente vengono contestati i contenuti, la comunicazione e la veridicità degli impegni climatici delle aziende, poiché spesso sono falsi o si basano su programmi inappropriati.

    

Un ulteriore dissenso riguarda l’enorme potere che tali realtà hanno, con il quale influenzano il mondo, ma in maniera negativa. Se invece tale potere venisse usato opportunamente, si potrebbe contrastare il cambiamento climatico più facilmente e rapidamente.

Ma la poca trasparenza e coerenza delle azioni delle imprese non consentono tale opposizione ed è per questo che le aziende vengono portate in tribunale.

Gli accusatori sono generalmente enti amministrativi o grandi associazioni di attivismo e non dei singoli. Così facendo si è più sicuri che la causa venga presa in considerazione vista l’importanza di chi si espone in primo luogo.

    

Dallo studio si percepisce quanto sia importante la collettività e la collaborazione tra enti, associazioni e cittadini per dare una svolta al futuro.

Nuovamente si ripresenta l’idea che il singolo ha un potere ben specifico che, se unito a quello di tanti altri individui, può effettivamente fare la differenza.

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ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

By : Aldo |Aprile 20, 2023 |Acqua, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoacqua |Commenti disabilitati su ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

Sappiamo che per i server e i data centre serve tanta energia elettrica ma anche acqua e suolo. Tali risorse sono necessarie per specifiche funzioni e sono quindi fondamentali in questo settore.

É importante ricordare però che più server, servizi e tecnologie ci sono e più risorse serviranno.
      

Il fenomeno attuale

È stata bloccata in Italia (dal Garante della Privacy) Chat Gpt, l’intelligenza artificiale conversazionale con grande un successo negli ultimi mesi.

Il suo nome deriva dall’acronimo Generative Pretrained Transformer, ossia uno strumento che elabora il linguaggio naturale con algoritmi avanzati di apprendimento automatico.

Tale caratteristica serve per poter generare risposte simili a quelle di una persona vera, in un discorso qualsiasi, dal più semplice al più tecnico.

L’AI funziona molto semplicemente: l’utente inserisce un messaggio, Chat GPT lo elabora e genera una risposta. Più è dettagliato l’input e più sarà specifica e pertinente la risposta.

    

Al momento in Italia è stata bloccata per revisionare la sicurezza dei dati sensibili degli utenti. Tuttavia, potrebbe essere sbloccata il 30 aprile, se rispetta i criteri di privacy.

      

La sete di Chat GPT

Il caso Chat GPT è diventato subito un fenomeno, un particolare soggetto di discussioni e ricerca su vari temi, dalla sicurezza dati, alla sostenibilità.

Tra i tanti, l’Università del Colorado Riverside e quella del Texas ad Arlington hanno svolto uno studio sul consumo di acqua da parte della piattaforma.

La ricerca “Making Ai Less Thirsty” (Rendere l’Ai meno assetata) ha l’obiettivo di diffondere informazioni riguardo l’utilizzo di acqua da parte dei suoi data centre.

Nello specifico affronta la questione dei sistemi di raffreddamento che utilizzano grandi quantità di oro blu per svolgere le loro funzioni.

Il problema sta nel fatto che per raffreddare i server e addestrare le AI serve un volume d’acqua pari a quello di un reattore nucleare.

Precisamente per l’apprendimento di Gpt-3 ne sono stati usati 700 mila litri.

     

Il problema nascosto

Un ulteriore obiettivo della ricerca è quello di evidenziare la serietà del problema, spesso oscurato dalla questione energetica.

Sicuramente il consumo di energia elettrica e le emissioni sono un grande tema da tenere sorvegliare, ma l’impronta idrica dei server non è da meno.

Sia chiaro, questo appunto non è riferito solo alle intelligenze artificiali, ma a tutto il settore che riguarda servizi di cloud, streaming e altro.

Soffermandosi su Chat GPT, la ricerca ha portato dati inequivocabili. Per una conversazione media, l’intelligenza artificiale preleva un volume pari ad una bottiglia d’acqua.

     

In numeri

Per rendere l’idea della quantità d’acqua usata in questi ambiti, i ricercatori hanno fatto dei paragoni chiari e semplici.

I 700 mila litri usati per addestrare la terza versione dell’AI, sono pari ai litri impiegati per la produzione di 370 auto o 320 Tesla

Inoltre, è da sottolineare il fatto che tali dati, sono riferiti agli edifici Microsoft in negli USA. Infatti, se si prendessero in considerazione i data centre asiatici, avremmo dei dati triplicati poiché meno ottimizzati e meno all’avanguardia.

La situazione descritta nello studio delle Università americane è delicata ma fondamentale per poter migliorare le tecnologie del futuro.

Soprattutto se ci si sofferma sulla rilevanza delle risorse idriche nel mondo ma anche alla loro carenza.

        

La domanda di potenza di calcolo aumenta esponenzialmente, raddoppiando ogni 2,3 mesi solo per le AI. Esclusivamente i server di Google hanno assorbito 12,7 miliardi di litri per il raffreddamento nel 2021 di cui il 90% potabile.

Per l’addestramento della piattaforma, ne sono serviti altri 2,8 milioni legati al consumo di elettricità. Per un totale di 3,5 milioni di litri negli USA e 4,9 milioni di litri in Asia.

      

Sicuramente Chat-GPT non è il colpevole assoluto della carenza d’acqua nel mondo, ma gran parte del settore digitale incrementa tale problema.

Sarebbe opportuno trovare nuovi metodi e meccanismi per svolgere le stesse funzioni, senza però togliere acqua potabile alla popolazione umana.

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Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

By : Aldo |Aprile 13, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

Per quanto bella e piena di natura, l’Italia registra livelli di inquinamento atmosferico più alti della media.

Per questo c’è chi ha pensato a delle soluzioni concrete per limitare i danni.

La questione nord

Secondo il rapporto di Legambiente “MalAria di città” l’Italia presenta delle forti criticità legate all’inquinamento atmosferico soprattutto tra le regioni settentrionali.

Nello specifico si afferma che il 76% dei centri urbani italiani supera i limiti delle polveri sottili definiti dall’Unione Europea.

Secondo i dati del 2022, 29 città su 95 hanno registrato livelli giornalieri di PM10 superiori alla norma europea, perciò è difficile risolvere il problema.

La direttiva 2008/50/CE e il D. Lgs 155/2010 determinano un valore limite annuale di 40 µg/m³ e uno giornaliero di 50 µg/m³.

Tali valori sono disposti affinché si protegga la salute umana ed in particolare il secondo non può essere superato più di 35 volte in un anno.

Con i dati rilevati, è stata stilata una classifica delle città che superano giornalmente i livelli limite:

1° posto: Torino con 98 giorni di sforamento;

2° posto: Milano con 84;

3° posto: Asti con 79,

A seguire Modena 75, Padova e Venezia con 70 giorni.

Il seguente problema dovrebbe essere arginato in tempi brevi, ma vista l’attuale condizione è necessario più tempo del previsto.

Il primo step

Per limitare i danni dell’inquinamento, monitorare i valori limite e accelerare il cambiamento c’è una soluzione: la tecnologia di Wiseair.

L’azienda composta da 4 ragazzi romani mira al controllo della qualità dell’aria italiana per mezzo di sensori studiati e progettati con le università.

Paolo Barbato, Carlo Alberto Gaetaniello, Andrea Bassi e Fulvio BambusiI, dopo aver studiato ingegneria del Politecnico di Milano si sono interessati alla questione.

Il loro progetto inizia quindi dallo studio trasformato in una possibilità concreta di cambiare le cose: una tecnologia per monitorare la qualità dell’aria.

Un piano fondamentale, basato su dei sensori che servono per raccogliere dati senza i quali è impossibile pensare e trovare una soluzione vincente.

La soluzione

Vista l’entità del problema, Wiseair afferma che non si può continuare affidandosi solo alle centraline governative, pertanto, hanno coinvolto anche i cittadini.

Per questo l’azienda ha distribuito sensori e dati direttamente alla popolazione, per poter diffondere dati e dialogare più facilmente anche con le amministrazioni.

Il principio che li guida ricorda che più sensori sono attivi e più dati ci saranno e il monitoraggio dell’inquinamento sarà migliore.

Dunque, un secondo step è stata la creazione di una community di cittadini attivi e appassionati, divisi in 50 comuni che lavorano con l’impresa. Tra loro Milano, Torino, Roma e Bari.

 

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Il kit

L’azienda vende alle amministrazioni un kit specifico per il monitoraggio della qualità dell’aria. Il prodotto si adatta ad ogni ambiente ed è installabile in qualsiasi posizione.

Sono dotati di un pannello solare che garantisce l’autonomia energetica in modo da garantire anche la trasmissione di dati costante (anche grazie alle tecnologie wireless).

Aziende e progetti di questo genere sono fondamentali al giorno d’oggi per due motivi.

Spesso agiscono in modo più diretto e veloce rispetto alle amministrazioni e soprattutto possono godere di una maggiore fiducia dei cittadini.

In questo caso poi, si tratta di un problema da risolvere anche per la salute della popolazione che risente del forte inquinamento atmosferico.

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